2010-09-28 10:17:42
>[Il Corriere Fiorentino, 28/09/2010]
Alberto Magnaghi è stato per anni presidente della Rete del nuovo Municipio, l’associazione che ha portato in Italia pratiche e metodi della democrazia partecipativa sulla scia dell’esperienza di Porto Alegre e dei Social Forum. Anche i Cento luoghi vanno in questo solco? «Esistono tante diverse forme di democrazia partecipativa, di democrazia deliberativa, o town meeting come ce ne è stato uno a Firenze a luglio. Queste assemblee sono iniziative utile comunque sempre: è utile avere consultazione dei cittadini e farli partecipare ad assemblee di questo tipo». Però? «Un conto è una assemblea, in cui cittadini esprimono una opinione. Un conto è un laboratorio di progettazione partecipata, le mappe della partecipazione, cioè l’autorappresentazione dei cittadini per dare obiettivi di trasformazione urbana come quelli attivati a Montespertoli usando la legge sulla partecipazione toscana». Mappe di comunità? Cosa sono? «Sono laboratori, con Università e Comune, che hanno portato a vere e proprie mappe confluite nel Piano strutturale, sono stati recepiti dall’amministrazione. Non sono state una assemblea, ma un processo lungo, autorganizzato con facilitatori per esprimersi in modo meditato, dalle sorgenti al paesaggio all’espansione urbanistiche. Invece spesso si fanno mille assemblee, si sentono gli abitanti in modo estemporaneo. Ma poi non resta nulla di concreto» Quindi, secondo lei, non devono essere uno spot. «No. Come dice la legge regionale sulla partecipazione, occorre rendere queste attività una forma ordinaria di governo. Ancora non è una forma ausiliaria, ma una forma estemporanea. Invece dovrebbe essere intrinseca a tutte le forme dell’amministrazione». Qui invece si parte con le 100 assemblee? «Il problema è un altro. Il caso di Firenze è particolare: sul piano strutturale non c’è un disegno strategico. Le scelte più importanti come il sottoattraversamento di Firenze o l’aeroporto non vengono sottoposte al processo partecipativo. Queste assemblee sono lodevoli, ma estemporanee. Si fan passeggiate e si ascolta i cittadini: va benissimo, però… Nei Comuni più piccoli è possibile organizzare la partecipazione in modo più sistematico, ci sono stati cittadini o scuole che hanno progettato parchi, fatto scelte fondamentali sul territorio. Sentire gli abitanti è sempre utile, ma la partecipazione che crea cittadinanza attiva è un processo più complesso, più lungo, deve essere una pratica quotidiana. Non un’assemblea».
M.F.

Redazione

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