Sacrificare l’Appennino per megaimpianti eolici?

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A fine dicembre il gruppo energetico AGSM di proprietà del Comune di Verona ha depositato presso la Regione Toscana il progetto di un impianto di energia eolica da collocare sul crinale dell’Appennino nelle due località contigue Giogo di Villore di Vicchio e Giogo di Corella di Dicomano. Il sito scelto ha altitudine di circa 1000 metri e massima visibilità, ed è centrale nel sistema della montagna e del bosco come descritto dal Piano di Indirizzo Territoriale-Piano Paesaggistico della Regione Toscana del 2015, in cui si veda l’esauriente monografia Ambito 7-Mugello). Però il sito non fa parte, finora, di zone protette classificate, il che lo avrebbe preservato da una simile proposta.

Il suddetto gruppo veronese su questo crinale intende impiantare otto aerogeneratori a tre pale di altezza al rotore di 99 metri e che raggiungono a pala verticale i 150-160 metri, per una potenza nominale in tutto di 29,6 Megawatt (milioni di watt). Aerogeneratori forniti delle relative piazzole e plinti di fondazione interrati, con strada di crinale, aree di cantiere e pista di accesso parzialmente cementificate, più un cavidotto interrato di 20 chilometri fino a Contea (Rufina). L’altezza delle torri scelta è quella massima compatibile con l’utilizzo di gru monopezzo e con la percorribilità della ripida strada di accesso da parte delle varie decine di carichi eccezionali previsti, ognuno con settimane di spostamento notturno e rimozione/taglio degli ostacoli come segnaletica, ponti bassi, curve strette, rotatorie. Questi sono i dati essenziali che emergono dalla relazione generale di progetto leggibile ora sul sito del gruppo.

Il lavoro di progettazione è durato alcuni anni nella riservatezza aziendale, il deposito del progetto è stato preceduto solo di poche settimane da due riunioni informative per i consiglieri comunali e tre per la popolazione locale organizzate in buon accordo tra AGSM e i due sindaci. Durante la campagna elettorale per le amministrative 2019 cioè cinque mesi prima non era stata fatta parola di questo impianto, eppure un anemometro alto sessanta metri era sul posto da tre anni. Il progetto, nel momento ritenuto opportuno, è stato annunciato già definito nei dettagli, compresi il cronoprogramma del cantiere previsto da marzo a novembre (2021 o 22?) e la scelta del percorso di accesso (S.Bavello-Corella- pista del gasdotto esistente SNAM da allargare- sentiero di crinale da trasformare in strada).

Il cantiere è un’operazione irta di difficoltà e non stupisce che la relazione si esponga a descriverla con realismo. In questo realismo e insistenza sul cantiere c’è forse l’astuzia di distogliere l’attenzione dalle conseguenze permanenti dell’impianto, ma traspare anche la vera preoccupazione di garantirsi la benevola neutralità del territorio in quei rischiosi dieci mesi.

Nel 2008 era stato proposto un impianto eolico per lo stesso sito, con diverso accesso, i proponenti si erano disgregati però dopo avere incontrato ostilità prevalente tra gli abitanti e non avere avuto l’appoggio delle amministrazioni di allora. Si trattava in quel caso di una cordata tipica dell’epoca degli incentivi a pioggia. Ora ci troviamo invece di fronte al progetto meditato di un gruppo con proprie competenze e risorse, già presente in Toscana soprattutto con l’impianto eolico del Carpinaccio (Firenzuola) di cui vanta il successo. Anche se la potenza nominale di un impianto che usa la fonte eolica, essendo questa improgrammabile e intermittente, è cosa ben diversa dall’energia immessa in rete e questa energia bisognerebbe renderla nota davvero.

Ma l’elemento più favorevole al nuovo progetto del Giogo è che rispetto al 2008 siamo entrati ancora di più nell’epoca del capitalismo green europeo, sempre in nome della transizione energetica. La “giusta transizione” altro non è che (o è prima di tutto) una pioggia di provvedimenti, annunciati già per i prossimi mesi, volti a mobilitare un mucchio di soldi verso nuovi business green friendly, come scrive Paolo Cacciari in “Green Virus”. Non che manchino a AGSM capitali propri per costruire i suoi autogeneratori, ma tutto questo clima di mobilitazione continentale per la salvezza del pianeta potrebbe essere utile al gruppo influenzando gli enti chiamati a dare l’autorizzazione. E anche solo l’annuncio di questa avvenuta autorizzazione sarebbe un balzo positivo per AGSM prima ancora di avere messo nel terreno un solo plinto, una carta da giocare, per esempio, al tavolo della trattativa nel processo di fusione annunciato con Aim (Vicenza) e A2A (Milano) per la creazione di una grande “Multiutility del Veneto”.

