2010-05-30 13:10:19
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<p style="margin-bottom: 0cm;">[Il Manifesto, 30/05/2010]</p>
<p style="margin-bottom: 0cm;">A guardare il brevetto numero 6.190.301 del 20 febbraio 2001 depositato dal ricercatore Charles Murray vengono i brividi. Sulla copertina appare il disegno inquietante di un lungo missile, progettato per penetrare i fondali marini, fino a sparire sotto gli strati argillosi. Non porterà esplosivi, ma CO2, il gas prodotto dalle industrie più inquinanti del mondo, che gli accordi internazionali vorrebbero far sparire. Un missile da sparare con navi appositamente attrezzate, in fondali lontani da occhi indiscreti, possibilmente in silenzio e senza dare nell’occhio. Un missile che ricorda in molti aspetti i progetti di un ingegnere di Busto Arsizio, Giorgio Comerio, che con la sua società Odm voleva usare questo tipo di siluri per far sparire le scorie nucleari. Una storia ormai archiviata dalle Procure, che si ricollegava alle navi a perdere e ai traffici internazionali di rifiuti pericolosi. Oggi l’idea di far sparire in mare gli scarti della ricchissima industria dell’energia è tornata di moda. Il problema principale si chiama CO2, il cui eccesso sta uccidendo il pianeta. Ovvero quelle scorie che i colossi energetici vorrebbero mettere sotto il tappeto, nascondere, invece di ridurre, eliminando l’uso dei combustibili fossili. L’idea di Murray di spedire il gas di scarto delle centrali a combustibile fossile sembra che sia rimasta solo sulla carta. Ma il progetto di far sparire inmare il CO2 ha fatto strada, passando dal metodo un po’ artigianale dei missili alle grandi stazioni di pompaggio, montate sulle piattaforme off-shore. Ed il duo italiano dell’energia, l’Enel e l’Eni stanno ora aprendo la strada in Europa, con progetti annunciati in questi mesi in seminari specializzati. Il più ambizioso punta a sparare il gas prodotto dalle centrali Enel sotto il mare Adriatico, in una zona a pochi chilometri da Porto Tolle. E se tutto funzionerà altre zone sono pronte per ricevere tonnellate di CO2, allargando la mappa degli obiettivi di Enel. L’undici maggio scorso, sulla splendida isola di San Servolo nella laguna di Venezia, si erano dati appuntamenti i massimi esperti del gruppo CO2 Geonet, un network di istituti di ricerca europei. sostenuti in questo evento dai colossi energetici. Nella presentazione dell’area ricerca dell’Enel è stata annunciata l’imminenza dello start-up del progetto di sotterramento e inabissamento dell’anidride carbonica. Il primo passo – considerato sperimentale – partirà il prossimo autunno e coinvolgerà la centrale di Brindisi. In Puglia il CO2 prodotto verrà liquefatto e trasportato – via gomma – vicino Piacenza, a Cortemaggiore. Tonnellate di CO2 viaggeranno in autostrada, con mezzi che a loro volta produrranno, paradossalmente, altra CO2. La destinazione finale è un giacimento a gas Eni-Stogit, dove l’anidride carbonica verrà pompata, riempiendo gli spazi sotterranei. Nei prossimi anni sarà il turno del mare Adriatico del nord. Qui nelle zone poste sotto il livello del mare, spiegano i tecnici Enel, esistono degli acquiferi salini, pronti a ricevere milioni di tonnellate di anidride carbonica liquefatta. E l’inizio del pompaggio è imminente, con la previsione di inizio nel 2015. La zona di Porto Tolle e dell’Adriatico del nord rappresentano solo il primo passo. Il Ministero dello sviluppo economico – spiega l’Enel nella presentazione a metà maggio – ha affidato all’Erse – ex Cesi ricerca dell’Enea – «la stima dei potenziali siti di stoccaggio di CO2 in Italia». E non sono pochi gli acquiferi salini nel nostro paese, con profondità che variano tra gli 800 e i 2000 metri. Perfetti per i progetti Enel. «Stoccare la CO2 sottoterra è rischioso », scriveva già nel 2008 Greenpeace, nella sintesi italiana del rapporto «False Hope -Why Carbon Capture and Storage won’t save the climate».Ovvero ilmiraggio – rischioso e inutile – della tecnologia di interramento dell’anidride carbonica. Per poter avere un impatto sensato sulla riduzione del CO2 gli impianti simili a quelli che sta progettando l’Enel dovrebbero essere circa seimila. E in ognuno di essi dovrebbero essere pompate almeno un milione di tonnellate di anidride carbonica. Con questi dati – elaborati dall’Agenzia internazionale per l’energia – è chiaro a tutti il rischio potenziale di questa tecnologia. Basterebbe una perdita minima, poi, del CO2 interrato per rendere vano lo sforzo, con un ritorno in atmosfera delle scorie accumulate. Ci sono poi i rischi sulla salute umana, che in caso di incidente – che nessuno in realtà esclude – potrebbero essere catastrofici. Nel 1986, ricorda Greenpeace, a Lake Nyos, in Camerun, in seguito ad una eruzione vulcanica, si sprigionarono improvvisamente enormi quantità di CO2 accumulatesi sul fondo del lago. In quella occasione morirono 1.700 persone emigliaia di bovini nel raggio di 25 chilometri dal lago. E guardando quanto sta oggi accadendo nel golfo del Messico l’industria off-shore non può certamente essere considerata esente da errori di valutazione. Il peso che l’Enel prevede per la tecnologia di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica è notevole. In un seminario che si è tenuto a Torino nell’ottobre dello scorso anno sono statemostrate le previsioni al 2050: per il contenimento del gas serra, lo stoccaggio della CO2 rappresenterà il 19%, in sostanziale parità con l’uso delle energie rinnovabili. Oggi i missili di Comerio sono un ricordo in sostanza lontano, che appartiene a quella parte di storia italiana rimasta oscura e inquietante. Ma l’idea di base di utilizzare il mare come enorme discarica è rimasta in piedi, nascosta dietro l’annuncio del «carbone pulito». Una frase usata per evitare di far conoscere le vere intenzioni delle industrie energetiche: nascondere per non ridurre. Ad ogni costo.</p>
<p style="margin-bottom: 0cm;">di Andrea Palladino</p>
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Redazione

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