Per descrivere questo momento nelle varie locandine abbiamo scritto: perché tutto ci riguarda. Lo abbiamo scritto perché come movimento ecologista siamo profondamente convinte che lo sguardo sulla crisi ecologica, le problematiche alle quali viene collegata e la narrazione che ne viene fatta, debbano essere ampliate.
Per politicizzare questa crisi e comprenderne le cause è utile provare a ricostruirne la storia, perché ricostruire la storia non è un esercizio innocuo, imparziale. Decidere dove inizia l’epoca in cui le azioni degli esseri umani sono diventate una forza geologica, ad esempio, e che nome dare a questa epoca, non sono esercizi accademici irrilevanti.
Questi dibattiti ci riguardano e riguardano ciò a cui prestiamo attenzione e cosa ci proponiamo di cambiare e di mettere in discussione. La teoria che definisce l’epoca in cui viviamo Antropocene, su questo punto ha avuto dei grandi meriti e delle grandi colpe. Se da un lato infatti ha reso evidenti gli enormi impatti ecologici dell’attività umana, sollevando l’attenzione del tema e stimolando una grandissimo dibattito a riguardo, dall’altro ha raccontato una storia problematica sulle origini della crisi ecologica.
Le problematiche a questo riguardo sono principalmente due: prima di tutto il tempo in cui viene situato il momento in cui prende inizio questa nuova epoca. Per le varie versioni della teoria antropocene infatti, le basi della crisi ecologica vengono situate all’alba della seconda rivoluzione industriale, con la scoperta del motore a vapore e l’utilizzo su larga scala del carbone come combustibile fossile. Questo posizionamento però nasconde le teorie, le pratiche, i modi di produzione e di organizzazione della natura che a partire dalla metà del millennio avevano creato le basi per lo sfruttamento delle risorse naturali su grande scala. Se ci raccontiamo che a causare la crisi ecologica sia stata la produzione industriale, e ignoriamo le spinte giocate in questo senso da un sistema organizzato per l’accumulazione del capitale, rischiamo di arrivare ad una conclusione per la quale smantellare le fabbriche, senza mettere in discussione un sistema basato sull’appropriazione e sulla crescita infinita, sia tutto ciò di cui abbiamo bisogno per risolvere il problema.
Jason Moore afferma a riguardo che “individuare le origini del mondo moderno nella macchina a vapore e nelle miniere a carbone significa dare la priorità alla dismissione delle stesse macchine e miniere (e delle loro incarnazioni del XXI secolo). Collocare le origini del mondo moderno nell’ascesa della civiltà capitalista a partire dal 1450, con le sue strategie di conquista globale, mercificazione infinita e razionalizzazione implacabile (piantagione), significa invece dare la priorità ai rapporti di potere, sapere e capitale che hanno prodotto – e ora stanno distruggendo – il mondo moderno come l’abbiamo conosciuto. Spegnere una centrale a carbone può rallentare il riscaldamento globale per un giorno; interrompere i rapporti che costituiscono la miniera di carbone può fermarlo per sempre”.
Il secondo aspetto problematico è il soggetto di questa teoria. La responsabilità della crisi ecologica infatti viene fatta ricadere sull’umanità come un soggetto unico, ignorando totalmente le stratificazioni all’interno di essa, i rapporti di potere e di subordinazione dai quali è attraversata e che influenzano radicalmente le responsabilità che i vari gruppi di popolazioni umane hanno a riguardo. Questo punto di vista porta a pensare di poter uscire da questa crisi senza mettere in discussione questi rapporti di potere e le strutture istituzionali sulle quali si basano e che li alimentano.
Il pensiero dominante dell’Antropocene oscura i rapporti effettivamente esistenti attraverso cui gli umani fanno la storia con il resto della natura: i rapporti di potere, di (ri)produzione. La crisi ecologica affonda le proprie radici in un’idea di mondo classista, colonialista, razzista e sessista e non si può pensare di affrontarla senza mettere in discussione queste basi. Pensiamo sia fondamentale identificare le ragioni delle cause che hanno portato alla crisi ecologica nel sistema capitalistico, identificato non solo come un sistema economico, ma come un modo specifico di organizzare la natura e la società. Un sistema sociale che mette il resto della società e la natura al servizio dell’economia, mercificando tutto e dando la possibilità agli attori economici più forti di ottenere quello che vogliono anche al di fuori dell’economia. È nell’analisi delle cause profonde di questa crisi infatti che vanno ricercate le vie che ci possono permettere di uscirne. È fondamentale che prestiamo attenzione e che stiamo attente a quale storia ci viene raccontata a riguardo, perché dalla storia che ci raccontiamo appunto dipende ciò che ci proporremo di combattere e cambiare.