Speriamo che la Conferenza dei servizi sia capace di guardare, al di là della propaganda, ai fatti, evitando di farsi ipnotizzare da questa relazione generale impostata abilmente in modo da fissare l’idea di un collegamento necessario tra questo specifico progetto e la lotta all’emergenza climatica (v. pag. 15-16 e poi pag.33). Chi è per la decarbonizzazione non può sottrarsi al dovere di accettare impianti come questo, tale è il concetto garbatamente intimidatorio che si legge tra tutte le righe.
Con la pubblicazione dell’intero progetto scatteranno i due mesi utili ai cittadini per presentare osservazioni alla conferenza dei servizi. L’istruttoria è ancora da fare e le certezze esibite dal proponente possono ancora essere smontate.

Ecco gli impegni dichiarati: AGSM promette di restaurare i luoghi alla fine del cantiere, soprattutto con operazioni di inerbimento definite “di rinaturalizzazione”. Il progettista presuppone e dichiara che gli animali allontanatisi durante il cantiere tenderanno a tornare dopo qualche tempo, e che l’impianto in fase di esercizio sarà compatibile con tutti i parametri previsti dalla normativa protezionistica o tale da poter ottenere le autorizzazioni in deroga, per esempio per il taglio di aree boschive, in nome del principio di pubblica utilità e urgenza. Il proponente promette compensazioni sul sito sotto forma di segnaletica dei sentieri nuova, luoghi di riposo per i turisti ecologici. Quanto al paesaggio, la valutazione estetica delle torri secondo AGSM è un fatto più che altro soggettivo e comunque esse da qualche chilometro di distanza si confondono con il cielo così come il loro rumore sul posto si confonde con il rumore del vento. Anche il temuto malessere da aerogeneratori secondo AGSM, che si rifà a studi molto citati dalla lobby ben organizzata dei produttori di energia eolica, pare che colpisca soprattutto gli individui che sono contrari fin dal principio alle torri eoliche (una sorta di autolesionismo di protesta forse?). Alla fine della vita utile probabile, almeno cinquanta anni, questi aerogeneratori saranno smontati, i plinti di cemento armato pesanti un migliaio di tonnellate l’uno rimarranno nel terreno ma saranno presenze invisibili e neutre, equivalenti alla roccia. In cambio di limitati impatti si avrà secondo AGSM energia pulita pari al consumo di 100.000 persone in attuazione dei piani italiani ed europei di decarbonizzazione e transizione energetica di cui il gruppo si presenta come esecutore affidabile, e il territorio dei due comuni (forse tre perché anche S.Godenzo è toccato dall’impatto stradale) godrà inoltre di premi economici sotto il titolo di “azioni partecipative” consistenti in sconti energetici e finanziamenti a opere di coibentazione e installazione di impianti fotovoltaici. Per le imprese ci sarà il vantaggio di un prezzo fisso per cinque anni, esteso anche a quelle di Borgo S.Lorenzo e Rufina. Tuttavia gli importi economici di tali vantaggi sembrano piuttosto modesti.

Sulla quantità poi di energia promessa enfaticamente (80 Gigawattore annue) ci sarà tempo e modo per fare osservazioni puntuali sulla base dei dati anemometrici che si spera siano riportati correttamente nel progetto o dovranno comunque essere richiesti a integrazione in fase istruttoria. Nella relazione generale resa nota questi dati mancano, sostituiti da una nuvola di ragionamenti metodologici. Ma la conferenza dei servizi non può accettare sulla semplice fiducia quella promessa di 80 GWh che sembra davvero ottimistica.

Ma queste intanto sono le prospettive che la relazione di Agsm ci mette davanti a pag.15-16: la “asparagizzazione” di torri eoliche, termine di uso comune in Germania, dalla Puglia e Basilicata ormai sature si dovrebbe estendere a tutta l’Italia senza risparmiare crinali e foreste e tutto questo per raggiungere forse meno del 5% dell’energia globale necessaria. In Germania si stanno accorgendo di questa enorme difficoltà: nell’ultimo anno non sono riusciti più a costruire quasi nessuna torre eolica eppure sono ancora lontani dall’obiettivo strategico di produzione. Motivo principale: le procedure di autorizzazione sono sempre più rallentate dall’opposizione degli abitanti che si accresce via via che si accresce la saturazione di turbine del territorio.

