Andiamo a picchiare i neri, Pomigliano, 13 gennaio 2018.
A negri qua non ce potete sta, se non ve n’annate so’ affari vostra, Tarquinia, 21 gennaio
2018.
Non mi faccio visitare da un negro, Cantù, 27 gennaio 2018.
Gas per i negri, Isola del Gran Sasso, 27 gennaio 2018.
Non possiamo smettere finché voi negri siete qui, Pavia, 5 febbraio 2018
Sporchi negri tornate a casa vostra, Roma, 8 marzo 2018
Sporco negro, odio i negri, Riccione, 22 marzo 2018
Le frasi sopra richiamate non sono state pronunciate in campagna elettorale. A Pomigliano, Tarquinia, Pavia, Roma e Riccione hanno accompagnato cinque aggressioni razziste. A Cantù sono state pronunciate da una donna che ha rifiutato l’assistenza sanitaria da parte di un medico “nero”. A Isola Gran Sasso sono state scritte su una canalina della rete del gas vicina a un centro di accoglienza.
Il ritorno della “razza” (Utilizziamo, scusandoci e consapevoli di esserne poco degni, un’espressione usata da Etienne Balibarè) è andato dunque ben oltre la nota dichiarazione adiofonica dell’allora candidato e oggi governatore della regione Lombardia Attilio Fontana: “Dobbiamo decidere se la nostra etnia, se la nostra razza bianca, se la nostra società deve continuare a esistere o se deve essere cancellata”, Radio Padania, 15 gennaio 2018.
Nei due casi di violenza più gravi avvenuti nei primi tre mesi dell’anno, i fatti hanno del resto parlato da soli: Luca Traini ha scelto a Macerata il 3 febbraio di sparare all’impazzata contro persone rigorosamente nere, ferendone sei. Roberto Pirrone ha ucciso a Firenze il 5 marzo Idy Diane, scegliendolo camminando su un ponte dopo aver incontrato altre persone sul suo percorso. In entrambi i casi eravamo in piena campagna elettorale. La stessa delel parole di Fontana.
L’assassinio a colpi di fucile di Soumalya Sacko, maliano di 29 anni, a San Calogero è invece avvenuto dopo il voto ed è l’ennesimo segnale di come l’estrema precarietà delle condizioni di lavoro agricolo in certe aree del Mezzogiorno e il clima politico generale rendano nullo il valore della vita degli immigrati, specie di quelli africani. E non possiamo non menzionarlo anche se questo rapporto contiene dati e segnalazioni che si fermano al 31 marzo 2018. Se i media e il discorso politico di ministri destinati a gestire la questione delle migrazioni adottano un linguaggio aspro e dai toni razzisti e xenofobi, se questo linguaggio viene rilanciato e alimentato dai social network, i casi tragici come quello delle campagne calabresi rischiano di divenire la normalità.
Nel nostro ultimo libro bianco abbiamo evidenziato l’involgarimento del dibattito pubblico e lo scivolamento progressivo dalla banalizzazione, alla normalizzazione, alla legittimazione fino alla rivendicazione e all’ostentazione delle violenze razziste. Nei primi tre mesi del 2018 si è andati oltre. Una campagna elettorale piena di stigmatizzazioni e di offese razziste ha premiato, come mai prima, le forze che più hanno esibito il “bastone” contro i migranti, i richiedenti asilo, i rifugiati e i cittadini di origine straniera annunciando espulsioni e rimpatri di massa, la chiusura dei centri di accoglienza, l’apertura di altri centri di detenzione e la riduzione dei diritti cittadinanza a “privilegi” per i cittadini italiani nell’erogazione delle prestazioni di welfare. Obiettivi recepiti nel “contratto” che dovrebbe indirizzare le politiche del nuovo governo.
Oggi il paese è intriso molto più di sei mesi fa di un veleno nazionalista, xenofobo e razzista che, come le frasi sopra citate sembrano segnalare, ispira troppo facilmente comportamenti sociali discriminatori e violenti.
Il razzismo sembra essere diventato un logo di successo, non solo in campo politico.
Ne diamo conto in questo breve dossier a partire dai 169 casi di discriminazione e di razzismo che abbiamo documentato tra l’1 gennaio e il 31 marzo 2018, cercando di mettere in luce le tendenze più preoccupanti, a partire dalla ricostruzione delle violenze razziste più gravi, avvenute nel corso e subito dopo la campagna elettorale.
*Lunaria, giugno 2018