2010-04-20 08:11:34
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<p style="margin-bottom: 0in;">[Il Manifesto, 20/04/2010]</p>
<p style="margin-bottom: 0in;">La Conferencia mundial de los pueblos sobre el cambio climatico y los derechos de la Madre Tierra (cmpcc.org) è iniziata lunedì in un clima solare e pieno di aspettative. Già da sabato gli alberghi di Cochabamba e di Tiquipaya – la cittadina a un quarto d’ora da qui la cui università ospita la conferenza – hanno registrato il tutto esaurito. Gli aerei e gli autobus che venivano da La Paz erano pieni da scoppiare di una folla variopinta di ecologisti, scienziati, militanti politici, indigeni e campesinos, intellettuali, studenti, attivisti di ong e un eccetera così lungo da comprendere presidenti latino-americani, accademici, ministri, industriali e spie. I 15 mila partecipanti registrati provenienti da una settantina di paesi, fra cui un migliaio di rappresentanti dei media (soprattutto alternativi), segnano il successo dell’iniziativa lanciata dal presidente Evo Morales a gennaio. E sarebbero stati di più se l’eruzione del vulcano islandese, che, alcuni interpretano ironicamente come un avvertimento della Madre Terra, non avesse interrotto i voli transatlantici, impedendo o ritardando molti arrivi dall’Europa. Nata dal fallimento del vertice sul clima di Copenhagen del dicembre scorso, in cui Stati uniti e Cina hanno rifiutato di assumersi le proprie responsabilità di maggiori inquinatori del pianeta, la conferenza di Cochabamba si presenta fin dall’inizio come un’alternativa ai summit governativi, che decidono le sorti dell’umanità senza nemmeno consultarla spesso in un binomio perverso con le multinazionali, binomio che, in nome del progresso e dello sviluppo, saccheggia le risorse planetarie e devasta l’ecosistema. Ignorata o calunniata dai grandi media, la nuova Bolivia di Evo Morales avanza le sue proposte, che scaturiscono dalla cosmovisione indo-americana, da una cultura millenaria finalmente riscattata. Una bozza di carta dei diritti della Pachamama, la Madre Terra, considerata come un essere vivente con personalità giuridica, è discussa in questi giorni e verrà votata prima della fine dell’evento. La proposta di istituire un tribunale internazionale per i crimini ecologici e quella di indire un referendum mondiale sul cambio climatico, con 5 domande, sono altre due delle proposte boliviane. Ma si ascolteranno anche gli interventi di Naomi Klein, Vandana Shiva, Frei Betto, Leonardo Boff, Adolfo Perez Esquivel, Bernard Cassen, Amy Goodman, Silvia Ribeiro, Miguel D’Escoto, Pat Mooney, José Bové emolti altri scrittori, attivisti e intellettuali che denunciano costantemente le aberrazioni del neo-liberismo. Fra gli italiani presenti, i rappresentanti di Via Campesina e del World Social Forum (www.wsftv.net) Bettina Gozzano e Antonio Pacor, che filmano e mandano in rete le immagini della conferenza, e una delegazione della ong A Sud (www. asud.net) con Marica Di Pierri e Giuseppe De Marzo, che ha presentato il suo libro Buen Vivir . Il sociologo peruviano Aníbal Quijano, intervistato da il manifesto, dice: «La storia si muove in una direzione complessa, ma il cambiamento attuale ha una portata comparabile in importanza e profondità a quella della rivoluzione industriale borghese. Ciò che succede con il movimento indoamericano è parte di questo fenomeno. L’intero modello del potere è in crisi e il movimento indigeno andino è un protagonista di questo processo. Per la prima volta c’è un discorso anti-capitalista che non viene da nessuna posizione etica, da nessuna visione intellettuale, madalla necessità reale, dalle radici della sopravvivenza della gente ed è per questo che ha una vitalità e un valore così notevole. La lotta contro le compagnie minerarie, petrolifere e gasifere è perché inquinano l’acqua e il suolo e distruggono la foresta, stanno mercantilizzando e distruggendo l’acqua e l’ossigeno. Si tratta non solo della sopravvivenza dei popoli indigeni, madi tutta l’umanità e della vita nel pianeta». L’ingegnere boliviano José Gutiérrez Ossio è un ricercatore del ministero per la pianificazione dello sviluppo che studia lo scioglimento dei ghiacciai andini, un fenomeno che sta aumentando a un ritmo drammatico a causa del surriscaldamento globale. Secondo i dati dei ricercatori, negli ultimi 20 anni l’aumento della temperatura atmosferica ha prodotto lo scongelamento del 30% dei ghiacciai. «Le Ande sono la seconda catena montuosa più importante del mondo dopo l’Himalaya. Quando parliamo del ritiro dei ghiacciai tropicali andini, stiamo parlando della perdita delle nostre riserve d’acqua. Se questo succedesse in un paese del primomondo, la notizia sarebbe sulle prime pagine dei giornali. La conferenza di Cochabamba, che si chiuderà giovedí, non produrrà forse la formula magica per salvare il mondo ma sarà certamente servita a richiamare l’attenzione sui problemi ambientali più urgenti e a premere l’acceleratore sulla ricerca di soluzioni ormai improcrastinabili. Le sue conclusioni verranno presentate al prossimo vertice ambientale Onu di Cancùn, Messico, in dicembre.</p>
<p style="margin-bottom: 0in;">di Gianni Proiettis

Redazione
