Le scuole occupate a Firenze non fanno notizia. Ma alcune docenti, orgogliose, pubblicano sui social i comunicati delle occupazione dei loro student*. Sono sparse per la città, senza arrivare nelle province vicine. “Non hanno risonanza, forse, perché durano poco”, mi dice un professore. Le ultime occupazioni a cascata – di lunga durata – di cui abbiamo memoria sono quelle contro la riforma Gelmini nel 2008. “Dove però c’era stata una chiamata a livello nazionale”, continua il docente. C’ero anch’io, nel mio liceo classico di provincia che mi sembrava il mondo intero. E’ il rischio delle istituzioni: diventare totalizzanti. Ma questa è un’altra storia. Oppure è la storia. E i ragazzi e le ragazze che occupano oggi l’hanno già capito.
A Firenze sono stati occupati i licei Michelangiolo, Machiavelli Capponi, Rodolico e giovedì 16 ottobre anche l’Istituto Tecnico per il Turismo Marco Polo.

Il comunicato dell’occupazione della Succursale è stato attaccato sul cancello. “OGGI OCCUPIAMO LA SCUOLA”, si legge, tutto in maiuscolo. “E non lo facciamo per saltare le lezioni. Lo facciamo perché crediamo che la scuola debba essere un luogo di coscienza, non di silenzio. Un luogo dove si impara a pensare, a prendere posizione, a non voltarsi dall’altra parte. Mentre qui discutiamo di interrogazioni e compiti a poche ore di volo da noi ci sono bambini che non possono più entrare in classe. Non perché sono malati o impreparati, ma perché le scuole non esistono più. Sono state bombardate. Come le case, gli ospedali, le biblioteche, i quartieri. Questa non è solo una guerra tra due Stati. È un massacro. È un genocidio”, scrivono i ragazzi. Andrebbero ascoltati, andrebbe tutelato il loro diritto alla libertà d’espressione. Più spesso, andrebbe incoraggiato. Molte ricerche indagano il “disagio adolescenziale”, senza chiedersi come stanno gli adulti che degli e delle adolescenti dovrebbero prendersi cura.
“Ogni giorno vediamo quanta ipocrisia ci sia nel mondo che osserva e tace”, continua ancora il comunicato dell’ITT Marco Polo. “Si parla di ‘difesa’, di ‘equilibrio’, di ‘diplomazia’, ma non c’è nulla di equilibrato nella fame usata come arma, nella distruzione di un intero popolo. Oggi occupiamo perché non vogliamo essere complici. Perché sappiamo che chi resta neutrale davanti all’ingiustizia, si schiera con l’oppressore. Perché non possiamo studiare la Costituzione, i diritti umani, la storia, e poi tacere”.
Utilizzando la strategia di antagonismo verso la struttura che abitano ogni giorno, l* student* portano alla luce le forme di potere della scuola stessa. La loro è una lotta anti-autoritaria e, allo stesso tempo, immediata contro l’ultima proposta di legge che inquadra come ‘antisemitismo’ anche le critiche allo Stato di Israele. E’ una lotta trasversale, in cui utilizzano in primis i loro corpi su cui spesso si concentrano gli effetti del potere in quanto tali. E’ una lotta contro l’individualizzazione: con i loro corpi si rivolgono fuori da se stessi per fare spazio all’altro e attaccano tutto ciò che – dall’altro- li isola. Con l’occupazione si contrappongono ai privilegi del sapere ma anche alla segretezza, alla deformazione e alle immagini mistificanti imposte dai media mainstream e dalla politica (Foucault, 1976). La scuola è un luogo eterotopico, scriveva Foucault in ‘Potere e Strategie’. E’ uno spazio codificato, come il carcere e gli ospedali psichiatrici, “dove le manifestazioni vitali, organiche e psichiche implodono (Foucault, 1976, p. 106-107)”. Ma la scuola non può essere un “corpo politico” che assoggetta, sembrano gridare l* student*. La loro è la madre di tutte le lotte: vogliono essere i protagonisti del sapere, non diventarne il prodotto oggettivizzato. Si oppongono alle pratiche di divisione e di esclusione, agli esercizi che li vogliono ordinati e conformi, quindi più manovrabili e ubbidienti. E noi adulti non gli diamo spazio perché ci mettono in discussione come comunità educante.
Attraverso l’occupazione, si assumono il rischio politico di sfilarsi dalle relazioni di potere, dalla sorveglianza e dalla disciplina. Non vogliono essere visibili per essere sottomessi. Vogliono decidere come farsi vedere, per decidere cosa dire: perché i discorsi plasmano la realtà. Il potere è anonimo ma non è onnipresente proprio per questo – scriveva Foucault -ha bisogno di strutture di controllo. E proprio per questo può succedere che nelle occupazioni ci siano intrusioni esterne. “Una scuola occupata è un richiamo per molti, soprattutto di notte”, mi dice una docente. “So per certo che al liceo Rodolico questo tipo di interferenze ha spinto a terminare l’occupazione”. All’ITT Marco Polo, giovedì 16 ottobre, dalle 20 alle 23, un gruppo di docenti ha deciso di darsi appuntamento davanti all’entrata della sede principale della scuola. “Vogliamo dare un segnale di salvaguardia e supporto per la scuola e per gli studenti, trovando uno spazio nostro per discutere e rispettando, nella differenza dei ruoli, le scelte dei nostri studenti. Ci sarà uno spazio per gli interventi, la lettura di poesie e la musica”, hanno dichiarato l* docenti.
Una comunità si ritrova intorno alla scuola per produrre nuovi rituali di verità. “Lo facciamo per dare voce a chi non ce l’ha più. Per dire che la pace non si costruisce con le bombe, ma con il rispetto, la solidarietà, la giustizia. Perché ogni bambina, ogni bambino, ovunque nel mondo, dovrebbe avere il diritto di entrare a scuola, imparare, immaginare un futuro. Se la scuola tace, allora la facciamo parlare noi”, si legge ancora nel comunicato dell’ITT Marco Polo.
Martedì 21 ottobre occupano anche il liceo Virgilio di Empoli (nei plessi del classico, linguistico e artistico), il tecnico agrario delle Cascine e la sede del liceo Alberti di via San Gallo. L’altra sede dell’Alberti-Dante, in via Magliabechi, era già occupata da martedì 14 ottobre.
“Non si tratta di un’azione violenta. Ma di una presa di posizione consapevole”, dicono gli/le studenti del liceo Virgilio. La richiesta è chiara: non si accontentano più delle lezioni frontali, vogliono essere coinvoltə nel dibattito politico e parlare di Palestina a scuola. Per farlo, chiedono il coinvolgimento dellə loro docenti affinché si impegnino nella realizzazione di momenti di dialogo e confronto circa le tematiche sociali attuali.
Muoversi foucaultianamente alla ricerca dell’elemento sfuggente, come terreno fertile per la lotta contro i vincoli del potere, è la sfida di quest* student*, che dovremmo cogliere. Altrimenti ad afferrarlo saranno soggetti esterni alla scuola, pronti a vandalizzarla, come è successo al Liceo Meucci e Galileo. Andranno comprese anche le dinamiche sottese e di classe che non consentono alle scuole delle province limitrofe di organizzarsi; i loro sentimenti politici, dopo gli scioperi, non riescono a strutturarsi, più spesso implodono. Ma questa è, davvero, un’altra storia. O forse no.


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