L’antinomia di Enrico. La nuova-vecchia sanità toscana

L’antinomia è una modalità espressiva logico-linguistica di derivazione filosofica che, in qualche modo, attiene al paradosso ed alla contraddizione. Enrico è propriamente Enrico Rossi, governatore della Toscana.

Il tema che implicitamente lega nel titolo Enrico Rossi e l’antinomia è quello della sanità pubblica – ambito con il quale si è sempre fortemente identificato e qualificato.  Ed in particolare gli effetti di provvedimenti recentemente adottati dalla Giunta regionale, fortemente voluti dallo stesso che li ha accompagnati e spiegati con una certa enfasi. “Cambiare con coraggio per salvare la sanità pubblica” che su Facebook viene lanciato in maniera molto personalizzata come “voglio salvare…” e che in alcuni incontri pubblici è diventato qualcosa del tipo “fare di più e meglio con meno…” oppure ancora qualcosa di simile a “dimagrire per non morire”. In estrema sintesi il rimedio consisterebbe nella riduzione del numero di Aziende Sanitarie con l’obiettivo di arrivare a tre (ma il ministro Lorenzin solo pochi giorni fa dichiarava che la cosa non sarebbe poi molto utile!) e nel mettere in esubero un paio di migliaia fra medici, infermieri ed operatori sanitari di altro tipo. Traduzione: il danno l’ha fatto qualcun altro ma fidatevi di me. In breve: la necessità di fare ricorso alla cura dimagrante è dovuta ai tagli operati dal Governo centrale sui bilanci delle Regioni ed il merito delle soluzioni che porteranno al salvataggio è assolutamente autoreferenziale.

pronto-soccorso-pratoIl tutto puzza molto di vecchia politica in quanto a linguaggio ed a modalità. Inoltre, è piuttosto mediocre sul piano della comunicazione. Tanto che il recente collaudo in una Casa del popolo del comprensorio pistoiese, cioè in senso politico a “casa” del presidente Rossi, non ha avuto un esito positivo visto il tono degli interventi di dipendenti ed utenti. I primi esasperati da carichi e condizioni di lavoro insostenibili aggravati dall’enorme confusione generata in ambito ospedaliero dal nuovo modello organizzativo “per intensità di cure” ed i secondi da tempi di attesa biblici, esodi verso ospedali lontani sempre meno accessibili e ticket salati anche perché artificiosamente gonfiati (vedi contributo per la digitalizzazione). E la reazione piuttosto risentita dello stesso, che evidentemente non ama essere contraddetto non si è fatta attendere. Perché è avvenuto questo? Appare evidente che il motivo è da ricercare nella distanza enorme che esiste fra il vissuto quotidiano di dipendenti ed utenti ed i contenuti dei provvedimenti adottati insieme alle modalità di presentazione che con l’impiego della logica e della intuizione più elementari risultano poco credibili.

Fin qui le chiacchiere. I dati e la realtà documentata sono impietosi a partire dal fatto che di accorpamenti e mega-asl se ne parlava già nei piani sanitari varati da una decina d’anni a questa parte. E per chi ha un po’ di memoria, quindi, appare evidente che questo profilo riorganizzativo è la conclusione di un percorso già da lungo tempo avviato che poco ha che fare con i tagli del Governo centrale. Questi, al massimo possono aver funzionato da acceleratore se non, addirittura, da alibi.  La faccenda non è proprio indifferente considerata l’appartenenza politica di chi presiede il Governo centrale e di chi presiede il Governo regionale toscano. Poiché lo scopo di questo contributo è quello di spostare lo sguardo da quello che si è deciso di fare con la legge regionale di riordino del sistema sanitario, recentemente approvata, a quelli che saranno i possibili effetti dei provvedimenti adottati, è utile ricorrere al supporto di alcuni dati. Preliminarmente può essere utile mettere a fuoco alcuni stereotipi.

