L’uso razzista del linguaggio

Il degrado attuale della politica, con un percorso che ha rischiato di portarci ad un regime fascio-leghista (il potere assoluto a Matteo Salvini, rischio sempre presente, continuando l’attuale governo le politiche di rigore neo-liberiste dettate dall’Europa, che colpiscono le classi popolari ed alimentano il populismo) ha fra le sue radici anche i cedimenti sul terreno del linguaggio.

Farò due esemplificazioni.

Sono ormai diversi anni che è diventata di uso comune la parola badanti, in effetti un “prodotto” leghista, per indicare i lavoratori/le lavoratrici che si occupano di assistenza alle persone anziane (operatori/operatrici di cura). Badare è spesso più riferito agli animali che agli esseri umani (non è quindi rispettoso nemmeno nei confronti degli assistiti e delle assistite) e, comunque, nel secondo caso, non comporta tutte le capacità di cui deve essere dotato chi assiste gli anziani (se si bada le pecore, ad esempio, è sufficiente stare attenti al fatto che nessuna di esse si allontani dal branco).

Inoltre, politici e giornalisti indicano abitualmente con il termine clandestini i/le migranti presenti in Italia privi di un documento che regolarizzi la loro presenza. Si tratta di un termine del tutto improprio, che vuol dare dare una patina di pericolosità ad una condizione che è soltanto di irregolarità (deriva dalla mancanza di un documento).

Tanto più è sbagliato indicare come clandestini coloro che arrivano in Italia con le navi delle ONG, con imbarcazioni di vario tipo, attraverso altri percorsi (a cui sono costretti dalla quasi totale mancanza di canali regolari d’ingresso).

In questi casi risulta corretto parlare di richiedenti asilo o di persone che possono comunque aver bisogno, specialmente i minorenni, di protezione umanitaria.

Eppure l’ex “ministro della paura”, Matteo Salvini, definisce clandestini coloro che le navi delle ONG chiedono di far sbarcare (e spesso vi aggiunge aggettivi denigratori, come se fossero potenziali delinquenti). Quasi tutti gli organi d’informazione e moltissimi politici lo seguono su questa strada.
Così le parole sono al servizio di una politica imperniata su provvedimenti discriminatori e razzisti, che contrastano con i principi costituzionali e con i diritti sanciti da dichiarazioni e trattati internazionali.

Sono tanto più pericolose perchè contribuiscono a far crescere nella società sentimenti di intolleranza, di rifiuto, di ostilità, quando non di vero e proprio odio, verso le persone straniere.

Certo, importante e risolutivo è riuscire a cambiare le politiche disumane condotte dai vari governi che si sono succeduti nel nostro Paese e che hanno raggiunto il livello più alto con il penultimo, a netta impronta salvinian-leghista, con la complicità dei pentastellati.

Ma occorre anche una maggiore attenzione alle parole che adoperiamo. In modo da contrastare l’egemonia che i fascio-leghisti hanno acquisito pure su questo terreno.

Giuseppe Faso, dell’Associazione “Straniamenti”, ha scritto alcuni anni fa una serie di brevi note su “le parole che escludono”, che sono uscite su “Percorsi di cittadinanza” – supplemento di “Aut & Aut”, giornale dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani della Toscana – che allora si occupava anche di questi temi, oggi non più – e poi sono state raccolte nel volume “Lessico del razzismo democratico – Le parole che escludono” edito da Derive Approdi.

Riguardano, tali note, le parole usate da coloro che l’autore definisce “razzisti democratici” (colti e raffinati intellettuali che fanno sfoggio di convinta democraticità): accanto a quelle esplicitamente razziste, ignoranti, sguaiate e volgari, alla Salvini, diventano senso comune ed alimentano il razzismo.

In un periodo in cui le une e le altre hanno portato il loro contributo ad un clima generale di diffusa disumanità, nelle istituzioni e nella società, sarebbe utile riprendere gli scritti di Faso e diffonderli nuovamente.

Moreno Biagioni