A Torino il quartiere Aurora è terreno di conquista

Ogni grande città ha le proprie bohemias e le proprie hobohemias; la propria gold coast e le little Sicilies; le zone di camere ammobiliate e i propri slums. A Chicago, e nel Lower North Side, si trovano in stretta prossimità fisica le une con le altre. Questo offre un’illustrazione interessante della situazione in cui distanze fisiche e sociali non coincidono; una situazione in cui le persone che vivono l’una a fianco dell’altra non sono e –vuoi per i loro diversi interessi, vuoi per le diverse origini- non possono diventare vicine, anche con le migliori intenzioni (Park 1929: XIX) 1 .

Il 7 febbraio 2019 è una di quelle date destinate a segnare indelebilmente la storia urbana della città di Torino. L’inizio dello sgombero dell’Asilo occupato di via Alessandria 12 ha costretto, e tutt’ora costringe, gli abitanti del quartiere Aurora a vivere sotto un regime di militarizzazione estremo che non solo compromette il normale svolgimento della vita quotidiana all’interno delle strade del quartiere, ma che in un certo senso rappresenta la metaforica colonizzazione forzata da parte di un’amministrazione debole e ben propensa a ricorrere a interventi muscolari per mano delle forze dell’ordine.

Chi scrive ha avuto la possibilità di vivere, frequentare e soprattutto studiare sotto la lente d’ingrandimento sociologica quella porzione di urbano citata poc’anzi. Da circa due anni un gruppo di ricerca dell’Università degli studi di Torino è attivo nel tentare di rilevare gli effetti prodotti dai ferventi cambiamenti che il quartiere ha subito e che tutt’ora coinvolgono i suoi spazi. Un buon punto d’inizio nel tentare di raccontare che cosa è in atto all’interno del quartiere Aurora è offerto dal video property prospectus 2 , pubblicato dalla rivista “Monocle” il 22 ottobre 2015.

Ciò che colpisce alla visione di questo video non è tanto il fine di promozione immobiliare della zona, quanto piuttosto la narrazione, lo storytelling e la rappresentazione che si è iniziata a produrre del quartiere. L’istantanea fotografica prodotta ritraeva, e tutt’ora ritrae, il quartiere come un luogo in cui coesistono due anime. Da un lato il risentimento, la vergogna, del vecchio look composto da fabbriche dismesse, abitazioni popolari degradate, classi sociali poco abbienti e la relativa massiccia presenza di nuovi immigrati. In altre parole, il degrado urbano che deve essere estirpato. Dall’altro la fiera ostentazione della rifioritura del quartiere per mano di imprenditori illuminati e avanguardisti, professionisti ad alta specializzazione e classi di creativi; tutti soggetti abili nell’innescare attività di place-making volte a mutare l’identità e la percezione del luogo.

Un passo indietro merita di essere fatto per allargare il focus a tutta Torino. Le amministrazioni locali che hanno governato la città dal 1993 fino al 2016 hanno fatto scuola per aver dotato la città di piani strategici il cui compito è stato quello di dettare le linee guida entro le quali lo sviluppo locale doveva orientarsi. In chiave riassuntiva i Giochi Olimpici invernali del 2006 sono stati l’evento mediante il quale la città di Torino ha pubblicamente sancito il passaggio da factory-town a città ‘plurale’, facendo incontrare il suo carattere industriale – che non ha smarrito, ma anzi riqualificato – con le vocazioni di città della conoscenza: ricerca, innovazione, formazione, cultura” 3 .

Come avvenuto per altre città europee, il processo di rinnovo urbano ha permesso a Torino di cancellare la vecchia identità industriale rilanciandosi come centro internazionale nel quale prendono campo nuovi modelli di consumo, orientati verso la cultura, la ricerca e l’innovazione, che configurano lo spazio urbano secondo nuove logiche identitarie.

