Il cinghiale in giardino

Il tram si lanciò in campo aperto alla volta dell’ultima stazione, intitolata a un politico, un socialista di cui si ricordavano in pochi, forse perché non era mai stato arrestato. Gli argini del torrente a destra e il muro a scarpa di un convento, coperto di muschio a sinistra, disegnavano una valletta lussureggiante.

E in quella miniatura comparvero i cinghiali, neri, furibondi, in fila seguiti da cani che affettavano l’aria con i latrati. Sparpagliati su un tappeto verde, Prequel distingueva battitori e cacciatori, i lampi delle canne e il fumo.

Il finestrino del tram si frantumò, un passeggero cadde per lo spavento mentre una turista, intenta a litigare con il controllore, si ritrovò il trolley e una gamba squarciati da qualcosa che poteva essere un vetro o una pallottola.

La lite era seguita all’incursione di tre dipendenti della compagnia dei trasporti che, vedendo una comitiva di turisti salire senza il biglietto in mano, li avevano multati tutti. I turisti spiegavano loro, in lingue diverse, che i biglietti erano stati acquistati dalla guida che li stava timbrando, ma ci voleva un po’ di tempo, erano trenta. I controllori insistevano e già partivano le prime recensioni su internet. Prequel cercava di capire se l’ostinazione dei controllori era dettato dal clima aziendale che non tollerava interpretazioni personali del regolamento, o se c’erano premi in denaro per chi portava a casa un carniere di multe.

La fucilata fece cessare l’alterco.

Prequel fu rapido a disincagliare la gamba ferita dallo stivale che lo avvolgeva. A chi gli chiedeva se non era meglio aspettare l’ambulanza, rispondeva: “Ricordatevi di Heydrich”.  Heydrich era il nazista ucciso dagli eroici resistenti cecoslovacchi. La bomba che lo aveva centrato, però, non lo aveva ucciso sul colpo e il gerarca si poteva salvare, ma il crine che ne imbottiva la vettura, mischiandosi alle sue parti maciullate, le infettò senza rimedio.

Prequel in fondo era contento che quella storia fosse finita così, ma da ispettore sanitario doveva evitare che si ripetesse, soprattutto se il maciullato non era un nazista. Ecco perché staccò con cura la pelliccia che guarniva gli stivali dallo stinco della povera donna. Mentre eseguiva l’operazione, dava rapide occhiate al pianoro su cui sostava il tram. Cacciatori col fucile e senza si erano radunati presso le portiere, l’autista era sceso, erano arrivati anche i cani e si dovette faticare per non imbarcarli tutti. Un viavai di levrieri e livree.

Prequel ci mise un po’ a capire che i vigili urbani erano anche cacciatori, mentre i battitori erano semplici volontari con addosso divise mimetiche delle due Germanie rimediate sui banchi del mercato. Alcuni di loro portavano fucili e coltellacci ma avevano l’ordine tassativo di dare la precedenza agli agenti. Questi ultimi negavano di sapere chi aveva esploso il colpo fatale: seguendo le tradizioni venatorie del luogo, si erano disposti a semicerchio e avevano fatto fuoco in direzione del primo cinghiale che i battitori avevano stanato, che era anche il più grosso. A  lui non sfuggiva che se si voleva scoprire il cecchino bastava annusare i fucili e scegliere tra quelli che avevano sparato, in base al calibro ad altre cose.

Poteva darsi che gli agenti si coprissero o che non avessero idea di come procedere in questi casi, erano pur sempre addetti al traffico che in un giorno che si erano ritrovati il fucile in mano e l’ordine di uccidere. E da come si erano equipaggiati si capiva che per loro doveva essere solo un giorno di festa: ghette, incerate, merende e una lucidata ai mezzi più pesanti di cui disponevano, quelli che escono dalla fabbrica già con le ruote incrostate di fango.

L’arrivo dell’ambulanza squarciò il velo di omertà: chi aveva sparato andò incontro ai soccorritori, li seguì sul tram, volle vedere che ne era della sua vittima. Ancora più scosso e in ambasce il tranviere, come se la colpa fosse sua o del mezzo. Scena pasoliniana in cui il vigile operaio, l’operaio conducente e la vittima, operaia o segretaria in vacanza, si riconoscevano e solidarizzavano immediatamente. La stessa cosa accadeva anche al soccorritore operaio, al battitore contadino, al medico a bordo di recente immigrazione…

Solo, in disparte, si stagliava un cappotto blu allacciato con una pesante fibbia metallica. Era sceso da una macchina e ora sorvegliava la scena. Doveva essere un funzionario di qualcuno degli enti responsabili dell’incidente: Segreteria del Sindaco, Federcaccia, Assessorato ai Trasporti. Aveva la pelle da pachiderma, rugosa e spessa, occhiali sfumati quel poco che basta a nascondere lo sguardo, mani in tasca e autista a disposizione.