Gli stereotipi

1.    La sanità costa troppo – La spesa sanitaria italiana rappresentava nel 2012 il 9,2% del P.I.L., percentuale molto vicina alla media OCSE che era del 9,3% e, comunque, ridotta del 3% in termini reali. Inferiore nell’ordine a Stati Uniti, Paesi Bassi, Francia, Svizzera, Germania, Austria, Danimarca, Canada, Belgio, Giappone, Nuova Zelanda, Svezia, Portogallo, Spagna, Slovenia, Norvegia, Regno Unito e Grecia per un differenziale compreso fra lo 0,1% ed il 7,7%. Inoltre, quando si parla di spesa sanitaria bisogna precisare che si intende la somma di quello che è finanziamento pubblico e finanziamento privato (ticket, assicurazioni, pagamento diretto della prestazione) e può essere interessante notare che la partecipazione del pubblico in Italia è inferiore a quella di quasi tutti i paesi elencati compresi gli USA (OECD Health Statistics, 2014). Con riferimento alla Toscana la spesa privata pro-capite nello stesso anno risulta, peraltro, più alta della media nazionale e caratterizzata da una ripartizione nettamente sbilanciata fra beni (oltre il 60%) e servizi. In conclusione una domanda: ma poi è corretto considerare la Sanità un costo? In una realtà come quella italiana non sarebbe più adeguato inquadrarla come fattore di sviluppo?

2.    Troppi ospedali e troppi posti letto – La stessa fonte (OECD Health Statistics, 2014), con riferimento al 2014, riporta un valore medio di 3,4 posti letto/1.000 abitanti in Italia a fronte di 4,8/1.000   in area OCSE. La Toscana si colloca sotto i 3,2 posti letto/1.000 abitanti. Questo vuol dire che se si prende a riferimento la media OCSE ci sono circa 84.000 posti letto in meno in Italia e 5.600 in meno in Toscana. Quest’ultima, comunque, ha 700 posti letto in meno rispetto alla media nazionale dell’anno 2012 e 1.750 in meno rispetto ai più recenti standard indicati dal Ministero della Salute (3,7 p.l./1.000 abitanti).

3.    Troppo personale in sanità – I medici in Italia sono 3,9/1.000 abitanti a fronte di 3,2/1.000 abitanti in area OCSE mentre gli infermieri sono rispettivamente 6,4 contro 8,8. Una caratteristica del SSN è che la componente medica è formata da soggetti che afferiscono ad aree contrattuali diverse (con costi pro-capite molto differenti): medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e medici di guardia medica (rispettivamente 45.878, 7.718, 12.104 secondo l’ISTAT) a rapporto di tipo parasubordinato; il resto medici ospedalieri dipendenti ed universitari, a loro volta con contratti differenti. In Toscana al 2011 risultavano attivi 2.931 medici di medicina generale e 444 pediatri convenzionati con 1.113 e 880 pazienti pro-capite. Drammatica, d’altra parte, la carenza degli infermieri al punto che in Toscana anche se venissero impiegati tutti gli iscritti al Collegio professionale IPASVI si supererebbe di poco il valore del 7/1.000.

4.    Si spende troppo in farmaci – In Italia la spesa per farmaci è scesa in termini reali del 14% fra il 2008 ed il 2012. Questa riduzione è probabilmente dovuta ad una serie di fattori: il contenimento dei tetti di spesa a livello regionale, la riduzione dei margini per grossisti e farmacie, il taglio dei prezzi dei farmaci generici il cui consumo è in aumento (dal 6% nel 2008 al 9% nel 2012) pur restando a livelli sensibilmente inferiori di quelli osservati in altri paesi OCSE. Nei primi 9 mesi del 2014 dei 19.875 milioni di Euro spesi, il 41,5% era ascrivibile alla convenzionata lorda, il 22,5% connessa all’attività di strutture ospedaliere e penitenziari, il 24,4% privata di vario titolo (automedicazione, farmaci di classe C con ricetta ecc.) (OSMED, 2015). Poiché la spesa in farmaci non ha necessariamente una corrispondenza diretta con i consumi mettendo in relazione i consumi in termini di dosi standard (DDD/1.000 abitanti die) con la spesa pro-capite nel comparare la situazione su scala inter-regionale, emerge un quadro caratterizzato da una importante variabilità. In questo ambito la Toscana risulta essere una delle regioni in cui si è avuta la contrazione più significativa dei consumi e della spesa.