La mission delle governance che fino ad oggi si sono susseguite è quella di favorire interventi di rigenerazione urbana capaci di creare nuovi modelli finanziari volti ad attivare partnership pubblico-private che a loro volta possano sollevare l’amministrazione locale dall’ appesantire il debito pubblico ancora fortemente segnato dal periodo post olimpico. La visione ormai radicata è quella di rilanciare lo sviluppo locale attirando medie e grandi imprese, lavoratori specializzati appartenenti principalmente ai settori dell’innovazione e della cultura, e infine incentivare la riorganizzazione dell’immagine della città per attrarre visitatori e turisti in numero sempre maggiore.

Il quartiere Aurora non fa eccezione, anzi si è caratterizzato per essere uno dei principali terreni di conquista da riscattare mediante la riconversione dei suoi spazi, del suo assetto urbano e della sua composizione sociale. Il perché di tale obbligo alla riconversione è spiegabile da due fattori molto semplici: la stretta vicinanza al centro (dal punto più estremo del quartiere si impiega circa 15 minuti a piedi ad arrivare al centro città)  e i prezzi immobiliari molto bassi (si passa da 3000 euro al metro quadrato del centro ad un prezzo compreso tra i 500/800 euro al metro quadro nella zona di Aurora) 4 .

Tirando le somme negli ultimi anni in Aurora si è assistito allo sforzo da parte delle amministrazioni locali di dare avvio a processi di riqualificazione urbana al fine di catalizzare all’interno del quartiere la massiccia immissione di capitali da parte di privati. Questa sinergia, agevolata dai prezzi irrisori del mercato immobiliare, ha comportato l’avvento di nuove classi sociali e relativi consumi e stili di vita, incompatibili rispetto a talune frange della popolazione residente nel quartiere. Inoltre, la stretta vicinanza al centro congiuntamente alla diffusione di piattaforme come Airbnb e Booking ha favorito il proliferare dell’offerta di alloggi ad uso turistico, contribuendo nell’incentivare investimenti immobiliari di carattere speculativo. Il risultato è l’avvento di un processo di gentrification in itinere e in divenire che comporta l’appropriazione della zona da parte di nuovi residenti/fruitori più abbienti che costringono una parte della “vecchia” popolazione a uscire dai confini del quartiere 5 .

In questo contesto i nuovi imprenditori della zona, le classi creative e la stessa amministrazione pubblica rivendicano all’unisono i profitti estraibili dagli investimenti fatti nel quartiere. Il mezzo di rivendicazione è la costruzione di un filone narrativo che evidenzia solamente i benefici di carattere estetico, simbolico e consumistico apportati al quartiere, tralasciando totalmente le esternalità negative che hanno acuito ulteriormente la disuguaglianza sociale.

Il ricorso alla forza che ha portato all’intervento di sgombero dell’Asilo occupato di via Alessandria 12 non è altro che
un atto coercitivo ben mirato a togliere la parola a una delle poche voci fuori dal coro che ormai da diversi anni manifesta la propria ostilità nei confronti di un meccanismo di riqualificazione neoliberale del quartiere che sta comportando numerosi sfratti, espulsioni e conflitti sociali.

1 Prefazione al libro di H.W., Zorbaugh (1929), The Gold Coast and the Slum. A Sociological Study of Chicago’s Near North Side, Chicago, Chicago University Press.
2 https://monocle.com/film/edits/property-prospectus-turin/

3 L’estrapolato è stato ripreso da Torino metropoli 2025 terzo piano strategico che è possibile consultare al seguente link: http://www.torinostrategica.it/torino-metropoli-2025/.
4 Per confutare questa informazione è sufficiente svolgere una semplice ricerca sui principali siti di vendita immobiliare.
5 Si veda: Leeds et. al. (2008) Gentrification, New York, Routledge; Semi, G. (2015). Gentrification: tutte le città come Disneyland?, Bologna, Il Mulino.

*Andrea Failli