Notte e nebbia, le immagini della Memoria

La giornata della memoria ricorda il 27 gennaio 1945 quando le truppe sovietiche liberarono il campo di concentramento e sterminio di Aushwitz- Birkenau; sono passati 75 anni da quel giorno ma il ricordo di quei fatti continua ad essere oggi più che mai necessario. Il fascismo in Italia è vivo e vegeto, i neonazisti continuano a portare avanti le loro tesi negazioniste in tutta Europa e il razzismo, in questi tempi di grandi migrazioni, è qualcosa che tocchiamo con mano ogni giorno anche nella nostra vita quotidiana. L’olocausto sembra qualcosa di definitivo nella nostra memoria, quanti libri, film e trasmissioni televisive sono state dedicate a questo tema, eppure quella storia non è poi così condivisa come potremmo pensare, le minacce a Liliana Segre nel loro becero e squallido orrore ne sono la testimonianza. In fondo anche l’antisemitismo gode di ottima salute.

Ma la giornata della Memoria rischia, soprattutto nel nostro paese, di diventare una celebrazione vuota, un giorno in cui si mostrano le atrocità naziste (e attenzione molto meno quelle fasciste) senza particolari approfondimenti e che corre via fino al 10 febbraio, giornata del ricordo, in cui si ricordano le vittime delle foibe (con enormi approssimazioni storiche). Così i crudeli nazisti fanno pari con i comunisti assetati di sangue e gli eredi dei fascisti sono liberi di popolare le nostre istituzioni democratiche: Forza Nuova, Casapound e Fratelli d’Italia rivendicano con orgoglio le loro origini, la Lega non lo fa a voce ma nei fatti. Tutto questo mentre i mezzi di informazione li coccolano, non c’è un talk show televisivo in cui non ci sia qualcuno che latra contro i migranti.

Non è stato facile fin dal 1945 trovare le parole per descrivere l’olocausto e ancora più difficile è stato riuscire a utilizzare le immagini girate dalle truppe alleate nei giorni immediatamente successivi alla liberazione per fare passare un messaggio che non fosse di puro orrore, ma una riflessione sulle cause e sulle conseguenze di quanto accaduto.

giornata della memoria

I primi a mostrare quelle immagini furono gli americani, il cui dipartimento della guerra affidò a Billy Wilder, il celebre regista di A qualcuno piace caldo e al meno celebre Hanuš Burger la realizzazione di Death Millls ( Die Todesmühlen in tedesco) un documentario di propaganda destinato al pubblico tedesco per educarlo e informarlo su quanto accaduto nei campi di sterminio. Una sorta di visita di massa dentro i lager come quelle che gli alleati fecero fare in carne ed ossa ai tedeschi che vivevano vicino ai campi subito dopo la liberazione. La potremmo definire un’ educazione-punizione collettiva tramite l’immagine.

Il girato delle truppe inglesi invece ebbe una storia molto più travagliata. Mentre la guerra si concludeva, il produttore Sidney Bernstein ascoltò le prime notizie sui campi di sterminio, e dopo aver visitato Bergen Belsen, decise di realizzare un film documentario per il pubblico inglese, e nella produzione coinvolse Alfred Hitchcock che supervisionò sia il lavoro di riprese che di montaggio. A lavoro quasi concluso il documentario fu annullato, per il Foreign Office britannico il materiale era troppo scottante e si doveva avviare una cooperazione postbellica con i tedeschi. Il film fu scoperto soltanto nel 1984 nei magazzini dell’Imperial War Museum e fu mandato in onda dalla BBC con il titolo Memory of the Camps. Del resto era appena iniziata la Guerra Fredda e nello stesso periodo a Roma a Palazzo Cesi-Gaddi qualcuno girò verso il muro un armadio, aperto solo nel 1994, contenente 695 fascicoli d’inchiesta sui crimini di guerra nazifascisti in Italia.

notte e nebbia

Fu solo alla metà degli anni 50 che Alain Resnais, regista francese e ispiratore della nouvelle vague, realizzò Notte e nebbia, ancora oggi forse il documentario più toccante sull’olocausto. Resnais, ci mostra le immagini d’archivio dell’ascesa al potere di Hitler, dei campi di concentramento in piena attività girate dai nazisti e quelle della liberazione girate dagli alleati e le alterna alle immagini a colori di Aushwitz nel 1956. Immagini di campagne pacifiche aprono il film, la storia si dipana davanti a noi nel giro di mezz’ora mentre la voce narrante che legge un testo di Jean Cayrol, scrittore sopravvissuto alla prigionia, racconta l’accaduto in maniera poetica. Notte e nebbia è un capolavoro fin dal titolo che si rifa al decreto Nacht und Nebel di Hitler secondo il quale gli oppositori politici dovevano scomparire nella notte e nella nebbia come Alberich ne L’oro del Reno di Wagner che sparisce in una colonna di fumo cantando ‘Nacht un Nebel, niemand gleich!’ (Notte e nebbia, niente resta com’è).

Il commento poetico che si scontra con le immagini durissime ne fa una pietra miliare, a differenza dei documentari sopra citati, Resnais fa immedesimare lo spettatore nel prigioniero e nelle sue paure.Notte e nebbia si chiude con parole che fanno eco a quelle di Primo Levi ne I sommersi e i salvati, Levi scrive ‘E’ avvenuto e quindi può accadere di nuovo: è questo il nocciolo di quanto abbiamo da dire’.

Notte e nebbia si chiude così ’Mentre io vi parlo adesso l’acqua gelida degli stagni e delle rovine giace nelle cavità degli ossari, un’acqua lenta come i nostri cattivi ricordi. La guerra china la testa ma tiene un occhio aperto. Speranzosa come sempre l’erba cresce sui campi fertili vicino alle baracche, un villaggio abbandonato su cui pesano ancora le minacce. I forni non sono più attivi, nove milioni di morti infestano questo paesaggio. Chi di noi veglia da questa strana torre di guardia e ci avverte dell’arrivo dei nostri nuovi carnefici? I loro volti sono davvero diversi dai nostri? Da qualche parte in mezzo a noi, i Kapò più fortunati sopravvivono ancora, reintegrati come funzionari e informatori anonimi. C’è chi rifiuta di credere o ha creduto solo per brevi momenti. Con il nostro sguardo sincero osserviamo queste rovine, come se il vecchio mostro giacesse per sempre sotto le macerie. Facciamo finta di riprendere speranza mentre le immagini si allontanano nel passato, come se fossimo guariti una volta per tutte dalla piaga dei campi di sterminio. Facciamo finta che sia successo solo una volta, in un determinato momento e luogo. Chiudiamo un occhio su ciò che ci circonda e siamo sordi al pianto senza fine dell’umanità’.

E’ tutto in queste poche frasi il senso del 27 gennaio.

*Francesca Conti