“Ricordatevi di Heydrich”, sussurrò Prequel mentre scendeva dal tram e si portava dietro l’uomo con la fibbia. Il funzionario tolse le mani di tasca, prima per accendersi una sigaretta, poi per telefonare. Prequel ascoltava. “Sì, è un bel casino, ma se riusciamo a tenere lontani i giornali siamo a posto. Chi ha sparato è gente nostra, il tram è una partecipata, quelli dell’ambulanza stanno zitti finché gli conviene…Il dottore magari è un personaggio, non perde occasione di mettersi in mostra sul giornale, a lui ci penso io.”

“Sì, ma qui sta girando roba su facebook, ci sputtatanano. Perché la municipale organizzando la battuta di caccia non ha tenuto conto della tranvia che costeggia il giardino?” Gracchiò una voce che Prequel riconobbe come quella del sindaco. “Le mamme erano già sul piede di guerra per i cinghiali, ora che diranno?”

Prequel sentiva su di sé il sole e intorno il prato, un lenzuolo verde su cui si moriva come in tante bellissime scene di caccia e di guerra. Sentì la vita e si ricordò la prima volta che l’aveva sentita, poppante in braccio alla mamma, in un giardino così, forse più piccolo. Da come il sindaco parlava delle mamme si capiva che non l’aveva mai sentita così. L’aveva incontrato pochi giorno prima per discutere dei cinghiali che infestavano il parco. Voleva sapere da Prequel se i selvatici portavano malattie, se sporcavano i fossi, se bisognava disinfestare una volta che erano stati allontanati.
Aveva detto “Allontanati”. Era un uomo con la bocca stretta, di vedute ristrette, mortificato.
Le emozioni doveva averle provate tutte, allo specchio prima di uscire.

Prequel aveva le sue idee a proposito di gente così: venuti al mondo per distrazione da ventri freddi che appena li avevano espulsi si erano richiusi alle loro spalle, murati da imeni miracolosi. La vita non li aveva voluti e loro si vendicavano colpendola là dove è più esuberante, sui prati, nei cinghiali.
“Ungulati”, recitava il cartello affisso quando avevano chiuso il parco. “Parco temporaneamente chiuso per la presenza di ungulati”. Ungulati era un eufemismo voluto dal sindaco per non spaventare le mamme che funestavano i suoi sogni. Sogni junghiani da cui non si riprendeva neanche al mattino.

Quando i vigili avevano abbattuto il cinghiale obbedendo a lui, con tanto di ordine firmato, gli spari che lo avevano svegliato da quell’incubo lo avevano precipitato in un altro peggiore. La turista era stata portata via ma il resto della comitiva era ancora lì che minacciava rappresaglie e dava seguito alle minacce con i cellulari. A nulla era valso il sincero atto di coraggio del colpevole, solo le scuse e i soldi del sindaco potevano placare gli animi.

Il pachiderma cercava di tenerlo lontano ma lui volle venire di persona, più per paura che per coraggio. Ora chiedeva se si poteva scendere in elicottero, pensava che un arrivo scenografico gli avrebbe giovato. Il funzionario disse di sì, a di stare attento a non tranciare anche i fili del tram.
“Anche” suonò al sindaco come l’ennesima mortificazione e non gliela perdonò mai, ma si seppe dopo.

Prequel si godette l’atterraggio: il cielo scosso dalle eliche, i salici piegati, i cani nervosi, gli uccelli in fuga. E il sindaco che nessuno voleva che goffamente balzava sul prato con i pochi capelli in disordine. Le pale dell’elicottero erano ancora in movimento. Un sussulto del sindaco, uno scatto verso l’alto e l’elica gli avrebbe strappato lo scalpo. I pochi capelli si sarebbero impastati con le schegge d’osso. Ricordatevi di Heydrich! Ma il sindaco era abituato a strisciare e trascinò la gobba fuori dalla zona di pericolo. Il funzionario gli strinse la mano e la sentì fradicia. I passeggeri gli si fecero incontro ma il sindaco passò oltre, raggiunse un gruppetto di vigili, si fece dare il fucile più accessoriato e impartì qualche ordine.

Si udirono nuovamente degli spari. Qualcuno temette un attentato, qualcun altro ci sperò, invece fu abbattuto un cinghiale. I volontari lo accerchiarono. Lo avevano freddato nella fossa in cui aveva cercato rifugio, sembrava che gli avessero scavato la tomba. Il sindaco si avvicinò e quando gli assicurarono che era morto si mise in posa con il fucile appoggiato di calcio alla testa dell’animale, che si allungava quasi quanto il corpo per terminare in un groviglio di zanne.

Attese i flash, poi finse di armeggiare con l’arma per animare le riprese dei cellulari.

*Massimo De Micco