2010-03-09 10:52:58
>[La Repubblica Firenze, 09/03/2010]<br />Otto marzo con licenziamento. Dopo cento anni dall’istituzione della festa della donna sembra di tornare indietro invece che avanti. A casa. E non per scelta ma perché l’azienda chiude e non fa sconti, se non quello di prorogare i tempi del licenziamento. L’unica magra consolazione delle 43 donne che lavoravano alla SerIn di Pistoia, un’azienda che faceva servizi alle imprese e invece adesso chiude, è l’aver conquistato giusto ieri un anno di cassa integrazione straordinaria invece che la mobilità da subito. Un anno con sette o ottocento euro al mese e tante grazie. Dopodichè le 43 lavoratrici più i loro quattro colleghi maschi finiranno tutti in mobilità, ovvero a disposizione di chi voglia riassumere. Di questi tempi, in pratica, per strada. E’ stata la mimosa di queste donne, gelata come il vento che in questo primo scorcio di marzo ha bruciato e seccato i profumati fiorellini gialli e li ha resi preziosi sul mercato. Eppure, nonostante tutto e nonostante la grande delusione, è una piccolissima, amara vittoria sindacale. La SerIn aveva iniziato a chiedere la mobilità, senza nessuno scivolo in mezzo, fin dallo scorso agosto. L’aveva richiesta a dicembre. Si era arrivati ormai alla fine. Si è riusciti a trovare una toppa. Ma solo una toppa. Le speranze non ci sono più. «A avremmo voluto regalare un altro 8 marzo alle donne della SerIn – dice chiaramente la Filcams Cgil pistoiese – Ma di fronte all’immediata procedura di mobilità che avrebbe dovuto scattare già oggi, la cassa integrazione ci sembra un risultato migliore». Eppure, insiste la sindacalista Barbara Orlandi: «Non è vero che le commesse mancavano del tutto, bisognava solo investire per acquisirne altre, l’azienda ha preferito altrimenti. La trattativa poteva andare bene, male, malissimo. E’ andata male». Le lavoratrici della SerIn si erano preparate perfino alla soluzione peggiore: a chiudere definitivamente il loro rapporto di lavoro per l’8 marzo. Ma la speranza resisteva, l’ultimo incontro era programmato per ieri in Provincia, tra la direzione aziendale e i sindacati. Forse ci ripensano, si era detta qualcuna, forse ce la facciamo. Era o non era la festa della donna? Qualcuna si era azzardata a sperare che la ricorrenza potesse trasformarsi in una vittoria. Invece l’incontro c’è stato, la SerIn ha detto che non ci sono più commesse, che non c’è niente da fare. Le 43 donne hanno saputo ufficialmente che la loro azienda chiude a fine mese, che per un anno da quella data saranno messe in cassa integrazione. Un contentino che permetterà loro di continuare a sbarcare con molte difficoltà il lunario per qualche mese. Con la testa però perennemente occupata dalla preoccupazione del dopo. Quando non ci sarà altro che il licenziamento. Anche perché qualsiasi altra soluzione è stata giudicata dai sindacati impraticabile, sia quella di alcuni imprenditori che volevano rilevare il lavoro ma non le lavoratrici, sia l’altra, della costituzione di una cooperativa di dipendenti che rilevasse le attività ma che non è decollata. <br />Ilaria Ciuti

Redazione

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