La qualità dei servizi. La salute dei cittadini

L’analisi di alcuni dati correnti rende ragione del fatto che una delle caratteristiche del Sistema Sanitario Toscano è la disomogeneità della distribuzione di risorse, della mobilità ospedaliera, dei dati di salute, ecc. sul territorio regionale. Prendendo a riferimento le Aziende Unità Sanitarie Locali come unità di analisi attraverso alcuni indicatori semplici ma robusti emerge un quadro fatto di sperequazioni più o meno grandi. Partendo dal fatto che il finanziamento delle Aziende territoriali in forma di quota capitaria non è omogeneo in termini assoluti e nemmeno differenziato per effetto della correzione apportata a compensazione di  strutture demografiche differenti (distribuzione per fasce di età e per genere) ma diverso per ragioni “storiche” di allocazione di risorse nei bilanci, l’analisi dei flussi dei ricoveri “importati” dalle tre Aziende Universitarie (Firenze, Pisa e Siena) e pagati dalle Aziende territoriali rende evidente un  rilevante elemento di squilibrio della rete ospedaliera che ha ricadute onerose anche sulla disponibilità delle loro risorse economiche.

Anche questo fenomeno conosciuto comunemente come “fuga” dei pazienti dalle strutture ospedaliere dei territori di residenza ha livelli di grande disomogeneità: nell’ambito delle singole Aree Vaste ha valori complessivi annuali che vanno dal 4% all’ 8% circa a Siena, fino ad un range dell’ 8 – 19% a Pisa ed hanno conosciuto un andamento pressoché costante di crescita (con l’eccezione di Siena) a partire dal 2002. Questo è diventato un elemento di carattere strutturale che non è finalizzato a concentrare le risposte ai problemi di maggiore complessità su strutture di elevata specializzazione ma deriva in larga parte dalla insufficiente dotazione di posti letto ospedalieri che in alcuni ambiti arriva a sfiorare i 2/1.000 abitanti  e non è in grado di dare risposta anche ai bisogni assistenziali di bassa e media complessità sommata ad un’organizzazione territoriale assolutamente inadeguata a fare fronte a queste necessità. Anche i tempi di attesa per alcune prestazioni ambulatoriali nel 2014 risultano fortemente sperequati. Ad esempio, prendendo a riferimento la percentuale di visite cardiologiche prenotate entro 15 giorni (con riferimento all’indicatore tempo effettivo) si va dall’8,8% dell’Azienda Ospedaliero Universitaria senese al 63,4% dell’Azienda Sanitaria Locale fiorentina.

Ovviamente non è il solo caso perché si registrano valori simili per altre visite specialistiche e per la diagnostica per immagini. Anche i tassi di mortalità generale e per singole cause standardizzati (la standardizzazione consente di neutralizzare gli effetti della diversa struttura demografica sulla mortalità) e non, così come gli ultimi dati disponibili riferiti alla mortalità evitabile (Banca dati mARSupio, Agenzia Regionale di Sanità della Toscana) tracciano un quadro di importanti inomogeneità.

Conclusione

In conclusione, la preoccupazione è che il riordino del Sistema basato sulla concentrazione di alcune funzioni gestionali e tagli di personale piuttosto che sulla capacità di governare e coordinare i processi assistenziali nel senso dell’efficienza e dell’appropriatezza, applicato ad uno scenario come quello sommariamente descritto ed in un contesto di grave crisi economico-occupazionale possa ulteriormente aggravare squilibri ed iniquità. Il possibile depotenziamento della capacità di rispondere ai bisogni di salute rischia di introdurre fra i cittadini una discriminante di tipo economico conforme alla Sanità di un passato che si pensava definitivamente tramontato.

D’altra parte già nel 2002 lo “Studio Longitudinale Toscano” concludeva che “… tutti gli indicatori usati sono risultati associati significativamente ad un eccesso di mortalità. (…) I tumori, le malattie dell’apparato digerente, le malattie dell’apparato respiratorio, le cause evitabili sono fortemente associate alle condizioni socio-economiche. (…) Il secondo paradosso che caratterizza le disuguaglianze è che queste tendono ad aumentare”.

*Corrado Catalani, medico, dirige l’U.O. di Malattie Infettive della ASL 3 di Pistoia