I sorveglianti

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Prequel si posizionò davanti al tornello e stranamente lo fecero accedere alla banchina del tram.
Solitamente doveva tentare il riconoscimento facciale due o tre volte e rischiava di restare a piedi, perché il riconoscimento facciale degli abbonati funziona come un bancomat, al terzo tentativo andato a vuoto ti blocca.

Il rosso invece scattò per la ragazza in coda dietro di lui. Al riconoscimento era stata segnalata come indesiderabile. Lei non si diede per vinta e scavalcò il tornello. Arrembò il tram come si vede fare nei film

Prequel la guardò.

Era elegante, portava il velo, aveva il fiatone e un tacco in meno, se lo era spezzato scavalcando. Le offrì il suo posto pensando che se non si vuole attirare l’attenzione dei sorveglianti in borghese è meglio mettersi sedere che traballare su un tacco solo.

I sorveglianti in borghese sono energumeni che controllano i tram per individuare gli indesiderati e farli scendere. Si riconoscono da lontano perché vestono sempre di tweed e superano tutti il metro e novanta. Sono programmati con gli stessi schemi della sorveglianza elettronica, solo che sono più rigidi perché ai pregiudizi del programmatore, che nel loro caso si chiamerebbe formatore, aggiungono i propri: ideologie novecentesche, campanilismi e superstizioni locali.

La ragazza senza il tacco si tolse il velo.
“Pensavo che fosse una cosa religiosa” Scherzò Prequel, “Invece era per la pioggia”.
“No, è religiosa ma la mia religione mi autorizza a toglierlo se corro un pericolo”-
“Allora stia tranquilla, corre un grave pericolo. Il sorvegliante che è salito poco fa è un vero fanatico. Per fortuna adesso non ha tempo da perdere con noi”.

In piedi, Prequel vedeva le sue spalle larghe. Il sorvegliante era nella carrozza accanto e un passeggero di piccola statura gli sventolava un machete sotto il mento.

“Comprensibile, vista la facilità con cui il nostro amico estrae la pistola”.
“Ma come” Disse lei, “Non mi fanno salire con il velo e lui viaggia con la sciabola?”
“Il machete non è un’arma, è considerato attrezzo da giardinaggio e viene venduto liberamente dal ferramenta. Ne porto uno anche io quando vado in luoghi affollati di sorveglianti poco disposti a mediare. Avrei anche il tesserino di ispettore sanitario ma non tutti si prendono il tempo di leggere prima di sparare con il taser e dato che sono cardiopatico, impugnare il machete si può considerare legittima difesa”.
“Ma tutto questo è legale?”
“Teoricamente sì”
“Ma chi le ha fatte queste leggi?”
“Ha cominciato un governo sovranista, ma era solo una testa d’ariete, tutti gli altri si sono accodati”

Intanto lo scontro aveva assunto le dimensioni di una vera e propria battaglia. In casi come questo i passeggeri si polarizzano in due opposte fazioni e si azzuffano con violenza.

“Ma è una barbarie!” Esclamò la ragazza.
“Chi di spada ferisce…” sentenziò un vecchio con aria professorale mentre svitava il pomello del bastone animato che che non gli serviva certo per aiutarsi con la sciatica.

Prequel decise di scendere alla prima fermata. Alla ragazza che doveva assolutamente raggiungere una meta più lontana, lasciò gentilmente un piccolo tirapugni raccomandandole: “E’ un ricordo, lo maneggi con cura”.

Sceso dal tram su cui infiammava lo scontro, Prequel girellò nel quartiere che si era scelto come rifugio. Aveva tempo da perdere perché da quando c’era l’epidemia molti ristoranti erano stati chiusi per precauzione. Gli altri pagavano la tangente e non era rimasto niente da ispezionare per un ispettore sanitario, eccetto i bar. Con quella scusa faceva il giro dei bar. Questa zona non l’aveva ancora battuta.

Era un gruppo di case scolorite con le serrande abbassate che doveva aver conosciuto momenti migliori. La gente vestiva in modo pretenzioso, secondo i criteri giovanili: scarpe bianchissime, berretti con scritte insignificanti messe in risalto da bordature dorate, qualche borsa firmata consunta, regalo di molti anni prima.

