Come il capitalismo digitale plasma le nostre vite, e qualche possibile via d’uscita

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Chi si fosse trovato a passare verso le sei di pomeriggio del 27 ottobre dalla libreria Alice Storyteller in via de’ Pucci 4 a Firenze, avrebbe avuto l’occasione di ascoltare alcuni interventi che prendevano spunto dal libro di Gilberto Pierazzuoli Il soggetto collaborativo. Per una critica del capitalismo digitale.

Si tratta di un testo che nasce dall’incontro di due precise vocazioni dell’autore: l’elaborazione teorica e la pratica politica. Proprio dall’ intreccio di questi due termini voglio partire, perché ritengo che sia la cifra di tutto il lavoro di Pierazzuoli e che emerga con particolare evidenza in questo suo ultimo contributo.

E’ un libro che non si “maneggia” facilmente. E’ complesso nella scrittura, sofisticato nelle argomentazioni, ricco nei riferimenti interdisciplinari (dalla filosofia, all’antropologia, agli studi di genere e altro ancora), anomalo nella struttura perché non segue lo svolgimento lineare di un filo concettuale ma procede “per accumulo e scarti, per ripetizioni e consolidamenti”. E chi legge potrebbe anche leggere un capitolo a sé. E’ un saggio che non necessita di una lettura ordinata, consequenziale. Sotto questo aspetto è un testo, si potrebbe dire, situazionista. Eppure è un libro militante.

Nasce, non a caso, all’interno di quel collettivo che è perUnaltracittà, di cui Pierazzuoli fa parte fin dall’inizio e che arricchisce con il suo portato intellettuale e creativo. Non ha dunque origine nelle stanze dell’accademia, ma da uno scambio tra attivisti e attiviste che potrei definire “appassionati volontari diffusori di pensiero critico”. Non a caso è stato pubblicato a puntate sulla rivista on line La Città invisibile nell’arco del 2021.

Per districarmi all’interno della fitta rete di un testo così denso, segnalo alcune parole chiave. Vi sono infatti termini ricorrenti che vengono introdotti, poi ripresi, articolati, connessi a altri nuclei semantici e che finiscono col tracciare la strada per chi si avventura nella lettura del testo: Lavoro, Logistica, Debito, Capitale, Piattaforme digitali, Mercato, Comunicazione, Algoritmo e, sopra ogni altra, Capitalismo. Prendiamo dunque quest’ultimo termine, qui definito con alcuni sinonimi: estrattivo, 4.0, ipercapitalismo, capitalismo digitale.

Per l’autore si tratta di un fenomeno nuovo. Non dell’evoluzione dello stesso sistema, ma di un cambio di passo radicale.

Infatti l’accumulazione di profitto oggi non deriva tanto dalla produzione, con i meccanismi classici di plusvalore che conosciamo (e che pure continua a esistere nelle delocalizzazioni, nella logistica, nel delivery, per fare solo qualche esempio). E neanche deriva solo da operazioni finanziarie, anche se si è parlato molto di capitalismo finanziario, che però secondo l’autore è solo una variante che si regge sulle stesse logiche del capitalismo classico. Sono, queste, due forme subordinate di estrazione del profitto, che vengono sussunte e dirette dal capitalismo digitale.

Oggi vediamo infatti una forma più astratta di potere che accumula profitto in altro modo. Lo fa attraverso brevetti (ad esempio sulle sementi), marchi, diritti d’autore. Ma soprattutto attraverso un certo uso che il capitale fa della comunicazione digitale, cioè di una massa enorme di dati accumulati, elaborati, profilati. Dati ricavati dalle nostre stesse vite: dati che noi stessi forniamo rispetto alle nostre abitudini, preferenze, gusti, desideri. Noi siamo sia chi fornisce la materia prima per un prodotto, sia chi lo acquista. Siamo lavoratori/consumatori allo stesso tempo.

Siamo, ci spiega Pierazzuoli, inconsapevoli lavoratori non pagati di piattaforme che utilizzeranno il contributo da noi fornito attraverso i like, i click, le pubblicità che leggiamo, i siti che visitiamo, i viaggi che prenotiamo, le ordinazioni on line. Lo utilizzeranno questo nostro contributo per creare profili di clienti sempre più affinati, e poi venderci oggetti e beni di cui probabilmente non abbiamo bisogno, ma che corrispondono in modo sempre più preciso al profilo di cliente in cui rientriamo e nel quale sempre di più ci riconosciamo. Con una sempre maggior varietà di offerta di merci, beni, servizi che attengono a un’identità che ci definisce. Io pratico un certo sport o ho certo tipo di svago nel mio tempo libero: ecco che attraverso un algoritmo mi verranno presentate offerte di merci, beni, servizi che sempre di più fissano quella come mia identità. Cioè spiega l’autore come le piattaforme alimentino algoritmi predittivi, cioè non si limitino a rispondere a un bisogno, ma ti dicano cosa devi acquistare, cosa guardare, cosa ascoltare. In sostanza, chi devi essere.

