La vertenza sindacale che scuote le mura delle biblioteche e dell’archivio del Comune di Firenze ha radici lontane: risale a quasi vent’anni fa, quando i lavoratori del progetto Polis, formati dal Comune per prestare servizio presso lo stesso, sono stati ceduti alle cooperative. Tra passaggi da una cooperativa all’altra, la loro storia si unisce a quella dei lavoratori esternalizzati delle biblioteche comunali fiorentine.
Il nucleo recente di questa storia, invece, inizia nel giugno 2013, quando alla scadenza dell’appalto precedente, durato cinque anni, i sindacati hanno fatto due richieste al Comune: la clausola sociale, a garanzia del mantenimento del posto di lavoro per gli oltre 70 dipendenti delle cooperative; il contratto di riferimento, a garanzia del mantenimento delle condizioni economiche e contrattuali dei lavoratori. Dopo mesi di trattativa, di incontri con l’allora Assessore alla cultura, il prof. Givone, di Commissioni lavoro e cultura, di rassicurazioni che nulla sarebbe cambiato, che i lavoratori sarebbero stati tutelati dal Comune, il bando è uscito senza clausola sociale e senza l’inserimento di un contratto di riferimento.
Alla gara si è presentata una sola Ati (associazione temporanea di imprese), formata dalle cooperative che avevano gestito il servizio negli anni precedenti, più un nuovo soggetto.
E se questa può sembrare una buona notizia, perché in questo modo sono tutelati i posti di lavoro di tutti i dipendenti, ecco che subito le richieste delle cooperative si mostrano davvero pesanti: delivellamento per alcuni lavoratori che per anzianità e percorso lavorativo hanno un inquadramento contrattuale diverso (il succedaneo della giustizia: i lavoratori dell’appalto devono guadagnare tutti allo stesso modo: il minimo indispensabile), abbattimento di superminimi, passaggi di unità lavorative (che anche se a leggerlo sembra che si tratti di pacchetti, in realtà è di lavoratori, e dunque di persone, che si parla) ad un altro soggetto, passaggi di altre unità lavorative in sub appalto, istituzione di banca ore a rimessa per i lavoratori e a favore delle aziende, formazione a carico dei lavoratori. Ma – soprattutto – rescissione del contratto precedente attraverso una risoluzione consensuale, per perdere diritti acquisiti come l’anzianità di servizio, permessi retribuiti, indennità di disoccupazione, …ecc. Il tavolo di trattativa è lungo ed estenuante: le aziende non si muovono di un passo dalle loro posizioni, concedono pochissimo, e quando non si arriva a nessun accordo con i sindacati, procedono a chiamare i lavoratori per la firma della risoluzione consensuale, con rispettiva convalida e del nuovo contratto. La maggioranza dei lavoratori firma, ma alcuni decidono di non firmare, di resistere.
Questo ha creato una difficoltà enorme, perché di solito non succede così, i cambi di appalto sono quasi sempre peggiorativi per i lavoratori, ma difficilmente si spezza il circolo vizioso in cui i protagonisti si inseriscono: la pubblica amministrazione nel ruolo di committente che fa bandi senza nessun riguardo verso le professionalità che richiede; le aziende che si presentano alla gara con ribassi che non permettono di sostenere i costi dei propri lavoratori; sindacati compiacenti o dormienti o assolutamente poco efficaci; lavoratori che terrorizzati dallo spettro della crisi e della disoccupazione, non hanno la forza di difendersi e finiscono per diventare spettatori passivi del loro stesso destino.
La vertenza che riguarda l’appalto delle biblioteche e dell’archivio del Comune di Firenze è in corso, e ancora non si sa come andrà a finire. Eppure – per quanto strumentalizzata e fatta passare come gesto egoistico, fatto per conservare dei ‘privilegi’ – quella presa di posizione della minoranza dei lavoratori, che hanno alzato la testa e hanno detto basta, ha spezzato il circolo vizioso, e in un modo o nell’altro ha costretto tutti a fare una riflessione. Perché ha dimostrato che non si può sempre accettare tutto, perché così è: se il Comune fa un bando che non tiene conto della sostenibilità dei costi del lavoro, la cooperativa forse non dovrebbe partecipare, motivando con analisi e tabelle la sua scelta; se la cooperativa decide di partecipare lo stesso, forse i lavoratori non dovrebbero accettare la condizione peggiorativa e ai limiti della legalità, oltre che della dignità, che gli viene proposta, e se i lavoratori – o la maggioranza di questi – accetta, per paura, per accidia, per masochismo, per servilismo, per stanchezza, per rinuncia o per qualunque altro motivo, allora forse il sindacato non dovrebbe accettare, in quanto organo preposto a controllare che sui luoghi di lavoro ne venga rispettata l’etica. Insomma, i circoli viziosi o si alimentano o si spezzano. Nessuno può pensare si starci dentro per migliorarli ‘dall’interno’. I circoli viziosi possono trasformarsi in virtuosi, ma per farlo, bisogna prima spezzarli, far uscire l’aria malsana, e poi ricomporli, ma serve impegno e volontà, di almeno uno dei soggetti che lo alimentano.
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