Su tutti però dominava il popolo dei trolley, i turisti che scarriolavano i loro fagotti da un B&B a un altro. Al declino era subentrata una nuova euforia, il sogno dell’affittacamere. Se ne trovava traccia nei nuovi pub dai nomi impronunciabili, con arredi in ferro e muri spogliati di ogni velo di intonaco per far posto a lussureggianti cascate di kokedama. Sulla soglia sostavano buttafuori dall’aria di camerieri, o viceversa, da cui Prequel girava alla larga per non trovarsi nuovamente coinvolto in una rissa.

Scelse alla fine il bar più dimesso, uno di quelli in cui nemmeno ti salutano e il caffè te lo fanno controvoglia quando hanno finito di chiacchierare. Il brodo nero che gli versavano nella tazzina era certamente più cattivo che al “McMahoney” o al “Bernadotte’s”, ma lo assaporava di più. Aveva preso l’abitudine di accompagnare il caffè con un bicchiere di anice o di grappa. Il giro dei bar era cominciato da molte ore e i troppi alcolici lo stordivano e gli davano le allucinazioni, perciò si chiese se quella ragazza con il velo e senza un tacco che aveva scavalcato i tornelli e la battaglia che ne era seguita non fossero altrettante allucinazioni.

Guardò il bicchiere con complicità mista a rimprovero, come a dire: “Sei stato tu?” Attraverso il vetro, sfaccettata ma riconoscibile, distinse allora la ragazza senza il tacco e con il velo. Era scampata alla rissa e ora giocherellava con il tirapugni che le aveva dato come se fosse un ciondolo. Intanto parlava con un sorvegliante vestito di tweed. Prequel alzò lo sguardo dal bicchiere e lo puntò direttamente sulla giacca di tweed.

Era indubbiamente una di quelle che indossano i sorveglianti ma più piccola, con le spalle strette e la schiena dritta da chi invece che pugilato (che ingobbisce) ha fatto danza. La indossava una ragazza. La giovane tirò fuori dalla borsa un paio di ballerine e le passò all’amica che aveva perso un tacco. Prequel volle illudersi che fossero amiche perché ammettere che stavano insieme lo avrebbe messo ko come pretendente. le due ragazze si lasciarono con un bacio che non dava adito a dubbi e quando la sorvegliante se ne fu andata lui si avvicinò timidamente a quella con il velo-

“Dunque lei conosce i sorveglianti meglio do me!”
“La mia ragazza porta una giacca di tweed ma non fa quel mestiere, non direttamente almeno”
“E’ una dirigente?”
“Li seleziona”
“E lei è contenta della gentaglia che scegle?”
“Le ho detto che se rivedo una scena come quella di oggi la lascio”
“Addirittura!”
“Lei starebbe con una fascista?”
“No”
“Allora perché io dovrei essere meno esigente? Perché sono musulmana o perché sono lesbica?”
Prequel ne fu conquistato.
“Posso solo sperare che la sua ragazza assuma altri sorveglianti imbecilli, così lei la lascia e si mette con me”.

La ragazza con il velo rise come se quella dichiarazione d’amore non fosse rivolta a lei. Buttò giù quel che restava di un cocktail molecolare, uno quei beveroni scomposti in parte alcolica liquida e parte saporita in pallini. Poi si alzò appoggiando sul tavolo il tirapugni che Prequel le aveva prestato sul tram.

*Massimo De Micco

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Massimo De Micco

Massimo de Micco, 1972, fiorentino, essendo cresciuto negli anni Ottanta e Novanta si ritrova una formazione psicologica, una partita iva e una ricca e variegata esperienza professionale nel campo della formazione, ma è anche illustratore,fumettista e cartoonist. Ha partecipato a iniziative culturali, sociali e politiche di varia natura, a condizione che fossero libere, solidali e auto-organizzate, dagli Studenti di Sinistra a Kykeion, da Violetta van Gogh a Black Notes, da Fuoribinario a Radio Cora. E' tra i fondatori del gruppo Palazzuolo Strada Aperta che ha dato vita in questi anni alla Book Bike e si appresta ad aprire a Firenze la Biblioteca Riccardo Torregiani.

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3 commenti su “I sorveglianti”

  1. massimo de micco

    Ci dicevano a scuola di evitare le ripetizioni. Sono ammesse solo come licenza poetica o se si vuole fondare una religione. Ho trovato un i”in piedi ” di troppo che ingolfa la lettura, scelga il lettore se farne a meno. (NdA)

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