Spunti per una riflssione critica sul Jobs Act (parte quarta)

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Il grande rimosso: l’occupazione femminile.

Non vi è dubbio che alla base della piramide antidemocratica si trovi la grande maggioranza delle donne che sono le più colpite dal venir meno dell’apparato normativo garantista in favore della flessibilità delle “risorse umane”, rese merce nel mercato del lavoro.

La frammentazione del lavoro, spesso a chiamata, che rende quasi impossibile una pianificazione degli impegni personali non si concilia con le attività di cura famigliare che per le donne italiane occupa fino a 51 ore settimanali se sono sposate e con figli.

Le rilevazioni statistiche dicono anche che il carico di lavoro famigliare, unito alla mancanza di valide strutture pubbliche di welfare, induce il 44% delle donne a rinunce di vario genere e intensità in ambito lavorativo, mentre ciò accade solo al 19% degli uomini. Un frutto avvelenato della divisione sessuale del lavoro.

download (1)Come si è detto, tutto l’apparato legislativo degli anni Duemila ha imposto una flessibilità della prestazione lavorativa che determina la completa cancellazione della possibilità di autogoverno della propria esistenza, poiché il tempo della vita è conformato in via esclusiva sulle esigenze delle imprese.

Questa è una spiegazione realistica del fenomeno, ma solo di superficiale evidenza.

Non va dimenticato che molti casi mostrano come fin dagli anni Ottanta del secolo scorso, per le donne si verificasse una sorta di anticipazione di precarietà giocata, però, nella grande fabbrica o nella grande distribuzione o nel terziario avanzato, vigente il diritto del lavoro garantista di allora.

Ne riferisco analiticamente in due scritti degli anni 2009 e 2010: “Donne ai confini dello stato sociale” e “Donne sull’orlo della crisi: casi di lavoro femminile fra produzione riproduzione” nel testo collettaneo L’Emancipazione Malata edito dalla Libera Università delle Donne di Milano.

Si faceva allora presente che il futuro ha un cuore antico, cioè si affacciava la possibilità concreta di un regresso nella trama dei diritti e delle garanzie per tutti coloro (la maggioranza degli umani) che la lotteria della nascita ovvero le scelte personali collocano assai distanti dalle leve del potere. Respingono, cioè, ai margini della società, opulenta o in crisi che sia.

Molti dei casi di lotta sindacale riferiti mostrano un intreccio fra conflitto di classe e conflitto di sesso per l’aggiudicazione di risorse via via sempre più scarse.

Si era reso evidente che, anche in situazioni (oggi impensabili) di lavoro stabile tutelato da un apparato di leggi garantiste, nei casi di licenziamenti collettivi e sospensioni in Cassa Integrazione Guadagni per ristrutturazioni aziendali, le donne apparivano penalizzate, dequalificate nelle mansioni, espulse in via prioritaria, essendo carente già allora un sostegno efficace alla lotta da parte dei sindacati confederali; il che ci ha fatto pensare che molte erano iscritte a quelle associazioni, ma certamente non erano rappresentate.

Più precisamente, persino nelle grandi imprese, già prima della legislazione che ha favorito la precarietà del lavoro, nella vigenza di leggi garantiste di attuazione costituzionale, la mano d’opera femminile è stata penalizzata in termini di permanenza al lavoro, qualificazione e livelli retributivi; questa svalorizzazione di sesso in alcuni casi era persino favorita da accordi sindacali in deroga alla legge.

Oggi poi, anche se i dati non sono facilmente scomputabili per sesso, alcuni studi dimostrano che dell’enorme disoccupazione e inoccupazione giovanile, della gran massa di tipologie contrattuali flessibili, la parte più rilevante è riservata a esseri umani di sesso femminile.

In particolare, Valeria Solesin (giovane ricercatrice presso la Sorbona assassinata il 13 novembre 2015 da terroristi islamici) nel suo recente studio “Asimmetrie del mercato del lavoro e ruoli di genere”, rileva come il lavoro femminile sia nell’anno di grazia 2014 ancora strumentale alle diverse fasi della vita, nel senso che la maggioranza delle donne mette da parte la propria attività professionale quando si trova ad avere figli in età prescolare. Una scelta volta a garantire il benessere famigliare che significa “segregazione in ruoli di genere”.

In Italia, infatti, secondo statistiche ufficiali, il tasso di occupazione femminile è permanentemente inferiore di circa il 25% rispetto a quella maschile.

Uno svantaggio rilevante che sembrerebbe destinato a produrre tensione tra la responsabilità delle vite e le costrizioni di un lavoro frammentato, più che mai subalterno (nella realtà, nonostante le definizioni mistificatorie), fino al punto di sollecitare un nuovo conflitto per conquistarsi una vita degna.

Un conflitto che mi auguro giocato congiuntamente da due sessi non divisi, all’interno della classe, da collocazioni fra loro antagoniste nel conflitto di sesso, attivato per ottenere il primato nella aggiudicazione delle magre risorse esistenti.

E’ mia opinione, infatti, che il conflitto di classe sia stato depotenziato dal conflitto di sesso indotto da pratiche egoistiche di stampo patriarcale entro la classe. Ne conseguono responsabilità politiche precise, ancora da analizzare compiutamente.

*Maria Grazia Campari, avvocata esperta in diritto del lavoro

Prima parte

Seconda parte

Terza parte

 

 

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Maria Grazia Campari

Avvocata, è socia della Libera Università delle Donne di Milano e dell'associazione Rosa Luxemburg di Firenze. Ha scritto per varie riviste (Democrazia e Diritto, Quale Giustizia, il Diritto delle Donne, Reti, Alternative, Sottosopra, il Paese delle Donne) su temi come il diritto sessuato, la violenza sessista, la rappresentanza politica e sociale, la cittadinanza femminile e la bioetica. Ha partecipato alla scrittura di alcune opere collettanee: “Donne e diritto. Lessico politico delle donne”, “Percorsi del femminismo milanese a confronto”, “L’eredità del femminismo per una lettura del presente”, “Ai confini dello stato sociale”, “Con Rosa Luxemburg – politica, cultura, impegno contro la guerra”, “Donne e uomini nella politica: rappresentanza, partecipazione, conflitti”.

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