Alcune riflessioni sul Piano infanzia

  • Tempo di lettura:4minuti
image_pdfimage_print

Il ministero della Famiglia ha presentato al Comitato Tecnico Scientifico un Piano per i centri estivi e i servizi per l’infanzia che è stato elaborato sulla base di un documento prodotto del tavolo convocato dall’Anci che riuniva politici, amministratori e pediatri (nessun educatore, nessun maestro, nessuno psicologo).

Ci soffermeremo su quest’ultimo che costituisce la matrice da cui, con alcun modifiche suggerite, crediamo, dagli esperti dell’istituto degli Innocenti, è stato tratto quello inviato al CTS.

I capisaldi del piano sono: misurazione della febbre e lavaggio delle mani, distanziamento sociale, attività prevalentemente all’aperto, gruppi molto piccoli e stabili e divisione in isole separate.
Appurato che sottoporre i bambini al termoscanner è la procedura meno invasiva tra quelle disponibili  restano tre elementi che colpiscono l’attenzione: la divisione degli spazi in isole, il rapporto numerico e il distanziamento sociale.

Giudichiamo negativamente la divisione di spazi aperti in isole, sia per un fatto estetico (e i bambini crescono bene nel bello e crescono male nel brutto e nel raffazzonato), sia per un fatto sociale: dare l’idea che altri gruppi umani siano inavvicinabili perché potenzialmente pericolosi è una “pedagogia nera” che può rendere le persone più sospettose, insicure e fredde.

Finché la separazione avviene in ambienti chiusi, come la (seppur discutibile) separazione verticale per classi di età nella scuola vecchia e orizzontale per attività nella “education nouvelle”, occhio che non vede cuore che non duole, ma farla i un giardino significa creare una situazione … guantanamera!

Molto meglio sanificare e preparare più spazi (ci sono tante ville e giardini pubblici poco frequentati o chiusi da anni!) ed ammettere in ogni spazio gioco un gruppo solo, o al limite due gruppi, “piccoli” e “grandi “.

Giudichiamo invece positivamente il rapporto numerico tra ragazzi e educatori pensato dagli estensori del documento, che sembra adeguatamente calibrato sulle esigenze delle diverse fasi dello sviluppo e crediamo che sia l’unica innovazione che dovrebbe rimanere dopo il virus, oltre al lavaggio delle mani (anche per noi adulti).

Restiamo però nel dubbio su cosa si intenda per rapporto numerico 1 a 1 in caso di disabili: verrà aggiunto un educatore al gruppo o il disabile verrà isolato? La prima soluzione non sarebbe innovativa e non meriterebbe di essere citata nel documento, la seconda sarebbe inammissibile e una terza a cui si potrebbe pensare, quella in linea con le leggi dello stato e con l’idea di chi le ha scritte, non torna da un punto di vista algebrico: se ad ogni gruppo con bambini disabili si aggiunge un educatore (che ovviamente e giustamente interagirà con tutti i bambini e non solo con il disabile) il rapporto sarà 2 a 3 in un gruppo di sei bambini e così via, mai 1 a 1. E’ un cavillo ma in tempi in cui si sente dire che anche in chiesa i disabili verranno separati dal resto del “popolo”, è bene non lasciare adito a dubbi.

Infine un dilemma: le procedure igieniche in ingresso è meglio che siano svolte con estrema naturalezza e sottotraccia o è meglio ritualizzarle come un gioco o un rito mattutina? Nel primo caso, preferibile dal punto di vista educativo se si ha a cuore lo sviluppo della persona pienamente umana e non dell’uomo senza qualità, si rischia di fare le cose in modo sciatto e inefficace dal punto di vista sanitario; nel secondo, che ha diversi precedenti nel mondo dell’educazione, si pensi agli Scout, ai Pionieri e ai Kibbo, si potrebbe però scivolare verso una esaltazione eccessiva dell’appartenenza al gruppo a detrimento dello sviluppo individuale.

Queste sono considerazioni di carattere generale, ma volgiamo lo sguardo ai più piccoli: può una bella attività, un bel gioco o una parola buona sostituire, specialmente per loro, un abbraccio? No, non può. Il contatto fisico è parte integrante della loro crescita e se non può svolgersi in sicurezza, si ha una relazione snaturata o, peggio, per loro incomprensibile con persone troppo distanti.
E a quell’età si ha bisogno a volte di essere imboccati, puliti, cambiati… tutte cose che non solo non possono essere svolte mantenendo il distanziamento sociale, ma che richiedono di essere fatte in modo caldo, umano e non sbrigativo e asettico.

Sarebbe forse il caso di far rileggere il piano che il governo vorrebbe attuare a gente del mestiere dopo che il CTS (nel quale, ripetiamolo, gli unici che professionalmente si interessano un po’ di psicologia e di educazione sono i pediatri) avrà espresso il suo parere sugli aspetti igienico-sanitari.

*Chiara Rantini e Massimo De Micco

The following two tabs change content below.

Chiara Rantini e Massimo De Micco

Ultimi post di Chiara Rantini e Massimo De Micco (vedi tutti)

1 commento su “Alcune riflessioni sul Piano infanzia”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Captcha *