Sono ancora troppo poche in Italia le persone che sanno cosa sia il TTIP (Trattato Transatlantico di libero scambio), un accordo bilaterale tra Unione Europea e Stati Uniti che riguarda il commercio e gli investimenti e avrà, se stipulato, ricadute pesantissime su quasi tutti gli aspetti della nostra vita.
Scuola, sanità, cultura, trasporti, diritti del lavoro, commercio agroalimentare, industria energetica, brevetti, movimenti capitali: quasi niente resterà fuori da regole imposte da chi sta conducendo oggi, in segreto, la fase preliminare delle trattative, ovvero le grandi multinazionali che, in epoca di crisi e con il supporto di una classe politica prona, si stanno attrezzando per conquistare nuovi mercati.
Perché il TTIP prevede il superamento delle norme dei singoli Stati, in quanto ostacoli al libero commercio. Chi investe godrà di una piena liberalizzazione di beni e servizi che abbatte gli standard di salute, sicurezza e diritti.
Nel settore alimentare, ad esempio, si consentirà il trattamento delle carni con ormoni, si introdurranno OGM, si permetterà l’uso di pesticidi oggi vietati, e tanti saluti alle norme di tutela della salute vigenti oggi in Italia. Anche per sanità, trasporti, istruzione, servizi idrici e energia il TTIP limita il potere degli Stati, mentre in ambito finanziario si elimina la possibilità di controllo sui movimenti di capitali e su speculazioni bancarie, e le tutele contenute nella legislazione sul lavoro verrebbero considerate ‘barriera tariffaria’ e quindi ulteriormente attaccate. Per rendere tutto ciò efficace, si permetterà alle multinazionali di intentare causa a uno Stato per ‘lesi diritti economici’ e di chiedere compensazioni in base alla loro previsione di perdita di profitti se fossero fatte valere normative restrittive votate dal Parlamento eletto. Un’aberrazione concettuale, un colpo definitivo alle già indebolite democrazie occidentali.
Per contrastare tutto questo è partita la Campagna internazionale Stop TTIP per bloccare l’accordo, come già è avvenuto con successo nel 2003 al WTO di Cancùn e nel 1998 con la campagna contro l’AMI, quando furono fermati accordi meno pervasivi del TTIP. Primo appuntamento sabato 11 ottobre, quando migliaia di persone dalla Scandinavia alla Grecia si mobiliteranno contro un trattato che, oltre a quanto detto, distruggerebbe le filiere di piccola e media industria e tutta l’agricoltura non industriale, e che per questo vede altri oppositori oltre ai movimenti che animano la campagna.
A Firenze il Comitato Stop TTIP ha lanciato un presidio su Ponte S.Trinita alle ore 15.30. L’invito è a informarsi e a partecipare a quella che si profila una battaglia per il futuro nostro e della democrazia.
Pubblicato su Repubblica Firenze l’11 ottobre 2014
Ornella De Zordo
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Vi ringrazio per questo lavoro di informazione.
Leggendo queste ‘news’ e facendo memoria di quello che sparpagliatamente
sento in giro, mi pare evidente che l’idea dei TTIP sulla prevalenza del
dato economico sul tutto, l’organizzazione della città di Firenze (in particolare)
come di una bella torta da mettere in vendita, e la messa di fatto in
situazione obsoleta dell’articolo 41 della Costituzione siano dati assolutamente collegati tra loro.
Inoltre, la strategia politico-economica di organizzare Firenze come una torta, per essere messa in vendita al miglior offerente con il cavallo di troia dell’economia da rinvigorire, tradisce solo la miseria imprenditoriale di gente che non sa più come lucrare sul rudere medievale e sull’affresco cinquecentesco.
E si capisce anche come mai tanto è importante per la politica locale e nazionale costituire organismi autonomi -FONDAZIONI con nominati dal sindaco- per gestire I BENI CULTURALI. ( questione che già il libretto di Laura Pennacchi sulla Filosofia dei Beni in relazione alla P.A. e MONTANARI con ‘Le pietre e il Popolo’ mettevano sotto osservazione).
Ci troviamo di fatto di fronte ad un bel comitato da Red Carpet del management Moda/Arte/marchette dolce &gabbana/tacco 12 per MIchelangelo, Brunelleschi, etc.
In tutto questo la nozione Beni Comuni riferita all’arte non mi convince. La trovo ‘riduttiva’ .
Non è l’acqua. Non esiste prima dellì’uomo. Non è la terra che può essere rivendicata come una proprietà comune (non proprietà).
E’ stato forse un escamotage di comunicazione o il tentativo di una nuova nozione, della definizione cioè di un nuovo oggetto di sapere politico.
Invece trovo che vada rivendicata, l’Arte, come un patrimonio di conoscenze e saperi identitari e condivisi.
E se anche è necessaria o utile una ‘economia’ che la riguardi, non può essere l’offerta di marketing al miglior offerente.
In questo senso ha valore sociale (art.41), non finalisticamente economico (TTIP) e identitario (la rappresentazione dell’immaginario di una popolazione attraverso i secoli)
E’ un bene in assoluto.
Grazie
Marialaura