Nardella vuole poteri commissariali sul patrimonio edilizio monumentale della città. In nome delle semplificazioni e della sburocratizzazione, chiede espressamente a Conte di semplificare – eliminandole – le procedure autorizzative in merito alla trasformazione dei monumenti cittadini.
Proposta pericolosa in una città, Firenze, dove il piano regolatore ha già eliminato l’obbligatorietà del restauro sugli edifici vincolati. Un piano che, pur scaduto, vige da mesi. E che, in proroga, conferma le scelte scellerate di consumo del centro antico e di svendita del patrimonio pubblico che hanno acuito in città i postumi della pandemia.
Negli scorsi giorni, dagli studi di La7, il sindaco coglie al balzo la questione “scuola”, per avanzare una proposta che rischia di essere profondamente eversiva, poiché in nome di un’esigenza sanitaria scardinerebbe il sistema della tutela dei beni culturali.
In televisione, il sindaco porta l’esempio delle scuole ospitate in edifici classificati come beni culturali, dove «per spostare una piccola parete ho bisogno di autorizzazioni delle soprintendenze, per rifare una facciata dell’autorizzazione paesaggistica». La conclusione di Nardella è nel solco del “via lacci e lacciuoli”: «nel Decreto Semplificazione – egli dichiara – bisogna consentire ai sindaci delle città d’arte di superare anche un muro di vincoli burocratici sul patrimonio storico e artistico. Senza non potremmo fare niente».
Chiaro: nell’età delle semplificazioni auspicate e desiderate, “fare” coincide con “disfare”. Fare in sicurezza significa disfare il doppio sistema di tutela previsto dal Codice dei Beni Culturali, dove Comune e Soprintendenza partecipano, ciascuno secondo i propri compiti nella salvaguardia del bene edilizio di carattere monumentale.
A Firenze, la variante all’articolo 13 del Regolamento urbanistico, per quanto concerne gli edifici con valore di bene culturale (tutti, da Palazzo Vecchio al Duomo, da Forte di Belvedere alla villa medicea di Castello), ha già tolto di mezzo l’obbligo di operare secondo i criteri del restauro.
Ai sensi del variato articolo 13 del regolamento urbanistico, sui beni culturali dell’intero territorio comunale fiorentino si può infatti avviare la ristrutturazione edilizia. Vale a dire che sui monumenti sono ammessi «gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente» (art. 3, TUE 380/2001). Fino alla sua demolizione e ricostruzione.
La tutela del bene, dunque, resta in mano al Soprintendente che dispone caso per caso, senza la supervisione urbanistica complessiva, che la legislazione italiana attribuirebbe all’ente locale, cioè al Comune. Che invece la elude.
Ciò significa che se, come auspicato dal sindaco, venisse a mancare la cosidetta “burocrazia”, cioè l’autorizzazione proveniente dagli uffici di Soprintendenza, sul bene culturale avremmo il medesimo – inesistente – grado di tutela riservato a un capannone di periferia. Pane per i denti degli affamati “investitori” che attendono il nuovo rinascimento del turismo globale.
*Ilaria Agostini