Rifiuti, il rapporto della Banca Mondiale fa paura: qui un ragionamento critico e progettuale

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Può essere utile uno sguardo al Rapporto della Banca Mondiale (World Bank) “What a waste 2.0. Una fotografia globale della gestione dei rifiuti solidi fino al 2050”.

Utile per i dati sulle quantità prodotte anche se i dati non rispecchiano probabilmente la realtà, sia per la oggettiva difficoltà di raccoglierli, sia per la non tracciabilità di estese modalità occulte di trattamento, sia per la logica con la quale è stato costruito il Rapporto che tuttavia ha il pregio di non nascondere i problemi.

Utile perché le tendenze che il Rapporto descrive possono essere di aiuto per cercare di comprendere, nel campo della produzione e gestione delle merci e quindi dei rifiuti, le strategie del Capitale Globale nel nord del mondo (Usa/Canada, Europa, paesi asiatici in particolare Cina e India, Giappone) e le forme apparentemente non strategiche che esso assume nel sud – o nei vari sud – del mondo (Africa, America del Sud, altri paesi asiatici).

Così come è di un certo interesse, attraverso i dati quantitativi e qualitativi di produzione e di gestione dei rifiuti solidi del Rapporto WB, gettare uno sguardo alle attuali e tendenziali dinamiche su scala mondiale nell’uso di materiali, fonti energetiche fossili e informazioni biologiche e storiche (storiche nel senso, ad esempio, delle modalità di uso della terra e delle forme del lavoro da parte delle popolazioni contadine prima della diffusione del modello di produzione e consumo oggi dominante), attività che alcuni autori descrivono come ‘estrattivismo’ con espropriazione.

Quantità e ambiti geopolitici
Mediamente, su scala mondiale, i rifiuti urbani sono costituiti da vetro (5%); plastiche (12%), carta e cartoni (17%), metalli (4-5%), parte putrescibile: umido e vegetazione (44%), indifferenziato di differenti categorie merceologiche (18%).

E’ importante ricordare che molto spesso quando si parla di rifiuti non si ricorda o non si precisa che parliamo solamente di rifiuti solidi – sia domestici/urbani che industriali, ospedalieri, commerciali, agricoli. I rifiuti prodotti comprendono, oltre a quelli solidi: rifiuti liquidi, emissioni di polveri dai processi produttivi, nella circolazione, nei trasporti, rifiuti gassosi e anche rifiuti nucleari vale a dire quanto resta dai processi di combustione nelle centrali nucleari, generalmente stoccati in modo non sicuro e pericolosissimo per la salute umana e per tutti i processi biotici nella biosfera ( in Italia i rifiuti nucleari si trovano ancora ‘parcheggiati’ in assoluta insicurezza e in modalità ad alto rischio nei siti delle centrali nucleari dismesse a seguito della vittoria nel referendum: tra gli altri Caorso, Saluggia, Trino, Latina, Garigliano, Rotondella/Trisaia. Alcuni bidoni contenenti materiale radioattivo provenienti da centrali nucleari, furono rinvenuti un paio di decenni or sono nella discarica di Pitelli /La Spezia. Poi ci sono i rifiuti radioattivi provenienti da attività sanitarie ed ospedaliere. (Dei rifiuti nucleari/radioattivi nessuno parla).

Il Rapporto della Banca Mondiale “Wath a waste 2.0” analizza la produzione mondiale di rifiuti solidi (vengono analizzati 217 paesi e 360 grandi città) che nel 2016 è stata di 2,01 miliardi di tonnellate, stimando una produzione al 2050 di 3,40 miliardi di tonnellate. Un terzo di tale quantità, secondo World Bank, viene gestito in maniera dannosa e inopportuna, prendendo la strada della combustione (in impianti dedicati o a cielo aperto ) o del dumping ambientale.

Il Rapporto riguarda la generazione dei rifiuti, la raccolta, il trattamento e lo smaltimento, i modelli di finanziamento, i modelli operativi, le tecnologie, l’impegno dei cittadini, l’impatto ambientale e l’impatto del settore informale.

Nel confronto tra le varie aree geopolitiche, l’Europa sembra essersi assestata, seppure in modo articolato tra i diversi paesi, sul modello integrato: poca riduzione della produzione di rifiuti; poche quantità in riutilizzo; buone quantità in riciclaggio e compostaggio; mantenimento dell’ opzione incenerimento; assegnazione alle discariche della funzione di confinamento di scorie, ceneri, residui dei precedenti trattamenti in massima parte da incenerimento di rifiuti solidi urbani e speciali/industriali.

Infatti, mentre tutti i paesi europei hanno intrapreso la strada del riciclaggio anche per gli obblighi normativi quadro dell’ Unione Europea, ci sono oscillazioni tra le due modalità più seguite a scala mondiale: la discarica interrata o la combustione con conseguente dissipazione (mandare in fumo): due pratiche di smaltimento che a livello normativo l’ UE vieta (discarica per rifiuti tal quali) o rende residuali (incenerimento).

