Ribelli chi

Del crinale che separa legalità e legittimità ci siamo molto spesso occupati su La Città invisibile, con articoli dedicati, solo per citare gli ultimi esempi, ai temi del lavoro (con l’occupazione della fabbrica GKN), al diritto all’abitare (con la resistenza a sfratti e sgomberi), alle manifestazioni degli studenti (con occupazioni di scuole e università) e molto altro. E abbiamo sempre sostenuto chi è pronto a ribellarsi a ciò che è formalmente legale ma ingiusto, in nome di quello che è illegale ma diventa legittimo nella difesa dei diritti e dell’equità sociale.

Esistono però oggi forme di rivolta che non si collegano a rivendicazioni politiche, e che uniscono paradossalmente un carattere generico e modalità molto accese. Sono ribellioni più difficili da comprendere. A cosa è rivolto quel grido “libertà” che si è sentito echeggiare nei cortei e abbiamo letto nei cartelli portati per strade e piazze?

Sulle modalità in cui queste nuove forme di ribellione si esprimono ci siamo soffermati, e abbiamo di recente pubblicato vari articoli, sia come collettivo, sia a firma soprattutto di uno dei nostri redattori, Gilberto Pierazzuoli, che ha curato la serie Per una critica al capitalismo digitale (che nel 2022 l’editore “ombre corte” pubblicherà in volume) e ora anima la rubrica Per un’ecologia anticapitalista del digitale.

Ci siamo chiesti prima di tutto perché oggi migliaia di persone si ribellano sfidando divieti e invocando una libertà che quasi certamente non esigono negli altri ambiti della loro vita. A parte una componente minoritaria, si tratta di persone che non hanno mai mostrato di pretendere con altrettanta forza il diritto al lavoro, alla casa, alla salute, all’ambiente. Come si spiega questo fenomeno, che non riguarda solo l’Italia?

Abbiamo concordato che fosse utile uscire dai giudizi semplicistici e sprezzanti abbastanza diffusi, ad esempio, sulle migliaia di no green pass e di no vax (“sono dei cretini”, “non hanno capito niente” eccetera). E neanche volevamo tornare – dopo averlo fatto in molte occasioni – sulle innegabili responsabilità di una sinistra che ha abdicato al suo ruolo storico. Tutto vero, ma ora ci serve cercare di capire quali spinte, quali modalità e quali esiti può avere l’esplosione di un fenomeno più complesso di quanto potrebbe apparire.

Sicuramente si sommano una molteplicità di componenti. Come una sorta di tempesta perfetta che porta all’emersione di puro dissenso, una reazione emozionale che si diffonde per vie mimetiche. L’atto di rivolta- cito da Pierazzuoli – è “il sussulto istintivo che quando è collettivo è il comportamento dello sciame nel quale c’è una replica del comportamento dell’altro. È il gesto fuori posto, ma anche quello più arrogante, più rumoroso, più esplosivo. È la rivolta del joker che provoca uno sciame di devastazioni.”

Il disagio sociale che evidentemente esiste pare esprimersi, almeno ora, intorno a temi non riconducibili direttamente alla politica. E non dimentichiamo che i “temi” sono dettati da un pacchetto misto di strumenti mediatici dalle televisioni a Facebook, e il tema “vaccini” e “virus” è quello egemone.

Alla base di queste nuove forme di ribellione, oltre al disagio sociale ed economico, c’è una componente di spaesamento perché mancano proprio gli strumenti per interpretare la realtà. E qui di nuovo ritorna il ruolo dei social, che sono i mezzi attraverso cui si propagano e si rafforzano queste modalità di ribellione. Siamo per la prima volta in un mondo nel quale, si è detto: “i processi di veridizione non avvengono più tramite una forma di accettazione convenzionale (frutto appunto di una contrattazione che ne determini l’uso), ma sono determinati da logiche probabilistiche implicite negli algoritmi che regolano la comunicazione digitale”. La funzione dell’algoritmo è quella di trasformare la singola opinione, tramite i like e la condivisione, in opinione da dover condividere. Ecco, l’algoritmo crea senso comune e luoghi comuni, ma li adopera e li esporta come verità. E con lo stesso procedimento si creano più verità, più piani di realtà. C’è spazio anche per il complotto.

