Il business dell´eolico poco vento, grandi affari

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2010-05-16 20:40:37

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<p style="margin-bottom: 0cm;">[La Repubblica Firenze, 16/05/2010]</p>
<p style="margin-bottom: 0cm;">Oggi girano. S´è alzato uno spruzzo di vento. Rombano e stridono. A ondate continue. Come se la risacca del mare avesse traslocato quassù insieme a una turbina di un boeing. A 500 metri d’altitudine, sopra il bosco da un anno si leva un muggito. E´ il verso delle pale eoliche piazzate su un costone di querce e lecceti a Montecatini Val di Cecina. Sei torri di acciaio alte 100 metri. Altre 7 inforcano il cielo di Chianni, sul Monte Vitalba. Sono due crinali delle colline pisane. Promontori verdi e metalliferi affacciati sul Tirreno. Val di Cecina e Valdera, un paesaggio su cui ora la corsa alla green economy rischia di lasciare segni indelebili. Duecento chilometri quadrati entrati nel mirino delle multinazionali del vento. Soldi e business da far fruttare con la promessa dell´energia pulita e del consumo etico. Società danesi, tedesche e italiane che fanno gola agli amministratori locali. Sedotti dalle royalties, i Comuni sgomitano e piazzano anemometri a caccia di mini-turbolenze, mentre intorno si solleva un polverone di polemiche per opere da un impatto ambientale che si teme mandi gambe all´aria i Don Chisciotte del turismo. Come Babette Borst, 50 anni, tedesca che nel 2002 fuggì in Italia «per scommettere i risparmi di una vita sulla bellezza del paesaggio toscano». I bestioni tirati su da Cosvig vorticano a seicento metri dal suo agriturismo: «Me li hanno piazzati sopra la testa, fanno un rumore pazzesco. Soffro di nausea e continui mal di testa. Ho già perso un contratto con una scuderia che portava qui i cavalli a riposare e i clienti che avevo l´anno scorso non verranno più. Non li biasimo. Amavano questo posto per la natura, il verde, i pascoli, la pace. Per quale motivo dovrebbero tornare? E´ diventata una zona industriale».</p>
<p style="margin-bottom: 0cm;">Se in altre regioni italiane l´eolico è oggetto di indagini della magistratura per lo spettro di infiltrazioni mafiose (fra gli indagati anche il governatore della Sardegna, Ugo Cappellacci) in Toscana l´allarme riguarda soprattutto l´ambiente. Da noi sono cinque le centrali in funzione: Pontedera, Montemignaio, Chianni, Montecatini e Scansano, dove le pale campeggiano dietro il castello di Montepò. Altre due hanno ricevuto dalla Regione l´autorizzazione a Santa Luce e Lajatico (Pisa), una a Firenzuola, e una è nella fase finale dell´iter di approvazione del progetto (Riparbella), sempre in provincia di Pisa, dove sono pronti a ospitare un impianto anche Montescudaio, Casciana Terme, Monteverdi, Pomarance e Monterotondo. Fuori da queste valli, poi, gli imprenditori vorrebbero costruire a Barberino del Mugello, Pontremoli, Zeri, Badia Tedalda, Sestino, Sambuca pistoiese e Calenzano. Con torri ancora più alte e mulini da decine di tonnellate. «Se tutti i comuni pisani ricevessero il via libera – dice Mariarita Signorini di Italia Nostra – ci ritroveremo con un mega impianto di 78 torri alte 125 metri in una delle zone più selvagge e incontaminate della Toscana. In tutto 140 megawatt di potenza installata, quasi la metà del limite di 300 che la Regione si è data con il piano di indirizzo energetico». Piano che non è vincolante. E il rischio è l´accerchiamento, selve di piloni d´acciaio sui crinali toscani. «Che peraltro hanno un´efficienza bassissima – maledice Sascia Lucibello, titolare di una fattoria sotto il poggio di Malconsiglio a Riparbella – Venga qui una settimana e si accorgerà che la metà del tempo sono ferme. Non si muovono».</p>
