“Via i rom entro 18 mesi. Chiude il campo“. Così si legge sulla civetta del giornale locale più diffuso a Pisa, «Il Tirreno» del gruppo Espresso, la mattina del 5 dicembre. La notizia è questa: a fine novembre la Giunta comunale ha approvato una delibera con le indicazioni operative per chiudere un importante campo rom in periferia nell’arco di un anno e mezzo.Solo un paio di mesi prima nel cortile della Sapienza, in pieno centro, si era tenuta una cerimonia in commemorazione degli 80 anni dalle leggi razziali del fascismo, in cui il rettore dell’Università aveva ufficialmente chiesto scusa a nome di tutti gli atenei italiani per la cacciata degli ebrei dall’istruzione pubblica del 1938. Chissà se tra 80 anni a qualche amministratore locale verrà in mente di chiedere scusa alle comunità rom per il trattamento che viene loro riservato in questi tempi, in cui l’intolleranza è diventata il valore unificante della nazione. Non credo. Sicuramente però oggi il titolo sparato dai redattori del «Tirreno» incontra il favore dei suoi lettori, accontenta un sentimento diffuso in città, lo stesso che sembra essere dominante in tutto il paese.
Questo penso mentre ritorno al mio treno per Firenze dopo aver passato una mattina di lavoro a Pisa, la città dove sono nato e dove ho vissuto fino a pochi anni fa. Davanti alla stazione fervono i lavori: dopo aver innalzato il tradizionale albero di Natale, alcune squadre stanno risistemando le aiuole del piazzale. Passeranno poi alla rimozione delle panchine colorate e moderne, messe solo da pochi anni ma colpevoli di essere luoghi di ritrovo di persone non gradite. Il decoro, il degrado, i bivacchi, gli sbandati: i termini per giustificare certi interventi sono sempre gli stessi… La fontanella pubblica della piazza era già stata chiusa durante la precedente amministrazione a guida PD, mentre qualche anno prima – sotto lo stesso sindaco – la polizia municipale aveva sequestrato le pentole a una signora che per bontà sua portava il cibo ai senza fissa dimora della stazione. Forse non è un caso che il vice comandante dei vigili urbani di Pisa – famoso per la sua inflessibilità e che ho sentito personalmente definire gli sgomberi degli insediamenti rom delle “bonifiche ambientali” – sia stato conteso dall’ex sindaco PD e dalla sindaca leghista della vicina Cascina. L’ha spuntata, ovviamente, quest’ultima.
Le panchine erano l’unico posto rimasto fuori dalla stazione in cui fosse ancora possibile sedersi. Più di anno fa, infatti, la precedente amministrazione aveva emanato un’ordinanza per proibire nelle aree vicine «di sedersi, sdraiarsi o dormire sul suolo pubblico o ad uso pubblico, sulla soglia, sulla pavimentazione, sui muretti, sui gradini posti all’esterno degli edifici pubblici e privati, dei monumenti e dei luoghi di culto; sugli spazi verdi e sugli arredi urbani (ivi comprese rastrelliere per biciclette)». A rigor di logica uno non si poteva neanche addormentare in piedi, ma almeno poteva sedersi sulle panchine. L’ordinanza era stata emanata grazie alle possibilità concesse dal Decreto Minniti: la nuova amministrazione leghista l’ha ripresa pochi mesi fa per applicarla anche alle zone più pregiate del centro storico, con l’obiettivo di contrastare la “movida”.
A quel punto, e solo a quel punto, si è sollevata la protesta e si è gridato allo scandalo: gli studenti devono potersi sedere sui gradini! I normalisti devono rilassarsi la sera sulle scalinate della Normale! E così tra manifestazioni e polemiche, in cui si sono visti operatori costretti a bagnare i gradini per non far sedere le persone ed esponenti del centrosinistra che si facevano multare inneggiando alla disobbedienza civile, si è implicitamente affermato che è giusto che chi frequenta la stazione non si possa sedere sui gradini. Due pesi e due misure: finché erano immigrati e senza fissa dimora a subire l’ordinanza, era giusto; ma “ne touchez pas nos étudiants”! Togliere le panchine del piazzale della stazione appare oggi poco di più che una logica conseguenza.
Continuo a pensare a queste cose mentre il treno parte dalla stazione. Sui siti di informazione vedo la foto dell’appena nominata presidente del Teatro Verdi di Pisa. A capo dell’ente che assorbe la gran parte del bilancio comunale alla cultura il sindaco leghista ha messo una stimata figura della destra moderata cittadina, andata al ballottaggio contro l’ex sindaco in alcune passate elezioni. Il presidente uscente, nominato dalla Giunta a guida PD, era un avvocato noto per appoggiare il movimento omofobo delle sentinelle in piedi: su questo almeno la situazione non è peggiorata. Sicuramente il cambiamento – il tanto temuto “arrivo dei barbari” – non avviene oggi, ma ho l’impressione che questo sia vero un po’ per tutto.