C’è qui la proliferazione dell’inutile, in un processo che deve crescere in modo inarrestabile. Quella identità che ti definisce deve essere temporanea, perché c’è sempre bisogno di dati “freschi”, aggiornati, per evitare che l’algoritmo predica sempre le stesse cose, e quindi depotenzi il suo scopo di far accumulare ulteriore profitto.

Ecco che allora in questo sistema il conflitto non sarà più solo tra capitale e lavoro come si intende in senso classico, perché il nostro apporto di lavoratori e lavoratrici non è più confinato al tempo della produzione, ma esonda nel tempo della riproduzione. E se dalle nostre vite si estrae il profitto, se siamo noi a arricchire le piattaforme, allora si giustifica un Reddito di base universale. Tema interessante di cui altri analisti critici si stanno occupando.

IL Capitalismo digitale è costituito da aziende monopoliste che agiscono attraverso piattaforme digitali: Booking, Uber, The Fork, Airbnb, per citarne solo alcuni. Da ogni prenotazione che noi facciamo su queste piattaforme viene trattenuta una percentuale, solo perché mettono in connessione domanda e offerta. Una sorta di “pedaggio feudale” dice l’autore, in barba alla libertà di movimento strombazzato dalla cultura neoliberista. La classe dominante oggi non possiede né i mezzi di produzione come i padroni delle fabbriche, né la terra come i proprietari terrieri. Booking non possiede alberghi, non ha dipendenti. Uber non possiede macchine e così via. Ma intercettano una quota del valore aggiunto che fluisce tra produttori e consumatori. Il Capitalismo estrattivo si basa dunque sul parassistismo assoluto, oltre che sullo sfruttamento dei lavoratori e lavoratrici: e qui l’affondo sugli effetti devastanti per chi lavora nelle fabbriche delocalizzate, è impiegato nel delivery come i nuovi schiavi rider, o lavora al nero nella “fabbrica del turismo” che Airbnb contribuisce a creare. Il testo sottolinea che non c’è solo questo tipo di sfruttamento esplicito e evidente, ma anche un altro, nascosto e invisibile, messo in atto dall’algoritmo predittivo.

All’interno di un testo che mette in luce principalmente i meccanismi perversi del sistema attuale, e gli impari rapporti di forza di un contemporaneo conflitto di classe, Pierazzuoli inserisce a più riprese spunti per una possibile alternativa. L’orizzonte non è chiuso del tutto, ma proprio sfruttando la tecnologia digitale del 4.0 ci può essere lo spazio per una possibile azione antagonista.

La rivoluzione, per usare un termine ‘pesante’, oggi non va più pensata come un fatto dirompente, come l’assalto a un centro di potere fisico ben identificabile, come lo spezzarsi delle catene. Per tutta le motivazioni connesse a quanto detto finora, oggi significa stare dentro il processo, decostruire dall’interno la macchina del capitale, utilizzando i suoi stessi mezzi, perché il problema non è la macchina. ma è la macchina eterodiretta dal capitale.

Se al comando c’è l’algoritmo, allora sarà rivoluzionaria ogni azione che rallenti e contrasti l’efficienza del processo, faccia deragliare l’algoritmo, lo inietti con un virus. In una parola attui sabotaggio nei confronti di un meccanismo complesso ma anche vulnerabile.

E poi, volgendo lo sguardo a un orizzonte propositivo, sempre utilizzando il 4.0, si può pensare a piattaforme pubbliche, a una collettivizzazione dei dati, alla costruzione di reti collaborative antagoniste, a una pianificazione collaborativa (su questo concetto ci sono pagine molto interessanti).

Si deve usare il mezzo digitale per fare l’esatto contrario di quello che il capitalismo gli fa fare. L’uscita dal capitalismo può essere pensata e attuata attraverso azioni anche puntuali che vadano in questa direzione, verso un sistema di beni comuni relativo per esempio a mezzi di trasporto, abitazioni e così via. (una Piattaforma comunale tipo Uber, con motore di ricerca pubblico etc).

Dobbiamo attuare forme di democrazia diretta possibili attraverso il potere dell’algoritmico. Una forma di comunismo digitale.

Un primo passo sarà, aggiungo io, la consapevolezza di come il meccanismo agisce, e di come plasma le nostre vite. Ecco, si può partire allora da questo libro, utile strumento per chi non si rassegna alla filosofia del “There Is No Alternatives”; dalle pagine di chi ci ha sollecitato a pensare, e a credere che, oltre a dissentire e criticare, si possa anche agire per un’alternativa possibile.

Qui la registrazione dell’incontro organizzato all’interno degli Incontri di Quinto Alto

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Ornella De Zordo

Ornella De Zordo, già docente di letteratura inglese all'Università di Firenze, e attiva per anni nei movimenti, è stata eletta due volte in Consiglio comunale - dal 2004 al 2014 - per la lista di cittadinanza 'perUnaltracittà', portando dentro il palazzo le istanze delle realtà insorgenti e delle vertenze antiliberiste attive sul territorio. Finito il secondo mandato di consigliera di opposizione ai sindaci Domenici e Renzi, prosegue con l'attività di perUnaltracittà trasformato in Laboratorio politico, della cui rivista on line La Città invisibile è direttrice editoriale.

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