Covid 19, la seconda ondata e la politica toscana

Jonathan Mangone è morto a casa mentre aspettava il tampone, è successo a Livorno nel cuore di quella Toscana felix ancora convinta di avere una sanità di eccellenza. Invece, dopo aver tenuto botta alla prima ondata, la seconda è stata un brutto risveglio per chiunque avesse ancora qualche illusione sulla gestione della nostra regione. Non è solo il passaggio da giallo ad arancione del territorio toscano, che tra una settimana si potrebbe tingere di rosso, a dare il segnale di allarme, quanto l’Ordine dei medici di Firenze che si unisce a quello nazionale nel chiedere un lockdown generalizzato per evitare il collasso della sanità regionale. A questo si aggiunge il Nursind, sindacato autonomo degli infermieri, che rende noto il raddoppio dei contagi tra gli operatori sanitari della Toscana: da 500 nel mese di ottobre, agli oltre  1.200 di questo inizio settimana. Senza contare i casi delle Rsa, su cui non ci sono dati certi.

Il primario del reparto di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale Cisanello di Pisa, Paolo Malacarne, ha denunciato prima la carenza dei posti letto ordinari poi quella dei posti letto intensivi e sub-intensivi. Intanto nell’Empolese Valdesa i sindaci hanno lanciato un appello a Giani denunciando l’incremento esponenziale dei contagi e la situazione negli ospedali della zona, tanto drammatica da costringere il pronto soccorso dell’Ospedale San Giuseppe di Empoli, la cui terapia intensiva è ormai satura, a dirottare molte casi con patologie non Covid su Careggi. Stessa identica sorte per il Pronto Soccorso dell’Ospedale San Jacopo di Pistoia. Preoccupa anche la situazione di Prato che risulta essere la 5° provincia d’Italia per numerosità di casi in rapporto al numero di abitanti preceduta da Varese, Milano, Aosta e Monza e Brianza.

Tutto questo non avviene per caso o per i comportamenti irresponsabili dei singoli, dietro a questa crisi sanitaria ci sono delle precise responsabilità politiche.

Cominciamo col dire che dal 2012 al 2018 la Regione Toscana ha tagliato 1726 posti letto, nello stesso periodo ha fatto di meglio solo la Lombardia che ne ha tagliati 1834 e i risultati di questi tagli sono tristemente visibili agli occhi di tutti.

Ma tra maggio e ottobre cos’hanno fatto i vertici della sanità toscana? Certo di mezzo ci sono state le elezioni regionali, e a questo punto è anche lecito chiedersi se sia stata una buona idea votare e non rimandare alla primavera 2021, ma visto che la regione non ha cambiato colore politico e c’è stata quindi una perfetta continuità nella gestione della cosa pubblica ci sarebbe stato tutto il tempo per organizzarsi. Non vogliamo pensare che i nostri amministratori fossero troppo impegnati a spartirsi assessorati per preoccuparsi della nostra salute.

Adesso il Presidente Giani ostenta una certa efficienza: è andato all’ospedale di San Miniato e ha promesso l’allestimento di 28 posti letto in più in una settimana. A Prato invece ha promesso entro un mese addirittura la realizzazione di un nuovo ospedale da 500 posti letti nell’ex Creaf, spazio originariamente destinato ad incubatore di nuove imprese. Ma se è tutto così facile e veloce, perché non è stato fatto prima? Quante sofferenze e quanti morti si sarebbero potuti evitare?

Al tempo stesso però il governatore tentenna sulle zone rosse, non si prende responsabilità e chiede che sia il governo nazionale a decidere, come poi ha fatto. Non solo, risponde all’appello dei sindaci dell’Empolese Val d’Elsa annunciando un’inchiesta epidemiologica sulla zona, come se ci fosse ulteriore tempo da perdere. Al tempo stesso comunica loro che se vogliono le zone rosse se le devono varare da soli. I sindaci però sanno che, se sono loro a chiudere, le attività sul territorio non potranno accedere ai contributi del decreto ristori.

Un comportamento che ci fa pensare a certi presidenti di regione del nord, quello di Giani, proprio lui che poco meno di due mesi fa è stato votato dalla maggioranza dei toscani per salvarli dalla minaccia leghista che si sarebbe mangiata la nostra sanità. Intanto uno dei primi atti del nuovo consiglio regionale è stato il voto quasi all’unanimità (compresi PD e Italia Viva) della risoluzione di Fratelli d’Italia che prevede un maggior coinvolgimento della sanità privata in questa fase della pandemia.

Soldi ai privati, nessun investimento sulla medicina territoriale e rischio di implosione della sanità pubblica: nemmeno la drammatica seconda ondata di Covid sembra portare consiglio a PD, Italia Viva e satelliti vari.

*Francesca Conti