Sulla tutela del Patrimonio Arboreo e Arbustivo di Firenze

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Il nuovo Regolamento Comunale per la Tutela del Patrimonio Arboreo e Arbustivo di  Firenze, approvato dal Consiglio comunale con delibera n.58, pubblicato il 21/12/2016,  non osa essere ambizioso, come invece avrebbe potuto. Si limita a riordinare la materia recependo la normativa sovraordinata, precisando le procedure e le competenze.

Per gli  interventi su alberature di proprietà non comunale, la SCIA è l’atto amministrativo  richiesto, da produrre anche in caso di contestualità con intervento edilizio, ma “inefficace  qualora sia depositata in assenza dei pareri, nulla osta o atti di assenso comunque denominati necessari per poter eseguire interventi in aree sottoposte a tutela storico- artistica o paesaggistica-ambientale, o su alberi classificati come monumentali ai sensi  della vigente normativa”. Peccato che il testo dei decreti ministeriali di assoggettamento a  vincolo paesaggistico troppo spesso sia un esercizio di retorica crociana, non dando  alcuna contezza della vegetazione, né dell’oggettiva realtà dei luoghi (es. D.M.  31/08/1953 “spettacolo di rara bellezza” costituito da “un complesso di cose immobili che  compongono un caratteristico ambiente avente valore estetico e tradizionale, costituendo  inoltre una successione di quadri naturali e di punti di vista accessibili al pubblico”). 

Il  regolamento si pone nello stesso filone d’indeterminatezza dei decreti ministeriali,  evitando di nominare espressamente gli elementi estetici e naturalistici degni di tutela  (art. 5 c.6 “Le specie da impiegare per i nuovi impianti dovranno essere scelte tenendo  conto delle caratteristiche del contesto, di eventuali vincoli di natura storico-artistica o  paesaggistica-ambientale gravanti sul sito”, senza prevedere la pubblicazione di linee- guida didascaliche. Gli uffici e commissioni preposti al rilascio dell’autorizzazione  paesaggistica hanno al proprio interno professionalità in grado di valutare gli aspetti  naturalistici e vegetazionali del contesto?  

Ci si affida genericamente all’abilitazione professionale (art. 11 c.3): “Si considerano  adeguati gli interventi asseverati da tecnico professionista di settore, finalizzati alla  permanenza, allo sviluppo e alla qualità del patrimonio arboreo”, di per sé non garanzia di  progettazione culturalmente e naturalisticamente adeguata, come testimoniato da gran  parte del verde privato progettato negli anni ‘70 e ’80, sorta di catalogo vivente dei  vivaisti.  

Il regolamento risulta quasi commovente nella sua rassegnazione al mantenimento di uno  stato di fatto che contraddice gli intenti dichiarati e che scaturisce dalla noncuranza con  cui le alberature stradali son state trattate sin dai tempi di Firenze capitale, contro le  stesse raccomandazioni del Poggi e del Manetti. Per esempio si fissa giustamente una  zona di rispetto degli aberi, distinta per classe di grandezza (art.3 c.3 e tabella II), ma si  precisa (art. 8 c.2): “Qualora, per motivi legati a norme sovraordinate, a esigenze di  pubblica incolumità o ad oggettiva impossibilità fisica, non sia possibile rispettare le  prescrizioni riportate all’articolo 7, la redazione di progetti di opere pubbliche su banchine  esistenti dovrà avvenire nel massimo rispetto dei soggetti arborei esistenti e garantendo  la massima permeabilità del terreno”.

