L’economista Halevi a Firenze, la sintesi dell’intervento

  • Tempo di lettura:6minuti

2011-11-13 19:30:54

><p><strong><em>Pubblichiamo una sintesi dell’intervento dell’economista Joseph Halevi intervistato da Pierluigi Sullo e tenutosi a Palazzo Vecchio lo scorso 10 novembre all’interno del ciclo di incontri per approfondire i temi della crisi economica e finanziaria organizzato da perUnaltracittà e DemocraziaKmZero intitolato "Europa tossica: crisi del capitalismo, crisi del debito, crisi della politica" </em><br /></strong></p>
<p><strong>di Gianni Del Panta, perUnaltracittà – lista di cittadinanza</strong></p>
<p style="margin-bottom: 0cm;"><img style="margin: 5px; float: left;" alt="halevi" src="images/stories/halevi.jpg" width="250" />Proprio mentre la situazione del Paese precipita in una condizione di assoluta instabilità ed incertezza, disegnando per tutti noi un futuro a tinte fosche, le principali forze politiche in Parlamento sono pronte a sostenere un “governo tecnico” presieduto da Mario Monti. In un passaggio così delicato, il ciclo di incontri organizzato dalla lista di cittadinanza perUnaltracittà insieme a DemocraziaKmZero per approfondire i temi della crisi economica e finanziaria, rappresenta un’occasione importante per conoscere punti di vista alternativi e “banditi” dai media <em>mainstream</em>. La prima tappa di un percorso che si compone di vari appuntamenti (ricordiamo i prossimi due, sempre in Palazzo Vecchio: sabato 19 novembre alle ore 16,00 la presentazione del libro “La furia dei Cervelli” con la presenza dei due autori, Roberto Ciccarelli e Giuseppe Allegri intervfistati da Ilaria Agostini; sabato 26 novembre alle ore 10,30 Cristiano Lucchi intervista Roberta Carlini di “Sbilanciamoci”) vedeva l’illustre presenza di Joseph Halevi. Halevi, insegnante di economia all’Università di Sydney, che molti conosceranno anche per i suoi appassionanti ed esplicativi articoli ospitati da “Il Manifesto”, uno dei pochi studiosi che ha saputo prevedere e denunciare la crisi economico-finanziaria scoppiata nel 2008.</p>
<p style="margin-bottom: 0cm;" align="JUSTIFY">L’incontro, introdotto da Ornella De Zordo, è stato seguito da una platea numerosa ed attenta e si è protratto per circa due ore. Halevi, sollecitato dalle domande di Pierluigi Sullo, ha ripercorso le tappe che ci hanno portato nell’attuale tempesta economico-finanziaria. Lo studioso in particolare ha evidenziato, in riferimento alla situazione europea, la presenza di due dimensioni in questa crisi. La prima dovuta alla grave spirale recessionistica che si è abbattuta sugli Stati Uniti nel 2007 e che si è ripercossa successivamente sul Vecchio Continente; la seconda specificatamente legata ai paesi della zona dell’euro e alle loro assurde e bizzarre alchimie utilizzate per rifinanziare il debito. Procediamo con ordine, tenendo separate le due sfere.</p>
<p style="margin-bottom: 0cm;" align="JUSTIFY">A partire dalla fine degli anni settanta e contemporaneamente alla vittoriosa avanzata neoliberista i salari reali americani hanno iniziato a contrarsi, garantendo così da un lato un aumento del saggio di profitto da parte delle aziende, ma dall’altro esponendo l’economia americana al rischio di contrazione dei consumi. Per evitare una crisi di sovrapproduzione del sistema, determinata dall’alterazione dell’equilibrio tra produzione e consumo, si è deciso di sostenere la domanda interna attraverso una particolare forma di acquisto: quella fatta a debito. La <em>ratio </em>del disegno a “stelle e strisce” si fondava sull’idea di creare plus-valenze immobiliari ed aumentare così i prestiti che le famiglie americane potevano contrarre. Nella realtà dei fatti quello che si andava ad assemblare era un immenso castello di sabbia, destinato a crollare. La tempesta perfetta si è scatenata nel 2007 ed ha assunto le sembianze della crisi dei mutui <em>sub-prime </em>negli Stati Uniti. Il crollo della domanda americana ha poi investito violentemente anche l’Europa, che aveva beneficiato per molti anni di questa “domanda drogata”. La volontaria rinuncia dei paesi europei a perseguire qualsiasi dinamica legata ad una crescita interna, dirigendo tutti i propri sforzi verso le esportazioni, ha reso fortemente dipendenti dalle oscillazioni del mercato americano tutte le economie del Vecchio Continente. In particolar modo, l’effetto generato in Europea, è stato quello di una forte concorrenza interna, giocata esclusivamente sulla compressione salariale, dato che con l’adozione dell’euro non era più possibile incidere sulle variazioni del tasso di cambio e rendere così competitivi i propri manufatti attraverso una svalutazione monetaria.</p>
