“Non ti azzardare a voler fare la contadina. Noi possiamo sostenerti solo se decidi di fare l’imprenditrice agricola. In tal caso avrai la nostra consulenza e l’aiuto a produrre un business plan per la tua startup. Avrai anche tanti soldi a fondo perduto se ne investirai dei tuoi, perché il denaro gira e bisogna essere bravi ad acchiapparlo. Anche se ogni tanto qualcuno ci rimette le penne, va detto”. Sono queste le risposte che arrivano ad una giovane donna a cui muore il nonno. Le ha appena lasciato in eredità la vecchia casa con il podere di famiglia annesso. Il suo desiderio, presto la sua illusione, è quella di tornare alla vita contadina: seminare il grano e fare il pane per soddisfare il bisogno primario delle persone, nutrirsi. A ostacolare la sua concezione di campagna sono il funzionario pubblico addestrato dai dominanti di turno, il sindacalista incapsulato nelle istituzioni che si è venduto l’anima, i nocivi, ovvero i promotori finanziari pronti a dare credito, e a lucrare, solo per un progetto da almeno 400mila euro perché “qualsiasi cifra più bassa non è degna di attenzione”.
È uno stralcio della trama de Il Minestrone, l’ultimo spettacolo del Teatro Contadino Libertario nato a Mondeggi, la fattoria senza padroni sulle colline fiorentine. I 4 protagonisti, autori, attori, registi, scenografi, produttori di se stessi, li abbiamo incontrati al termine dell’esibizione alla casa del popolo di Settignano, degna coronazione dell’assemblea pubblica a sostegno della fattoria. Sono Davide Cecconi, Emiliano Terreni, Giovanni Pandolfini, Tania Cecconi.
Come non immedesimarsi nella disperazione della giovane donna, interpretata da Tania Cecconi, mentre i suoi tentativi di semina sono frustrati da un manager, Giovanni Pandolfini, pronto a sfrattarla per la costruzione di una Grande opera dopo aver espropriato con la corruzione i suoi vicini? Come non compatire il ragazzo, Davide Cecconi, che cerca di piantare fruscianti banconote da 20 e 50 euro e che per essere certo del successo li innaffia con la Coca Cola? Come non provare empatia per Tania quando i nocivi le propongono di installare una decina di cessi autodisinfettanti perché così potrà ottenere il 40% dei fondi necessari a fondo perduto?
Nel Minestrone una parte è anche riservata alla Lettera ai contadini sulla povertà e la pace scritta da Jean Giono prima dell’abisso della Seconda Guerra Mondiale. L’interpretazione di Giovanni Pandolfini nel buio, alla sola luce di una lanterna, rende chiara, se qualcuno avesse ancora dei dubbi, la superiorità della natura sulla tecnologia; ci aiuta a capire che la salvezza dell’umanità passa dalla semplicità, dal buon senso e dalla poesia, non certo dalla ricerca esasperante del profitto, dalla sopraffazione e dalla guerra.
“Cittadini, braccia restituite all’agricoltura”, si definiscono quando li incontriamo giù dal palco. Tutti e quattro lavorano la terra e insieme, grazie a Mondeggi, hanno formato un collettivo per fare teatro politico. “Quello che il teatro dovrebbe sempre fare” dicono. Con un cognome del genere non potevamo che ragionare di questa esperienza con Emiliano Terreni, apicoltore.
“Il nostro è un teatro di scrittura e regia collettiva. L’idea nasce nel 2012 grazie alle esperienze settimanali nei mercati contadini e nel lavoro nei poderi. Sono situazioni in cui ci scambiamo opinioni, ci raccontiamo quello che succede durante la settimana, ci confrontiamo su come superare difficoltà comuni. E da questi ragionamenti emergono spesso dei paradossi”, racconta Emiliano. “Ci siamo resi conto, e questo è il paradosso principale, che per fare il contadino oggi in Toscana, e stare alle regole, è necessario essere ricchi. Il nostro cabaret, questa nostra narrazione contadina dal basso – dice con orgoglio – nasce da questi paradossi, dalla burocrazia, dagli input fuorvianti che arrivano dai sindacati e dalle associazioni di categoria, da mille assurdi aneddoti di vita vissuta.”
Ad oggi il Teatro Contadino Libertario di Mondeggi ha messo in scena una decina di spettacoli. Ne Il salto nel buio raccontano la storia di un impiegato che non ne può più della sua vita in ufficio e scappa per la campagna. Arriva nel podere del nonno e ragionando con lui si rende conto che quella terra può trasformare la sua vita, non fa però i conti con una realtà istituzionale e burocratica respingente. Non anticipiamo la fine ma è lì che il dramma si compie.
“Il teatro ci permette anche di comunicare in modo semplice e diretto il nostro vissuto e la nostra visione della società”, continua Emiliano. “È una modalità radicata nei secoli che ci piace portare avanti insieme al nostro lavoro quotidiano in campagna”.
“Questo nostro modo di giocare con il teatro – conclude – ha permesso a noi contadini, storicamente fermi e radicati nel nostro pezzo di terra, di diventare artisti girovaghi, di conoscere altri spazi di resistenza in Italia e all’estero. Sono davvero tanti, spesso misconosciuti, e rappresentano una ricchezza infinita nel provare a pensare una cultura alternativa a quella dominante, fatta di autogestione e riappropriazione dal basso di quello che chiamiamo bene comune”. Adesso sono in partenza per una tournée in Belgio di dieci giorni in cui reciteranno in francese. Ad ospitarli saranno realtà di resistenza ma anche due teatri veri e propri che hanno scommesso sulla loro proposta.
Cristiano Lucchi
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