La cultura a Pisa ha subito negli scorsi anni un tracollo impressionante: sono state chiuse biblioteche importanti e centri di studio senza che l’amministrazione abbia mosso un dito, le proposte culturali di rilievo vengono da tempo ormai solo dai privati. Palazzo Blu è l’esempio più eclatante. Il Comune si è limitato praticamente solo a gestire il Teatro Verdi – vetrina della Pisa bene – e le manifestazioni in costume medievale. Il resto è stato dismesso. I libri e le riviste della biblioteca provinciale, per esempio, dopo la legge Delrio sono stati affidati a una cooperativa sociale che non si era mai occupata prima di biblioteconomia né di cultura: ora li gestisce in cambio di pochi spiccioli, inaugurando in città un modello di gestione privata del patrimonio librario pubblico dalle prospettive incerte.
Sono rimasti i privati a fare cultura a Pisa. Ora che la Lega è al potere, però, alcuni di questi dovrebbero farsi da parte, con l’appoggio trasversale di altre forze politiche. È quello che si deduce da una mozione del PD recentemente depositata in Consiglio comunale, con cui si chiede che venga liberata la chiesa sconsacrata di San Bernardo, dove un’associazione culturale – dopo aver occupato l’edificio abbandonato da anni e ottenuto dall’amministrazione a guida PD l’utilizzo a canone irrisorio – propone da anni attività culturali di alto livello.
Mentre arrivo a Firenze, metto a fuoco meglio questo ultimo pensiero e lo inserisco in una prospettiva che – prima indecifrata – mi risulta ora abbastanza chiara. Credo davvero che Pisa stia vivendo in questi mesi di amministrazione leghista un senso di sollievo. Almeno una parte della città si sente, finalmente, liberata da un grosso peso.
Lo sono certamente i vecchi gruppi dirigenti, che senza le mani legate dalle responsabilità di governo possono dare sfogo a due pulsioni apparentemente opposte, ma che rappresentano i due fondamentali assi identitari del centrosinistra: da una parte sbandierare posizioni politiche più vicine ai valori tradizionali della sinistra (la lotta contro l’ingiustizia) circoscritte però ai ceti sociali più presentabili (gli studenti), dall’altra dare sfogo alle pulsioni legalitarie e lanciare denunce per l’ordine cittadino, per proporsi più securitari della Lega senza paura di cadere in contraddizioni interne o risultare impopolare a una base che non c’è più.
Buona parte del resto della città invece resta in una sorta di attesa muta. Le ultime amministrazioni a guida PD hanno contribuito a creare un clima sociale su cui la Lega ha prosperato. Da anni ormai in città le critiche, le voci alzate potevano provenire solo da destra; da quella parte il potere le ha ascoltate. Le istanze di sinistra – per un allargamento reale degli spazi democratici – sono state invece sempre minimizzate o represse, in primo luogo all’interno dello stesso partito di maggioranza. Ora, finalmente, con la Lega al potere ci potrà essere spazio anche per loro, perché dall’opposizione possono essere funzionali al recupero del consenso. Sia un’ala che l’altra dello schieramento frantumato del centrosinistra – se ha senso ragionare in questi termini – può sfogarsi con una libertà che prima non aveva. In un certo senso la parte della città che ha rappresentato e appoggiato il potere fino alle ultime elezioni, adesso ha addosso un peso in meno. Forse può sperare in una strategia di recupero e magari spera davvero che i rom vengano cacciati dalla città e la zona della stazione ripulita da tossici e migranti: sarà più facile amministrare la città, dopo.
O forse neanche gli interessa e si gode questo momento di sbandamento in cui ognuno può sentirsi libero di dare sfogo alle proprie pulsioni. In effetti questo sollievo e questa attesa potrebbero anche riuscire a generare riconoscenza. E quindi dare alla Lega pisana un consenso sociale più ampio e solido di quello che gli ha consentito di scalzare il PD alle scorse elezioni. In ogni caso però siamo di fronte all’evidenza che nonostante la retorica dei programmi e degli slogan un ciclo politico è davvero finito. Ma è finito ormai da molti anni: ciò che solo adesso appare eclatante sono effetti ritardati, covati da tempo.
Stefano Gallo
Stefano Gallo
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