I viali di circonvallazione sono un campionario di  “impossibilità fisica”. La stessa rassegnazione si riscontra all’art. 6 c.3 : “Le operazioni di  potatura sono ammissibili solo in quanto non dannose per la pianta e devono avvenire nel  rispetto delle linee guida per l’esecuzione delle potature degli alberi in ambiente urbano  redatte dal Comune di Firenze in collaborazione con l’Ordine dei Dottori Agronomi e  Dottori Forestali della Provincia di Firenze”. Peccato che le linee guida ammirevolmente  redatte perdano utilità ogni qual volta le potature vengano omesse per troppi decenni; in  quei casi il rispetto del diametro massimo della sezione di taglio comporta un pericolo  pubblico notevole, per la presenza di rami troppo lunghi, suscettibili di produrre gravi  danni (es. zia e nipote morte alle Cascine) in caso di caduta; a quel punto ben vengano le  maledette capitozzature.  Lo scenario rilevabile in città è spesso ben peggiore di quello registrato alle Cascine in  occasione delle potature associate alla costruzione della tramvia, che suscitarono tante  critiche da parte dell’opinione pubblica, ma che non paiono peggiori di quelle eseguite in  passato, come ammette anche Marco Giuseppi nel suo articolo sulla Rivista di Agraria.  Continua a non essere prevista la sottopiantagione, superamento della segmentazione  delle alberature in tratti coetanei e monospecifici, pare inizialmente pretesa dalla  Soprintendenza, e con questa la successione disetanea nelle piantate, peraltro già  attuata con discreto successo in alcune alberature comunali (es. tiglio sotto pino  domestico in Viale Belfiore). Apprezzabile è il testo dell’art. 11 c. 4: “La compensazione  ambientale deve essere realizzata in piena terra“, che previene la piantagione sostitutiva  su solai di copertura di volumi interrati con pellicole inerbite e fioriere pensili, che  piacciono così tanto alle imprese immobiliari.  

Un regolamento più ambizioso avrebbe potuto conferire significazione storico–  paesaggistica e naturalistica al verde urbano, costringendo anche l’urbanistica a non  sacrificare a beneficio di nuove edificazioni lo spazio necessario per il verde urbano e a  venire a patti con queste esigenze, peraltro già chiaramente espresse da Pier Virgilio  Arrigoni in “Firenzecologia, conoscere e capire l’ambiente del Comune di Firenze”  pubblicazione dell’Assessorato all’ambiente del 1987, ove si auspicava l’affermazione di  criteri naturalistici e paesaggistici nella progettazione del verde urbano e privato, in un  caso scegliendo gli alberi sulla base della composizione degli habitat di maggior pregio  (oggi precisamente descritti nel Repertorio Naturalistico Toscano e nelle schede  Natura2000) e, nei quartieri periferici di recente edificazione, conservando nei giardini e  parchi pubblici e privati segni dell’assetto rurale precedente (es. composizione specifica  e allineamenti delle piantate, rispettosi della limitatio etrusco-romana e medievale):  “Molte delle risorse pubbliche e private oggi destinate allo sviluppo di un giardinaggio  intensivo di dubbio valore estetico, potrebbero essere rivolte al mantenimento di  un’agricoltura paesaggistica”.

Certamente, oltre a linee guida particolareggiate,  occorrerebbe uno sforzo da parte degli Ordini professionali tecnici nell’aggiornare i propri  iscritti su una progettazione del verde che non utilizzi più come manuali (come invece si è  fatto per troppi decenni) i cataloghi dei vivaisti, con tanto di tabelline cromo-stagionali  scevre da ogni considerazione naturalistica o storico-paesaggistica.  La lista esemplificativa delle specie da impiegare avrebbe potuto essere didascalica,  capace di orientare la progettazione e gli interventi, evitando di nominare specie  incongrue (come invece fa il regolamento), se suddivisa in tabelle distinte per contesto  (es. parchi e giardini romantici, verde post-colturale, habitat naturali), con la speranza di  non vedere più piantate kitsch di ligustri cinesi aureo variegati, come quelli nei giardini  dell’ex-meccanotessile e di San Jacopino, che inducono a sospettare che si adotti come  criterio di scelta botanica la cosiddetta “vuotatura di vivaio”, espediente tristemente in uso  da secoli, da contrastare in avvenire con forza.  

