Processo Magherini: quale giustizia senza il reato di tortura?

magheriniOmicidio colposo: rinvio a giudizio per omicidio colposo. Dunque, ci sarà un processo nel prossimo giugno, nei confronti di quattro carabinieri e tre volontari della Croce Rossa per la morte di Riccardo Magherini.

Dopo perizie discutibili, dichiarazioni avventate e la solita colpevolizzazione della vittima (che, tra l’altro, ignobilmente continua), la decisione è stata presa. Non era una decisione scontata, anche visti i precedenti ormai numerosi nel nostro paese. La famiglia ha accolto, con realistico sollievo, la notizia. Eppure non è buona notizia fino in fondo.

Il processo si svolgerà per accertare il grado di “colpa” dei quattro carabinieri – preferiamo tacere sui tre volontari della Croce Rossa che si sono trovati, per loro sfortuna, coinvolti – nella immobilizzazione di Riccardo e nella violazione dei protocolli interni all’Arma. Colpa significa che non c’era volontà di nuocere, ma solo andrà accertato se hanno agito con negligenza (distrazione), imperizia (incapacità) e imprudenza (avventatezza) in quella notte a San Frediano.

E’ verosimilmente il fatto con più filmati, registrazioni audio e testimonianze dirette di tutti i casi simili che si sono presentati. Abbiamo tutti visto i calci in faccia, le minacce e le urla. Senza volersi sostituire a quanto verrà accertato processualmente è veramente molto difficile comprendere come si possa parlare semplicemente di “colpa” e non di “dolo” cioè di volontà. I calci in faccia non indicano la negligenza, non indicano la necessità di assistere una persona in difficoltà, non indicano la necessità di “contenere”: sono un indice di volontà, di abuso verso una persona sottoposta alla limitazione di libertà.

Riccardo Magherini era un cittadino incensurato che ha avuto la sfortuna, non di stare male, ma di incontrare una pattuglia di carabinieri quella notte. Oggi sappiamo che ha avuto anche la sfortuna di vivere in un paese che non ha nel suo ordinamento giuridico il reato di tortura. Non solo: dobbiamo constatare che continua un atteggiamento di favor verso le forze dell’ordine che mettono in atto comportamenti illeciti. Negli ormai numerosi casi accaduti, il massimo di giustizia a cui si può aspirare è proprio l’omicidio colposo. Negli altri casi ci può anche non essere il processo oppure il processo prende di mira soggetti che hanno, anche loro, avuto la sfortuna di essere coinvolti. Si pensi al caso di Giuseppe Uva e al processo agli psichiatri (assolti).

Le analogie, però, con il caso di Federico Aldrovandi sono impressionanti: sembrano casi fotocopia. La vicenda giudiziaria di Federico si è conclusa con le condanne per omicidio colposo ai poliziotti. Sembrano una beffa ma, visti i tempi e le situazioni, quella vicenda è considerata il massimo successo a cui la giustizia di questo paese può aspirare. La foto di Federico morto con la testa immersa in un lago di sangue l’abbiamo vista tutti. La “negligenza” non c’entra nulla.

Da giugno assisteremo a un processo, quindi, sul comportamento colposo dei quattro carabinieri e alle lunghe dissertazioni sul nesso di causa tra la loro condotta e la morte di Riccardo. Sono sempre disquisizioni molto scivolose. Nella recente sentenza di appello sul caso di Stefano Cucchi sono state analizzate ben quattro ipotesi di causa di morte: nessuna delle quali è stata ritenuta convincente. Il risultato finale lo ricordiamo bene: tutti assolti. In primo grado era stato addirittura stabilito che Stefano fosse morto per la “sindrome da inanizione” cioè di fame e di sete e non per mano di qualcuno. Invano l’avvocato Fabio Anselmo – “è l’avvocato di tutti quelli li” (copyright Giovanardi) – si è battuto affinché l’incriminazione fosse per omicidio preterintenzionale ovvero di un fatto misto tra dolo (le lesioni volontarie) e colpa (la morte). Al massimo, alle forze dell’ordine per i loro comportamenti, si può riconoscere la colpa. Distrazione e incapacità si, volontà giammai!

La soluzione a queste vicende – oltre ovviamente al diverso atteggiamento culturale delle varie procure – la conosciamo. Il riconoscimento in Italia del reato di tortura. Lo ricordiamo è un reato “tipico” del pubblico ufficiale e dell’incaricato di un pubblico servizio – es. forze di polizia – che mette in atto minacce, violenze, trattamenti inumani e degradanti nei confronti di persone sottoposte alla limitazione della libertà personale. In questo caso i “calci”, che hanno colpito il viso di Riccardo Magherini, integrerebbero di per sé il reato, senza bisogno di alcun altra dimostrazione che non le prove documentali (i video) o testimoniali.

I 945 parlamentari a busta paga del contribuente italiano non sono ancora riusciti a approvarla. Le pressioni per edulcorarla e sganciarla dagli standard internazionali sono fortissime. Le notizie di questi giorni parlano di un passo in avanti nel percorso parlamentare del disegno di legge del reato di tortura. Se viene approvato il testo della commissione si risolverà ben poco.

Non abbassare la guardia, battersi per l’approvazione del reato di tortura così come definito internazionalmente, appoggiare la lotta – non solo giudiziaria – della famiglia Magherini è il segno più tangibile di un impegno che non può mancare per fare apparire, un giorno, come anacronistica la splendida battuta di Alfred Hitchcock citata, nel fondamentale volume di Marco Preve, “Il partito della polizia” (Chiarelettere, 2013): “Non sono contro la polizia, ne ho solo paura”.

Luca Benci è un giurista esperto di diritto sanitario e biodiritto