<p style="margin-bottom: 0cm;" align="JUSTIFY">Un secondo elemento importante da sottolineare nel contesto americano riguarda la finanziarizzazione dell’economia, un processo che non solo non è stato contrastato dal potere politico, ma anzi ha ottenuto un vasto e condiviso consenso istituzionale. La strada seguita è stata duplice: per un verso si è proceduto alla graduale cancellazione di tutta la legislazione di Roosevelt che separava economia e finanza (processo iniziato con Reagan e divenuto imponente sotto Clinton); sull’altro versante si è deciso di creare dei risparmi obbligatori attraverso il sistema di assicurazioni pensionistiche private. Questi fondi sono stati poi investiti secondo criteri speculativi, al fine di garantirne elevati rendimenti, finendo così per andare ad incrementare il potere della finanza sull’economia reale.</p>
<p style="margin-bottom: 0cm;" align="JUSTIFY">Spostando l’attenzione sull’Europa ed introducendo così la seconda dimensione di questa crisi, Joseph Halevi sviluppa le proprie riflessioni in due direzioni. La prima muove da un’evidenza tanto palese quanto mistificata e sottaciuta dai grandi mezzi d’informazione. Per quale ragione il debito pubblico italiano, che si attesta attorno al 120% del Pil, costituisce un problema, mentre quello giapponese che si trova ben oltre il 200% non crea alcun imbarazzo alla stabilità del Sol Levante? La risposta risiede in quella bizzarra e strampalata costruzione che è l’euro. L’affermazione di un sistema monetario unico si è accompagnata non solo alla mancanza di una fiscalità comune, ma anche all’impossibilità (sancita dal trattato di Maastricht) per la Banca Centrale Europea di rifinanziare il debito pubblico degli stati membri. Così, mentre in Giappone i titoli di stato emessi dal Ministero del Tesoro vengono comprati dalla Bank of Japan a tassi particolarmente contenuti, in Europa si è avallata la privatizzazione istituzionalizzata del debito pubblico, diventato inesorabilmente un elemento nelle mani dei privati e potenzialmente utilizzabile a fini speculativi.</p>
<p style="margin-bottom: 0cm;" align="JUSTIFY">L’uscita dalla spirale che utilizza la leva del debito pubblico per portare un attacco frontale ai diritti e ai salari delle classi lavoratrici, secondo Halevi passa necessariamente dall’emissione di Eurobond, attraverso i quali sarebbe possibile per la Bce rifinanziare i debiti pubblici dei singoli stati al tasso d’interesse europeo. Lo stesso economista giudica però utopica tale prospettiva, muovendo dalla consapevolezza che gli interessi franco-tedeschi si dirigono in una direzione opposta. Il principale problema che infatti devono affrontare i due partner più autorevoli sullo scacchiere europeo è legato alla forte esposizione delle banche francesi e tedesche verso i cosiddetti “titoli tossici”. L’operazione tentata dall’asse Parigi-Berlino è quindi una traslazione del rischio dalle loro banche verso quelle italiane. Quest’ultime hanno storicamente un atteggiamento prudenziale con una conseguente alta esposizione verso quegli investimenti generalmente considerati sicuri: i titoli di stato. L’odierno attacco speculativo nei confronti del nostro paese è volto quindi ad introdurre elementi di rischio nel sistema bancario italiano, che in pochi mesi si è così trovato in possesso di un gran numero di titoli divenuti improvvisamente rischiosi.</p>
<p style="margin-bottom: 0cm;" align="JUSTIFY">Prima che il microfono si apra alle numerose e appassionate domande del pubblico presente, Halevi regale un’ultima battuta su quella che altri economisti considerano l’unica possibilità per uscire dalla situazione odierna: il default controllato. Lo studioso ribadisce così anche in Palazzo Vecchio ciò che spesso ha scritto e detto in altre sedi: il default sarebbe una catastrofe perché porterebbe ad un’immediata perdita finanziaria in Italia. Il problema principale non è infatti, secondo la sua analisi, il default stesso, ma in quale maniera rifinanziare il debito. Lasciamo così l’incontro con la certezza di aver compreso con maggior chiarezza l’attuale passaggio storico, ma anche con la sensazione di trovarsi in una congiuntura dalla quale sarà molto difficile uscire.

The following two tabs change content below.

Redazione

Il gruppo di redazione della rivista edita da perUnaltracittà