Restano in ogni caso difficilmente risolvibili in termini positivi quei piccoli giardini antistanti  le casette unifamiliari tipiche dell’urbanizzazione estensiva degli ultimi decenni. Questi  piccoli giardini di fatto non hanno alcun uso diverso dal compiacimento e dall’esibizione di  un raggiunto status sociale: raramente si vede qualcuno che li vive (tranne il cane da  guardia che abbaia ai passanti), ed è comprensibile, perché sono sovraesposti al  pubblico. Molto più vissuti sono i giardini posteriori, specialmente quelli coltivati a ortaggi,  frutta e fiori, sui quali affacciano le cucine, nei quali si possono consumare pasti  all’aperto, prendere il sole spogliati o frescheggiare all’ombra, visti solo dai vicini più  prossimi.

                    *Paolo Degli Antoni

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Paolo Degli Antoni

Paolo Degli Antoni, dottore forestale, Comitato Ex Fiat Belfiore-Marcello

3 commenti su “Sulla tutela del Patrimonio Arboreo e Arbustivo di Firenze”

  1. silvio mencaccini

    Caro Paolo, puntuale come sempre. E’ veramente un grande argomento quello del verde urbano e soprattutto quello delle alberature stradali. A Firenze c’è sicuramente un pò più di attenzione rispetto ad altre città italiane, dove tutto viene lasciato al caso , almeno in apparenza. Sicuramente il punto dolente è la manutenzione ordinaria, cioè le potature periodiche, che spesso vengono tralasciate per ragioni di budget o eseguite in maniera poco razionale. Volevo chiederti se a Firenze esiste un regolamento per quanto riguarda la salvaguardia dell’apparato radicale delle piante delle alberature stradali, visto che spesso vengono eseguiti nelle vicinanze lavori di manutenzione a tubature di vario genere.

  2. Paolo Degli Antoni

    Con con Delibera Giunta comunale n. 74 del 5/3/2019 è stato approvato il disciplinare attuativo, che prevede un ventaglio di possibilità a seguito dell’abbattimento di alberi:
    – Sostituzione è quando la piantagione puntuale che segue l’abbattimento ha effettiva e propria valenza sostitutiva, con l’impiego della stessa specie, nello stesso numero e ciascuna nello stesso sito di radicazione, previa estrazione della ceppaia
    – Compensazione è la piantagione di uno o più alberi (fornitura, messa a dimora, cure colturali fino ad affrancamento) volta a sopperire al taglio di uno o più alberi e finalizzata alla conservazione, allo sviluppo e alla qualità del patrimonio arboreo cittadino, anche in relazione al contesto di inserimento (altra vegetazione, manufatti, ecc.). In tal senso la compensazione fa parte di un’unica attività di abbattimento/piantagione. La compensazione deve avvenire, ai sensi dell’art. 11.4 del Regolamento, in piena terra e secondo i criteri dettati dall’art. 5. 6, del Regolamento stesso.
    – Progetto compensativo è il progetto dell’insieme degli interventi, dei lavori, delle opere e delle attività, previste per il periodo di validità della Segnalazione Certificata d’Inizio Attività (di seguito: SCIA), volti a sopperire all’abbattimento di uno o più alberi con la piantagione di uno o più alberi, allorché le nuove piantagioni non coincidano in numero e/o specie e/o sito d’impianto con le piante abbattute.
    – Compensazione in altra area è quella compensazione attuata in area diversa da quella di originario impianto degli alberi. Deve essere motivata da esigenze adeguatamente documentate.
    – Compensazione economica si ha quando sia la compensazione nell’area di originario impianto degli alberi, sia quella in altra area, non sono possibili come da adeguata motivazione. Si procederà a compensazione economica anche qualora in sede di controllo, di cui a successivo art. 3, non sia riscontrata una coincidenza fra la
    valutazione agronomica, attuata tramite compensazione, e la valutazione paesaggistica.
    Nei primi mesi d’attuazione si sono visti discutibili progetti compensativi (es. un nuovo albero al posto di sei sani soppressi) e disinvolte compensazioni economiche tali da vanificare gli stessi intenti di tutela.
    Non si riconosce di fatto alcun valore alle formazioni arboree spontanee insediatesi nei decenni passati su terreni agricoli e cantieri abbandonati.

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