Per non ripercorrere anche noi fino in fondo il vicolo cieco tedesco è urgente dire qualcosa sui due veri antagonisti di questa storia: uno si può chiamare la strategia europea di decarbonizzazione oppure anche mercato dell’energia. L’altro si può chiamare Appennino o forse anche paesaggio italiano, la parte che ne resta.

C’è una corsa a costruire grandissimi impianti con aerogeneratori sempre più alti e anche in luoghi sensibili o comunque senza badare alla triste omologazione visiva (vedi Puglia), alla sorte degli uccelli e dei chirotteri e ai danni dei malcapitati residenti di nuclei sparsi che ricadono all’ombra delle torri, letteralmente a volte. Questa corsa non è il risultato della lineare applicazione di leggi fisiche richiesta in modo tassativo dalla crisi climatica del pianeta, ma di un preciso modello di investimento nelle energie rinnovabili, quello basato sulla privatizzazione e la deregulation che non fa differenza di principio tra i piccoli impianti domestici e quelli di grande taglia, modello imposto dell’Unione Europea e applicato fedelmente dall’Italia a partire dalla privatizzazione dell’energia elettrica (1999).

Chi vuole farsi un’idea del complicatissimo sistema di definizione dei prezzi dell’energia che è stato messo in opera dalla deregulation può leggere la seconda parte della relazione generale di AGSM. Il prezzo dell’energia elettrica è un tema strategico per un paese, però dal 1999 (Legge Bersani) in poi è stato sottratto al dibattito pubblico non nascondendolo, anzi, ma rendendolo comprensibile solo ai tecnocrati e agli speculatori. Il massimo di proliferazione di dati “trasparenti e in tempo reale” ha coinciso implacabilmente con il minimo di trasparenza reale, a partire dai megarapporti di Terna e GSE per scendere fino alle nostre illeggibili bollette domestiche e all’assurdo assedio telefonico di chi ci vuole accaparrare come clienti.

Quanti cittadini anche tra quelli bene informati, quanti amministratori pubblici sanno davvero che cosa sono Arera, la borsa elettrica, il “mercato del giorno prima”, le aste per l’energia, che differenza c’è tra GME e GSE? La relazione AGSM porta per mano noi cittadini e la conferenza dei servizi attraverso tutto questo strano mondo, in cui siamo pesci fuor d’acqua e in cui invece AGSM nuota benissimo, per farci approdare a questa proposta di pale eoliche per il Mugello come “la più bilanciata delle proposte possibili”. Come non fidarsi, dopo un tale sforzo didattico?

Alcuni ingrati però non si fidano lo stesso, forse per il caratteraccio toscano o la sindrome nimby, fatto sta che nella assemblee pubbliche la proposta è stata accolta male dai più, è nato un Comitato Crinali Liberi di lotta contro il progetto Giogo di Villore  che si ricollega alla Rete per la difesa dei crinali e l’opposizione al progetto è appoggiata per ora da Italia Nostra, dal Movimento 5Stelle, dalla lista dicomanese di Laura Barlotti, da Rifondazione, dalla sinistra regionale dei consiglieri Fattori e Sarti e insomma non sembra che il Mugello e la Toscana stiano proprio stendendo un tappeto rosso davanti ad AGSM. E l’opposizione pubblica dei cittadini sul territorio, motivata, informata, capace di presentare osservazioni puntuali, sarà essenziale per dare coraggio e argomenti solidi agli enti della conferenza dei servizi che vogliano far uso del loro potere di opposizione al progetto.

Non siamo noi cittadini né la Conferenza dei servizi a dover proporre soluzioni alternative, ma le obiezioni che si stanno sviluppando non sono di tipo localistico (localistico se mai è il “trattare sul prezzo del territorio” con il ricco colonizzatore esterno!) bensì sono sorrette dall’esigenza di una visione generale alternativa a questo modello di sviluppo che non esita a industrializzare il bosco. La prospettiva della pianificazione energetica negata dalla sbornia neoliberista si riaffaccia e si riaffaccerà comunque, per la stessa necessità interna della tecnologia di ripensare il modello della rete di trasporto e distribuzione dell’energia elettrica in presenza di una crescente produzione diffusa.

Intanto però rischiamo di dover pagare un altissimo prezzo ambientale per impianti che nella loro velleità di potenza industriale sono già superati, paleomoderni. Vediamolo fino in fondo il prezzo ambientale di questo possibile intervento: né più né meno che l’estensione anche a questa area del Mugello, finora appartata, della logica delle grandi opere che ha già fatto tanti danni dall’altro lato della valle. O se si vuole l’apertura di una pericolosa breccia in un ambiente non letteralmente “intatto”, perché di trasformazioni ne ha già subite in passato con disgraziati disboscamenti, ma che da tempo sta approdando a livelli di grandissimo valore naturalistico degni della massima protezione anche con norme speciali.