In Svezia e Danimarca si inceneriscono 585 Kg/abitanti anno; in Francia e Germania si ha una capacità di incenerimento pari a 250 Kg/abitante/anno; in Italia 105 Kg/ab/anno.
La discarica riguarda lo 0,2% dei rifiuti solidi tedeschi, oltre l’ 80% per Cipro, Malta, Croazia, Romania, Grecia. In Italia si invia in discarica circa 29% dei rifiuti solidi. Europa ed Asia centrale – paesi ex patto di Varsavia – ricorrono sostanzialmente a tutte le modalità della soluzione integrata, con valori medi: 25% discarica; 25% abbandono a cielo aperto; 31-32% riciclaggio e compostaggio; 18% incenerimento.

La media UE è così composta: 30% riciclaggio: 69,4 milioni di tonnellate recuperate/136 kg ab/anno; 16,9% compostaggio per l’ agricoltura; 27% incenerimento; 26% discarica.
Il Nord America (USA e Canada) manda in discarica il 54% dei rifiuti solidi e ricicla il 35%.
L’ Asia meridionale abbandona a cielo aperto, il 75% dei rifiuti solidi in India; Il Medio Oriente: a cielo aperto il 52,7% e in discarica i 35%. Le stesse modalità di abbandono a cielo aperto e in discarica riguardano la maggior parte dei paesi dell’ Africa. Abbandono a cielo aperto significa spesso combustione a cielo aperto di rifiuti indifferenziati. Sud America e Mesa America: abbandono 26,8%; discariche 68,5%. L’ Asia Orientale e quella che si affaccia sull’Oceano Pacifico: 45% discarica; 24% incenerimento.
Nel mondo ogni anno viene recuperato 1/3 dei rifiuti solidi urbani; e 2/3 dei rifiuti del settore economico-produzione, commerciale (compresi i rifiuti da attività edilizie che sono la maggior parte).

Movimento in evoluzione
In questa ‘fotografia’ mondiale, l’Europa e il Nord America (Stati Uniti e Canada) presentano una loro specificità, in particolare l’ Europa, che sarà utile analizzare nel dettaglio sulla base anche di questo Rapporto della Banca Mondiale. A maggior ragione in concomitanza con il rilancio di strategie dissipative e distruttive di gestione e di trattamento dei rifiuti solidi, ivi compreso l’ incenerimento, da parte di governi europei e del giallo-verde governo italiano.

Questo ultimo aspetto riguarda sia alcuni virtuosi e positivi varchi che il movimento di comitati – associazioni ambientaliste e le diverse articolazioni europee ed italiane delle realtà Zero Waste/Rifiuti Zero, sono stati capaci di aprire in tema di riduzione e di riciclaggio, ma anche la pratica sporca di utilizzare parole e concetti del Movimento per inglobarli, stravolgendone le finalità, nelle pratiche del Mercato e degli oligopoli economici e finanziari che trovano nuove ragioni di accumulazione monetaria nei servizi e nel trattamento dei residui di produzione e consumo.

E’ certamente fondamentale l’ esito dei “conflitti progettuali” del Movimento Rifiuti Zero, in merito alla diffusione e alla assunzione anche di una parte delle Istituzioni delle pratiche di Economia Circolare basata sul riutilizzo/riciclaggio dei residui. Il rafforzamento di tale impostazione dovrebbe considerare e far entrare nella pratica in modo ancora più conseguente:
* la dimensione sociale nel senso della distribuzione e appropriazione della ricchezza sociale prodotta (anche in quantità non solo monetarie ma fisiche, per esempio servizi e elementi fondamentali per la vita: materiali, boschi, sistema delle acque, terra);
* la dimensione ecologica ed ecosistemica, per cui si dovrebbe piuttosto parlare di Economia ciclica che tenga appunto conto dei cicli bioecoenergetici a base delle forme di vita, anche economiche;
* mettere come aspetto prioritario dell’ eccellente ‘conflitto progettuale’ zero waste, l’ abbandono della combustione e della soluzione integrata che lascia aperto un varco, nemmeno troppo stretto, all’incenerimento dei rifiuti, vale a dire alla dissipazione accelerata di materia, energia, informazione biofisica. 

Disaccoppiamento tra ragioni della produzione globale e forme di vita
La ‘fotografia’ che emerge dal rapporto della Banca Mondiale sulla produzione e sulla gestione/mancata gestione dei rifiuti solidi a scala mondiale, vale a dire: estrazione con espropriazione a danno delle popolazioni locali in particolare ma non solo nei tanti sud del mondo, di materia, energia, informazione (Natura e Natura storica), modalità di cicli produttivi e di produzione di rifiuti solidi, liquidi, nucleari, consumo e distribuzione della ricchezza/povertà sociale, nocività ambientali e sanitarie comprese, rafforza una consapevolezza ormai conclamata.