Negli scorsi anni, come movimento ecologista, abbiamo vinto una prima lotta, quella per affermare che la crisi climatica sia reale, dagli anni ’70 infatti le aziende di combustibili fossili e altri grandi protagonisti delle maggiori industrie globali hanno investito miliardi in campagne di disinformazione per continuare a fare profitti sulla vita delle persone e sulla distruzione del pianeta. Oggi si può dire che a livello di dibattito pubblico questa battaglia è vinta, anche se restano alcune importanti eccezioni. Questo però significa che ora è arrivato il momento di combatterne un’altra lotta, molto più complessa, quella che riguarda il decidere come questa crisi debba essere affrontata. Ecco allora che le cose si complicano e il nostro ruolo passa da essere quello di smuovere e convincere le persone ad ascoltare quello che scienziate e scienziati di tutto il mondo dicono con certezza da anni, al chiedere alle persone uno sforzo enormemente più grande, quello di immaginare un mondo nuovo, dove i rapporti di forza vengono completamente ribaltati.
La transizione ecologica è una transizione di civiltà, come la crisi ecologica è una crisi di civiltà, non può risolversi con una semplice transizione alle energie rinnovabili che mantenga inalterati i rapporti di potere nelle nostre società. Non possiamo passare dai baroni dei combustibili ai baroni delle energie rinnovabili. Non possiamo continuare a lasciare alle grandi industrie il controllo e la facoltà di decidere su cose così importanti per la nostra vita, come: cosa, come e quanto produciamo. In questa sfida gigantesca si rende allora evidente il fatto che i movimenti ecologisti non possano pensare di portare avanti questa lotta in maniera isolata, così come altri movimenti e lotte non possono più pensare, date le condizioni, di portare avanti rivendicazioni che ignorino la necessità di ricostituzione con l’ambiente al quale si relazionano.
Vediamo infatti che non solo la crisi climatica ed ecologica aggrava le situazioni di vulnerabilità e sfruttamento e le disuguaglianze, in situazioni in cui le persone che appartengono alle classi più ricche sono le uniche a potersi permettere di riprendersi da eventi climatici estremi che si ripetono a intervalli sempre più brevi. Ma allo stesso tempo le disuguaglianze agiscono da cause della crisi ecologica, con una piccola parte della popolazione molto ricca che consuma quantità di risorse e produce quantità di scarti che il resto della popolazione del pianeta non potrà mai permettersi.
E non sono solo le disuguaglianze economiche a giocare un ruolo così importante nell’aggravare la crisi, anche le norme di genere, che mantengono oppresse le soggettività non conformi al maschile contribuiscono ad aggravare la situazione. Il patriarcato e le norme sociali alle quali sono chiamate a rispondere le persone socializzate come uomini infatti spingono alla competizione, all’ottenimento del potere, alla sottomissione delle altre persone, ma anche a consumi esagerati e stili di vita sprezzanti dei limiti, siano essi sociali o ecologici. Capiamo allora che sono tante le linee di oppressione che dobbiamo andare a combattere per cercare di costruire un mondo nuovo.
Proprio per questo oggi abbiamo deciso che sarebbe stato importante esplorare alcuni dei grandi problemi che caratterizzano la nostra realtà, per comprenderne i collegamenti con la crisi climatica ed ecologica e le modalità attraverso le quali queste problematiche si aggravano l’una con l’altra in un circolo vizioso. Pensiamo sia così importante fare questo esercizio di connessione e di comprensione delle problematiche comuni perché il capire come rispondere a questo intreccio di crisi non può prescindere dal comprendere che alla crisi climatica non si può rispondere con una soluzione tecnica. E questo è fondamentale da capire perché spesso, quando si parla della crisi climatica ad esempio, ci si auspica l’intervento di una tecnocrazia che imponga le politiche di transizione dall’alto, seguendo solamente gli imperativi del conteggio quantitativo delle emissioni in atmosfera e vedendo le tecnologie come imparziali. Questa visione però si basa sul fatto di ignorare che la crisi ecologica sia alimentata proprio da una crisi della democrazia, della capacità e della possibilità per le persone di discutere democraticamente della gestione dei propri territori e delle proprie vite comunitarie.