Allora, nelle prossime settimane e mesi, approfittare della possibilità di presentare osservazioni scritte e di suscitare dibattito pubblico, costruire momenti partecipativi su questo progetto significherà mettere al centro dell’attenzione il Giogo come sezione dell’Appennino tosco-romagnolo con le sue faggete avviate ad alto fusto, la sua ricchezza botanica, faunistica, delle acque, i residui di zone aperte, antichi pascoli, campi e carbonaie che si mescolano con il bosco rinaturalizzato in un panorama non solo armonioso per l’amante del bello, ma prezioso per la biodiversità. Una risorsa di salute e benessere per la vicina popolazione delle zone inquinate e disordinate di qua e di là del versante e forse il massimo complesso di ecosistemi utili all’assorbimento di CO2 della penisola. Guardiamo una foto satellitare notturna dell’Italia: la striscia nord-sud rimasta come unica zona quasi priva di luci è quella che dobbiamo prima di tutto lasciare in pace.

*Paolo Chiappe

 

 

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Paolo Chiappe

Paolo Chiappe, fiorentino, ex insegnante, da molti anni vive soprattutto nella campagna di Vicchio. Redattore di riviste della scuola, editore del cabreo mugellano dei Georgofili, ha partecipato a diversi movimenti della scuola, politici e del territorio e ora fa parte di uno dei gruppo di cittadini che elaborano le osservazioni al progetto Giogo di Villore.

4 commenti su “Sacrificare l’Appennino per megaimpianti eolici?”

  1. Beatrice Tartoni

    Ottimo articolo, quello di Paolo Chiappe, puntuale, esaustivo, convincente! Complimenti per il grande lavoro di documentazione e ricerca che è stato fatto! Queste pale non vanno proprio messe !!!

  2. Roberta Poggiali

    Complimenti per il dettagliato articolo.Quelle schifose pale deturpanti per il nostro territorio non vanno proprio installate. Opponiamoci in ogni modo.

  3. Gaia Pedrolli

    17% . Questa è la percentuale di energia primaria prodotta in Europa da FER.
    Sono un’attivista ecologica, e a me le pale eoliche piacciono, mi piacerebbero anche sul Monte Morello, per dire.
    Ma soprattutto la transizione energetica la vogliamo fare oppure no? Dobbiamo ridurre le emissione dell’8% all’anno, anzi, molto di più, come vogliamo farlo? Capisco tutte le vostre pregiudiziali ideologiche, ma penso che dobbiamo decidere da che parte stare.
    Se dalla parte della transizione ecologica nel concreto, confrontandoci con l’esigenza di produrre un sacco di energia da FER, oppure diciamolo, siamo per la transizione ecologica ma senza dare indicazioni concrete.
    Se vogliamo azzerare le emissioni di CO2 cosa vogliamo fare? Adesso sono il 17%. Chiudiamo tutte le centrali termoelettriche e restiamo con meno di 1/5 dell’energia che abbiamo oggi. Cosa ne facciamo? Chiudiamo le terapie intensive e smettiamo di far andare i treni?
    Io penso che sia facile dire di no a tutto, ma bisogna sapere scegliere a cosa dire di no (ad esempio nuovi centri commerciali, l’aeroporto, termovalizzatori) e a cosa dire sì.
    Un parco eolico sull’Appennino, è una cosa a cui dire sì. Altrimenti stiamo scherzando.

    1. Ornella De Zordo

      Grazie del commento. Ovviamente il dibattito su quali energie rinnovabili sostenere è aperto (perché di questo si tratta, non certo di essere contrari a una riconversione energetica). Qui, ci pare che il problema sollevato da chi ha scritto l’articolo (che non è della redazione) sia la scala di questi megaimpianti. Oltre alla localizzazione. Come redazione ci sentiamo di aggiungere che occorrerebbe puntare sull’energia solare che e’ molto meno invasiva di quella eolica, trattandosi di una fonte rinnovabile immediatamente disponibile.Un impianto fotovoltaico, come si sa , può coprire il fabbisogno energetico per tutti gli usi domestici. Quindi i pannelli solari, più una maggiore efficienza energetica possono costituire l ‘alternativa all’ eolico, che va bene in particolari siti e non necessariamente sempre con torri mastodontiche.

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