Nucleare: il modello francese rifiutato ormai da tutti

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2010-04-25 19:55:30

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<p style="margin-bottom: 0cm;">[Il Manifesto, 25/04/2010]</p>
<p style="margin-bottom: 0cm;">Ricorre in questi giorni il 24° anniversario di Cernobyl. Esplodendo, il quarto reattore di quella centrale fece andare in mille pezzi la credibilità scientifica e politica, nonché la glasnost dell’allora Unione sovietica. Legambiente che si è occupata costantemente delle conseguenze di quel disastro e ha svolto un’opera di solidarietà attiva e di affetto nei confronti dei bambini nati negli anni successivi nell’area contaminata, ai confini tra Bielorussia e Ucraina, propone ora un suo testo, «Epr: un reattore o un bidone?» dedicato al ritorno del nucleare che si prospetta nel nostro paese. I temi sono chiariti subito dai curatori, Stefano Ciafani, Andrea Cocco e Viviana Valentini: «Sicurezza, rischi ambientali e costi: tutti i problemi che gli italiani devono conoscere sulla tecnologia nucleare francese». Il nucleare non risolve i problemi dell’energia. Infatti è «troppo poco, troppo tardi, troppo caro, troppo pericoloso». Il nucleare sostenuto dal governo consisterebbe in una prima fase in quattro reattori Epr – European Pressurized (Water) Reactor, reattore europeo ad acqua a pressione – di grande taglia, 1.600Mwe ciascuno, di concezione Areva e realizzati da Enel e Edf (Électricité de France), con l’aggiunta di Ansaldo nucleare. Difficile pensare a una seconda fase, sognata da altre imprese concorrenti dell’Enel. Il coinvolgimento di Ansaldo nella prima eventuale realizzazione, mette queste ultime ancor più ai margini; e in effetti anche Edison ha fatto capire nei mesi scorsi di essere interessata a una quota dell’affare. Si parla poco della sostanziale estraneità di Enel a ogni cultura nucleare, dopo un ventennio di forzato disinteresse, e del fatto che la rete nazionale non regge, date le caratteristiche attuali, l’offerta elettrica di centrali tanto pesanti, senza un potenziamento della rete stessa, con un ulteriore aggravio del contenzioso ambientale, soprattutto nel caso in cui due dei mastodontici reattori, non uno soltanto, fossero collocati nel medesimo sito, per esempio a Montalto di Castro. Il reattore Epr viene spacciato come «di terza generazione avanzata», sommariamente indicata come 3+, ma in realtà, sostiene Legambiente, è solo l’evoluzione più recente dei reattori di seconda generazione Pwr, realizzati negli anni ’60. E’ la tecnologia più diffusa al mondo, tanto che nel 2005 copriva il 56% dei reattori in esercizio. Perfino l’italico Trino Vercellese risale a questa tecnologia. Oggi sono in costruzione nel mondo tre impianti del tipo Epr 3+, ma il successo è molto gramo. Il caso più noto è il finlandese Olkiluoto da 1.600 Mwe, in costruzione dal 2005 e con un ritardo sull’avanzamento dei lavori di tre anni abbondanti. I cinque anni previsti per la costruzione sono dunque una pia illusione. Gli altri reattori sono i due cinesi di Taishan, da 1.660 Mwe ciascuno, per un contratto previsto in 8 miliardi di euro da finire, nei soliti 5 anni, per il 2013. Notevole soprattutto, per l’impatto sulla situazione italiana, quello francese di Flamanville, da 1.630 Mwe, la cui costruzione è iniziata per il committente Edf nel 2007 e dovrebbe concludersi nel 2012, anche se…. Areva, l’impresa pubblica francese costruttrice, dà una grande importanza a Flamanville perché dal suo successo deriva la possibilità di vendere reattori all’estero, al di là del caso cinese. In effetti il risultato non è invitante. Legambiente elenca una serie di fiaschi: nel dicembre del 2007 c’è la rinuncia del Sudafrica, nell’aprile del 2008 la società Ameren degli Usa annulla l’ordine per un reattore da costruire in Missouri. Poi si tira indietro il Canada che aveva indetto una gara cui partecipava anche Areva «con la richiesta di 23,6 miliardi di dollari per due Epr come sempre da 1.660 Mwe». Infine si ricorda il caso degli Emirati arabi uniti che rinunciano alla costruzione di due reattori nel dicembre del 2009. L’Italia diventa così il terreno di una partita decisiva per Areva e per il nucleare francese. Lo sa benissimo Claudio Scajola, il ministro italiano delle attività produttive, tifoso di tutto quello che è americano e quindi anche dei reattori a stelle e strisce, e che di conseguenza suggerisce, sommessamente, altre soluzioni, altri intrecci. Non solo i tempi, ma anche il costo di Olkilouto è lievitato. Dai tre miliardi di euro del contratto si è ormai arrivati a 5,5, e «oggi si parla con insistenza di un’ulteriore revisione dei costi e allungamento della consegna». Anche i problemi della sicurezza, quella relativa a incidenti e quella degli attentati o della proliferazione nucleare bellica non sono risolti, pur se Areva promette per il futuro. Quanto allo smantellamento delle eventuali centrali e della sistemazione delle scorie prodotte, si tace. La soluzione è quella di allungare a sessanta anni la vita dei reattori, di modo che diventi un problema insolubile per i nostri nipoti, bypassando il tempo dei figli.</p>
<p style="margin-bottom: 0cm;">di Gugliemo Ragozzino

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