Le ragioni della produzione globale e quelle dei processi di riappropriazione da parte degli abitanti anche nella forma di una sussistenza con incorporati bisogni vitali fondamentali, non possono più essere tenute insieme. E’ probabile che nelle nuove condizioni di crisi del Pianeta – alterazione delle dinamiche della biosfera, picco del petrolio e dei combustibili fossili, inquinamento e dissipazione crescente – non si possa pensare ad una discontinuità sociale entro un quadro di continuità produttive (attuali forme di scambio con materia-energia-informazione).

Il movimento Rifiuti Zero e quello per l’ acqua demanialità comune e collettiva – contro la sua privatizzazione e finanziarizzazione – hanno saputo con lungimiranza passare da conflitti di reazione – peraltro sacrosanta – a conflitti progettuali attivi.

Il Movimento Rifiuti Zero che ha assunto e praticato una dimensione mondiale contro la combustione dei residui, anche attraverso scambi e potenziamenti a scala mondiale (vedi Carta di Napoli), dovrebbe aggiungere alle buone pratiche che stanno fortunatamente espandendosi, la consapevolezza che solo producendo nuove relazioni sociali e nuove economie di coevoluzione si può bloccare l’ aumento della produzione di rifiuti solidi urbani e industriali, drammaticamente evidenziata anche nel rapporto della Banca Mondiale, contrastando la precarizzazione dell’ esistenza che comprende anche la distruzione e la dissipazione degli ambienti di vita e della biosfera nel suo complesso.

La questione dell’ attuale perversa produzione dei rifiuti solidi e delle forme nocive di trattamento, dovrebbe indurci a tener insieme le buone pratiche, l’obiettivo della riduzione drastica dei rifiuti ( uso materia-energia-informazione), l’abbandono sine die della soluzione integrata che, ci piaccia o meno, mantiene l’ opzione inceneritorista. Come si vede anche nella Piana Firenze Prato Pistoia: nuovo progetto per trattamenti con combustione a Baciacavallo (Po), inceneritore di Montale (Pt) attivo, discarica del Cassero (Pt), e nuovo inceneritore a Case Passerini (Fi) che non è stato ancora definitivamente cassato, nonostante la vittoria del Movimento.

L’ Economia Circolare che apre un ambito virtuoso dal punto di vista del riciclaggio dei rifiuti, dovrebbe evolversi in forme di Economia Ciclica Mutualistica anche sperimentali, nel senso di economie demaniali civiche, dove gli abitanti e le comunità locali, dopo tutto proprietari dei residui quindi del capitale fisico/energetico del riutilizzo/riciclaggio, promuovano gestioni mutualistiche a livello dei singoli territori. Nuovi usi civici della contemporaneità, una volta chiarito che questi non sono residui del tempo che fu e nemmeno lunghi elenchi di beni comuni, pure utili sul piano della definizione giuridica e dei suoi risvolti, ad esempio, ma relazioni tra natura/società umana/ forme economiche volte a processi reali e creativi di riappropriazione e gestione in comune da parte degli abitanti e delle comunità locali.

*Fabrizio Bertini

*La tematica di Economia Circolare in ambito rifiuti e non solo, viene ripresa da G. Pauli e dai suoi lavori in particolare ‘Blue Economy’ (la cui impostazione era alla base degli schemi preparatori di Alterpiano di gestione dei rifiuti nell’ Ato Toscana Centro). Tuttavia, come è noto, nell’ ambito della teoria economica e delle pratiche conseguenti, un antecedente saliente e importante è nella rappresentazione della produzione e dei suoi esiti come processo circolare. Una rappresentazione propria dell’ economia classica ed in particolare dei fisiocratici e del Quesnay nel suo Tableau Economique. Tale impostazione classica, opposta a quella lineare neoclassica o marginalista dove sono centrali le ragioni della domanda e dell’ offerta in un mercato autoregolato ( vedi Marshall), viene ripresa da Piero Sraffa e concerne anche la distribuzione del sovrappiù/surplus tra le classi sociali e quindi tra profitti e salari. Per l’ economia ciclica, questione non solo terminologica rispetto a quella circolare, il riferimento è N. Georgescu-Roegen e la sua impostazione bioeconomica, dove la linearità rappresenta la freccia del tempo e l’ aumento di entropia. Il trattamento di queste tematiche è complesso (un primo abbozzo è in un vecchio libretto a cura del Centro di Documentazione di Pistoia dove ho inserito il tema). Il vantaggio è quello di inserire nelle proposte (conflitto progettuale) del Movimento ZW tanto la dimensione distributiva, a vantaggio degli abitanti/salariati per un cambio radicale almeno come impostazione, quanto quella ecosistemica oggi imprescindibile in ragione della crisi del Pianeta causa Capitalocene.

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Fabrizio Bertini

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