<p style="margin-bottom: 0cm;">«Non si può avere posizioni pregiudiziali sull´eolico – dice Fausto Ferruzza, direttore Legambiente – è un´energia alternativa utile, ma per la quale è necessaria attenzione alle specificità dei luoghi». In effetti le fonti ufficiali sono d´accordo. Per far funzionare bene i mulini ci vogliono vento e posti giusti. E la Toscana non sembra averne un granché. Basta un´occhiata agli ultimi dati del Gse, il gestore del servizio elettrico nazionale. Il vento che c´è da noi in media fa girare le pale 1.124 ore all´anno. Un fiasco se raffrontato a quello di altre regioni. In Sicilia girano per 1.630 ore, 1.729 in Campania, 1.744 in Sardegna, 1.790 in Puglia, 2.054 in Calabria, i territori che l´atlante eolico di Enea giudica realmente produttivi per questo tipo di rinnovabile.</p>
<p style="margin-bottom: 0cm;">Ma allora perchégli imprenditori bussano alla porta dei Comuni toscani? La risposta si chiama certificati verdi, incentivi pubblici distribuiti da Gse. Introdotti nel ´99 con la durata di 8 anni, sono passati a 12 nel 2003 e infine a 15 con l´ultima finanziaria Prodi del 2008. Quindici anni di soldi pubblici: un salvagente finanziario abbastanza sostanzioso e duraturo da coprire i rischi d´impresa. Stando ai dati della Borsa elettrica (Gme), in Italia chi tira su una pala si becca 89 euro di incentivo per ogni megawattora prodotto. A questi bisogna aggiungere 61 euro a megawattora venduto alla rete (Terna). In tutto 150 euro a megawattora, il doppio di quanto racimola l´eolico negli altri paesi d´Europa. Un mercato drogato di sovvenzioni che scava nelle tasche dei cittadini, gonfia le bollette e tiene in vita le energie tradizionali. Per legge, infatti, tutte le aziende che producono da fonti fossili (centrali a petrolio, idrocarburi, carbone e gas) sono obbligate ad avere una percentuale di rinnovabili. Per non rimanere fuori dai parametri di Kyoto, l´alternativa è acquistare i certificati verdi. Cioè chi inquina può comprarsi il diritto di inquinare ancora.</p>
<p style="margin-bottom: 0cm;">Gli incentivi esistono per tutte le rinnovabili, l´eolico però è quello più facile da sviluppare. Meno costi di realizzazione, poca manutenzione, zero manodopera. Risultato: un vaso di pandora per pale che frullano a mille, un bel gruzzolo anche per quelle che girano un giorno sì e uno no. Esempio. Anche se una pala da 1Mw di potenza installata gira a sole 1124 ore, fra produzione e incentivi, un parco da 20Mw farebbe guadagnare 3,372 milioni all´anno, 50,580 in 15 anni. Quanto costa tirarlo su? Circa 40 milioni. Insomma, il gioco vale la candela. Anche perché gli incentivi si allungano oltre i 15 anni se torri e pale vengono ristrutturate. L´hanno capito anche gli amministratori: «Stipuleremo una convenzione almeno ventennale che ci assegnerà il 3,6% del fatturato. E comunque la società ci dovrà garantire un minimo di 150mila euro annue. Per un comune di 1.680 abitanti non mi sembra poco», dice Ghero Fontanelli, sindaco di Riparbella. La sua risposta è quasi un mantra nei municipi pisani.</p>
<p style="margin-bottom: 0cm;">Poco importa, quindi, se l´energia creata dal vento non si infila direttamente nelle case della zona ma nella rete complessiva di Terna, che è obbligata a riceverla anche se non sa come ridistribuirla. In Toscana il fabbisogno elettrico è pari a 22mila gigawatt. Se anche le pale girassero 2000 ore all´anno, con i 300 Mw del piano regionale (92 siti), si raggiungerebbero 600 gigawatt, il 2,7% del fabbisogno. Per arrivarci serviranno un´altra ottantina di torri e una cinquantina di crinali. Dati che icomitati del no mettono sulla bilancia del sacrificio ambientale: «Qui a Montescudaio – dice Fabio Tinelli, consigliere di una lista civica all´opposizione di una giunta targata Pd – vorrebbero piantarle nella piana del fiume Cecina, vicino ad un´area protetta. Avifauna e paesaggio deturpati per una cosa che non funziona. Un´alternativa? Faccio un esempio. Con il vento che c´è qui, un parco eolico per produrre la stessa energia di una centrale geotermica da 20Mw dovrebbe avere pale per 90Mw, cioè circa 50 torri. Con la differenza che la geotermica occuperebbe una superficie di circa 2mila metri quadrati lavorando giorno e notte, 24 ore su 24. L´altro avrebbe un impatto su circa 900 ettari, e comunque sempre soggetto ai capricci del vento».</p>
<p style="margin-bottom: 0cm;">di Mario Neri</p>
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