È per questo che crediamo, e con evento speriamo di posare un altro mattone sulla costruzione di questo processo, che la crisi ecologica vada affrontata in stretta interconnessione con le altre lotte e che la convergenza, questa parola che abbiamo imparato insieme al collettivo di fabbrica, e che è presto diventata una pratica imprescindibile per noi, sia l’unica via possibile. Certo praticarla nel concreto è difficile e non sempre ci siamo riuscite, ma serve per noi come faro da seguire. E insieme dobbiamo fare due cose, resistere continuando a lottare per opporci alla voracità di un capitalismo che prova ad inglobare tutti gli spazi esistenti, ma allo stesso tempo in maniera complementare, sperimentare pratiche nuove, inventare alternative per far cadere il mito del capitalismo come unica via possibile. È quello che stiamo provando a fare e questo momento serve anche per dirci a che punto siamo, come sta andando, imparare le une dalle altre, influenzarsi e contaminarsi. Perchè stiamo già lottando, anche in maniera dura, contro la repressione, la colonizzazione e l’oppressione, contro lo sfruttamento sul luogo di lavoro, contro l’erosione degli spazi sociali e l’espulsione di ampie parti di popolazione dalle nostre città.
Ma stiamo anche già costruendo alternative, riprendendoci gli spazi in città e facendoli vivere secondo dinamiche diverse, o provando a riprenderci una fabbrica intera, per dimostrare che possiamo immaginare un modo diverso di farla funzionare, che sia utile al territorio. E in questo processo è fondamentale che ripartiamo dalla necessaria capacità di imparare a fare attenzione a ciò da cui dipendiamo. Una cosa di cui la filosofia occidentale ci ha convinto e su cui è stato costruito il sistema capitalistico è proprio la separazione dell’essere umano da tutto ciò che lo circonda. L’idea di non avere bisogno di niente, se non della ragione e della scienza per vivere classificando e organizzando le altre forme di vita a nostro piacimento. Ma se c’è una cosa che la crisi ecologica ci ricorda è che dobbiamo ripensare completamente le nostre idee di benessere ed autosufficienza. Non potremo mai vivere vite piene e serene basate sulla distruzione e la sottomissione di altre specie ed ecosistemi. È per questo che uno degli esercizi fondamentali che deve essere alla base delle nostre rivendicazioni e delle nostre elaborazioni sui modi di vivere alternativi che vogliamo costruire è quello di prestare attenzione, di pensarsi in relazione con ciò che ci circonda e di capire da cosa le nostre esistenze dipendono profondamente. Allora capiamo che siamo inseriti in rapporti complessi più che umani e che come umani non possiamo esistere e prosperare senza tenere in considerazione le complesse relazioni dalle quali dipendiamo per la nostra vita e per il nostro benessere. Allora ancora capiamo che non possiamo pensarci al di fuori della materialità, non possiamo pensarci a prescindere da un territorio, concreto, fatto di luoghi, persone, nature e strutture sociali complesse.
Situarsi in un territorio è fondamentale perché implica studiarlo, quel territorio, conoscerlo, e chiedersi cosa sia importante difendere di esso e cosa valga la pena di reinventare nel presente. Ed è da questa unità di misura, locale, che dobbiamo costruire alternative situate, che prendano in considerazione il contesto in cui si sviluppano e che vengano pensate per quel contesto. Per farlo dobbiamo lottare e resistere per proteggere quei pochi spazi non mercificati che ci sono rimasti, per opporci a decreti legge liberticidi, per difendere il nostro diritto di esprimere dissenso verso un sistema neoliberista che prova al contrario a frammentare e individualizzare tutto. E poi dobbiamo attraverso le nuove pratiche a cui accennavo prima imparare cosa vuol dire curare quei territori da cui dobbiamo ripartire, e questo significa ri-imparare a parlarsi, a discutere e a decidere in maniera democratica cosa serva al territorio. Per farlo abbiamo bisogno di spazi dove trovarci, ma anche di un lavoro che ci lasci il tempo di poterci preoccupare ed informare su quello che succede intorno a noi. Significa elaborare intenzionalmente pratiche che ci permettano di ri-orientare la nostra attenzione verso ciò a cui decidiamo insieme di dare valore, per rompere con lo schema capitalista che assegna valore solo in funzione della possibilità di estrarre profitto.
Ci rifiutiamo di pensare che la soluzione per la crisi ecologica sia il capitalismo verde, ci opponiamo con forza alla mercificazione della natura dei mercati di carbonio e di scambio delle emissioni. Siamo convinte invece che la transizione debba essere localizzata e partire inevitabilmente dal basso, da coalizioni eterogenee di attori sociali, per questo pensiamo sia fondamentale essere qui in questo luogo a parlare di queste cose, perché da questa fabbrica è partito e si sta elaborando uno dei tentativi di rendere materiali i discorsi che abbiamo appena fatto, di dimostrare che non parliamo di utopie impossibili, ma di utopie reali e presenti.

Fridays For Future
