Università: abbassiamo le tasse ai fuori corso, un segno di civiltà

L’Università di Firenze torna alla carica con un aumento generalizzato delle tasse – in particolare (ma non solo!) per gli studenti “irregolari” e “improduttivi” – e in forma del tutto inedita nemmeno facendo finta di coinvolgere gli studenti ai tavoli tecnici (quindi politici) dove queste proposte vengono affrontate.

I principali promotori di questa controriforma di tassazione sono il rettore Luigi Dei e la vicerettrice Vittoria Perrone Compagni: da un lato spendono le più commosse parole per gli studenti dell’Ateneo (dichiarando di stare “dalla parte degli studenti”), e dall’altro si prestano a erodere quel poco di welfare familistico che è rimasto, mentre gli studenti devono accettare lavori umilianti pur di pagarsi l’università se di quel welfare non godono. ”Almeno 20 CFU a studente”, tanto prevede la “quota premiale” del Fondo di Finanziamento Ordinario che diverrà sempre più cospicua a discapito del finanziamento “storico”.

Per questo a San Marco come in ogni altro Ateneo non si rimpiange lo studente fuori corso che non rinnova l’iscrizione all’Università, mentre al contempo si tassano quelli che hanno ancora la “velleità” di di conseguire il titolo nonostante forti dissuasioni economiche, vere e proprie ”multe” per chi non si laurea in tempo. Per questo mi pareva opportuno smascherare certi imbonimenti ideologici che hanno ormai superato ogni limite della decenza.
L’ho fatto in termini di proposta-provocazione, sperando di creare qualche sussulto/tumulto la prossima
volta che i lettori sentiranno la parola “meritocrazia”.

Gli studenti universitari fuori corso (che tardano a laurearsi nei tempi prestabiliti) pagano molte più tasse universitarie dei propri colleghi in corso per il conseguimento del titolo.

Si va da almeno un +20% per le lauree quinquennali a ciclo unico, a un +33% per le lauree triennali, fino a un +50% per le lauree magistrali. Queste percentuali aumentano ogni anno che uno studente permane fuori corso: ad esempio, una laurea triennale in ingegneria civile che costa in corso 1.000 € complessivamente, in 6 anni (3 previsti più 3 ulteriori) verrebbe 2.000 €, cioè un aumento del 100%.

Sono cifre stimate al ribasso: non sono contati né le borse di studio per gli studenti in corso, né altri incentivi e disincentivi, altrimenti avremmo aumenti percentuali da capogiro. C’è inoltre da considerare che il tardivo inserimento nel mondo del lavoro garantisce meno possibilità allo studente, ed ogni anno da studente fuori corso è assimilabile a un anno retribuito in meno come lavoratore laureato. Un intervento palliativo ma di semplice introduzione potrebbe essere dimezzare le tasse agli studenti fuori corso ogni anno ulteriore di iscrizione, introducendo quindi un massimale complessivo da non sforare. (vedi grafici)

Invece di seguire questo ragionamento di buonsenso, governo, ministero e università introducono meccanismi premiali (carota) o punitivi (bastone): pare che laurearsi nei tempi prescritti sia un merito che va premiato di per sé, mentre il comportamento opposto vada punito a prescindere.

Eppure, far pagare più tasse a chi “consuma” meno l’università e vive momenti di studio difficile è contrario non solo ai principi di buona amministrazione, ma anche ai principi basilari di solidarietà che animano il nostro ordinamento.

Si preferisce invece fare cassa sulla pelle degli studenti più in difficoltà, senza nemmeno uno sguardo alla situazione economica, familiare, di salute, di contesto culturale e sociale particolari, nonché alle angherie didattiche di corsi strutturati male e agli impedimenti burocratici che bisogna affrontare per sopravvivere all’università.

Un analogo sarebbe estrarre energia da un tapis roulant con dinamo alimentata da un disabile in carrozzina: il manifesto della crudeltà. Per tutti questi motivi tale feccia ideologica “meritocratica”, nient’altro che darwinismo sociale e classista, va immediatamente rispedita ai mittenti.

 

 

*Roberto Amabile