Sulla difficoltà di comprendere le nuove forme di rivolta, è utile quanto scrivono Paul Torino e Adrian Wohlleben in Meme con la forza, dove ipotizzano un meme della rivolta. Non una rivolta che faccia uso di meme, ma forme di insurrezione che hanno la struttura di un meme. L’esempio da loro studiato è quello dei Gillets Jaunes che sono la forma identitaria trasmessa per imitazione, sono essi stessi meme. Anche se la prima fase del movimento si è legittimata con slogan contro la eco-tassa sulla benzina, quando la tassa è stata ritirata i Gillets Jaunes si sono rifiutati di tornare a casa. Intellettuali di sinistra, commentatori e politici non sono riusciti a capire le intenzioni del movimento. Qualunque sia il risultato di questa sequenza di lotte, è chiaro che i Gilet Gialli hanno rotto le regole della rivolta per come le conosciamo.

Quali partiti politici o movimenti di sinistra riescono a portare in piazza un numero così alto di persone e così tante volte? Dobbiamo forse ammettere che il “discorso” (il logos) di una sinistra classica, alla quale ci siamo sempre riferiti, non funziona perché è in atto un’altra forma di linguaggio, di grammatica e sintassi. E’ vero che il capitalismo è il responsabile della crisi attuale, ma la rivolta cova indipendentemente dalla capacità di fare presa che i movimenti e i militanti anticapitale sono capaci di mettere in atto. Invece che a una composizione, o ricomposizione, di un soggetto antagonista, la possibile aggregazione avviene su sensazioni più profonde. L’inadeguatezza, lo scarto, la discrepanza tra il proprio sentire e il modello che ogni istituzione propone al lavoro, a scuola, nel tempo libero, nel sociale. Non è il perché ci si ribella il motore, è la ribellione in quanto tale che unifica. L’aggregazione è a valle e non a monte. È l’aprirsi anche improvviso di uno spazio di rivolta. Si risponde all’appello quando la rivolta è già per le strade.

Anche il concetto di classe sociale sembra essere assente dall’orizzonte delle nuove ribellioni: la rivolta delle periferie occidentali non ha contenuti di classe ma di “censo”, è una rivolta contro le élite, contro il perbenismo borghese, che fa presto a prendere dei connotati politicamente scorretti, là dove certa sinistra dei paesi occidentali è quella che invece si identifica con il politicamente corretto. Questa rivolta è quella che ha votato per Trump.

Ci piacerebbe poter credere che le cose possano cambiare se si contrasta non l’ultimo anello della catena delle insicurezze (il vaccino o chi per lui) ma i meccanismi che stanno alla radice di questa precarietà; e allora sì, scendere in piazza, ma per la sicurezza del e sul lavoro, della casa, della salute di esseri viventi e dell’ambiente tutto, in sostanza per un sistema alternativo a quello del mercato. Insomma che la tempesta perfetta potesse travolgere le dinamiche perverse del capitale.

Sembra però che il contrasto oggi stia su altri piani, e queste ribellioni siano comportamenti reattivi che non guardano a un’alternativa per la collettività. Da quelle piazze spuntano orizzonti a cui guardare? C’è un sole dell’avvenire che si alza? Può la spontaneità trasformarsi in progetto? O decenni di individualismo e di predominio dell’egoismo capitalista hanno prodotto una forma-pensiero totalizzante, indifferente a schieramenti politici e capace di produrre forme di ribellione che non intaccano i meccanismi del sistema, e anzi lo nutrono? Il modello occidentale ha fallito, ma non si sta forse alimentando delle stesse paure che ha provocato?

In questo orizzonte cupo si aprono comunque spiragli di speranza per un futuro globale non dispotico: prezioso antidoto alla pura rabbia e frustrazione sono i cortei delle donne che si battono contro la violenza di genere e il sistema patriarcale incarnato dal capitalismo, le nuove generazioni consapevoli del rapporto tra crisi climatica e sistema socioeconomico, e le grandi manifestazioni antirazziste dove l’orizzonte sociale e politico è chiaro: Black Lives Matter.