Il mio Bene Comune è il Servizio Sanitario

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Intervengo sull’aziendalizzazione della Sanità Pubblica, vista dalla prospettiva di chi vi ha lavorato, per spiegare perché quegli elementi introdotti dalle Riforme dei primi anni ’90 (Aziendalizzazione del S.S.N. 502/92 e Privatizzazione Rapporto Pubblico Impiego Dlgs 29/93), con il fine di sburocratizzare, di risparmiare e di premiare il merito, abbiano sostanzialmente mancato i loro obiettivi enunciati.  Nella realtà, che è distante dalla narrazione, la responsabilità diretta dei Dirigenti, la valutazione professionale e l’osannato vincolo di fiducia, hanno piuttosto favorito quei meccanismi di  fedeltà e di sottomissione, orientati alla sostanziale esternalizzazione dei servizi in favore del settore privato. Gli anni e soprattutto quest’ultimo di pandemia, con la scia delle sue vittime, parlano eloquentemente del fallimento di questo modello e della sua moltiplicazione nelle tante repubblichette regionali.

L’Aziendalizzazione del S.S. ha implicato che l’organizzazione ed il funzionamento delle singole Asl fossero disciplinati da un atto aziendale di diritto privato, ispirato a criteri di funzionalità, collegamento delle attività degli uffici, garanzia di imparzialità e di trasparenza. Questi criteri sono rispettati?  Direi di no e vediamone il perché.                                

L’atto più importante di ciascuna ASL è la delibera che definisce la sua articolazione operativa (in breve…chi fa che cosa). Perché tale articolazione risulti comprensibile, occorre che gli incarichi della Dirigenza siano individuati non solo dalle loro denominazioni ma anche dai loro contenuti, collegamenti e confini di azione. Se questa condizione manca, viene a determinarsi una ridotta trasparenza, con pesanti ricadute sulla qualità stessa del processo di Valutazione professionale della Dirigenza. Cosa si valuta infatti se contenuti, relazioni e confini non sono ben definiti? Ma se il processo di valutazione finisce per ridursi ad essere sostanzialmente poco credibile in quanto privo delle necessarie premesse che lo discostino dal rischio di arbitrio, a cosa in effetti serve?

Con la regionalizzazione dei Servizi Sanitari, la spesa è arrivata a rappresentare circa l’80% dei bilanci regionali ed è pertanto un potente volano per appetiti locali e carriere personali.  Un potere politico così ravvicinato non si limita a programmare e a gestire, ma talvolta esprime dei desiderata che qualcun altro, con propria responsabilità diretta, dovrà realizzare firmando  Atti non sempre  rispondenti a criteri di qualità e di efficienza.  Nonostante la prevista autonomia professionale – onestà intellettuale?- , venduta come specchietto per le allodole per far digerire il resto del pacco, consenta di opporsi a provvedimenti  non condivisi,  si rischia di compromettere l’osannato vincolo fiduciario. Che fare allora?  Il premio o la punizione sarà l’incarico, pesato, remunerato e attribuito a volte anche secondo finalità corruttive, dettate da interessi diversi dagli obiettivi ufficiali. Ecco quindi a cosa possono risultare funzionali quei processi di valutazione che, prescindendo da risultati misurati con criteri trasparenti e predeterminati, finiscono con l’aprire più facilmente  le porte all’arbitrio del premio o della punizione. E’ davvero questa la selezione dei Migliori?

Tale prassi operativa ha fortemente condizionato, e non solo nella Sanità, l’assunzione di decisioni e la produzione di Atti di oggettiva rilevanza pubblica, orientati ad una progressiva privatizzazione dei Servizi, fino a spingersi ( la Lombardia ne è un esempio )  a trasferire al privato addirittura le prestazioni ospedaliere più remunerative, lasciando al Pubblico soprattutto gli oneri. E’ lecito domandarsi allora se l’aziendalizzazione non avrebbe dovuto almeno garantire l’efficienza dei conti, dato che non ha certo garantito l’uguaglianza delle prestazioni?

Le esternalizzazioni hanno contribuito da un lato a indebolire l’intero settore pubblico, nel 2008 ben demonizzato dal Ministro Brunetta e da campagne di stampa finalizzate a spianare la strada al  vero obiettivo:  quello di tagliare risorse, così aprendo al privato interi settori di domanda, al riparo dalla saturazione dei mercati.  

In nome del debito pubblico, si è così andata progressivamente realizzando una dismissione della gestione diretta, dai tradizionali servizi di mensa, lavanderia e manutenzione, ai settori tecnico amm.vi e sanitari, chiudendo ospedali, presidi territoriali e regalando ampi spazi ad un Settore Privato sempre più agguerrito, fino al punto di consentirgli di dettare l’agenda e le regole.  La gestione europea dei Vaccini e le insopportabili differenze di trattamento riservate agli Utenti dalle nostre regioni, ne sono un esempio.

L’indebolimento della Medicina Territoriale si è rivelato determinante nel numero dei morti che questo Paese ha contato in questo anno di Pandemia. Tale progressiva sottrazione di servizi ha ulteriormente colpito le donne anche per la forte contrazione dei Consultori e le difficoltà crescenti, soprattutto in alcune Regioni, ad accedere alle Interruzioni Volontarie di Gravidanza.            

E’ comunque riduttivo parlare di una Medicina al femminile solo rispetto alla funzione riproduttiva. I corpi delle donne infatti si ammalano differentemente e con frequenze diverse da quelli degli uomini. Reagiscono alle cure con caratteristiche loro proprie, diverse da quelle degli uomini. Ma la ricerca, i percorsi clinici, diagnostici e di cura sono stati misurati soprattutto sui corpi maschili. Soltanto in tempi molto recenti la Medicina di genere è stata inserita sia nel Piano Sanitario Nazionale (2012 – 2016) che negli insegnamenti di Scuole e Università di Medicina (dicembre 2016) del territorio italiano.

Le statistiche dicono che le donne vivono più a lungo, ma anche che per es. si ammalano più degli uomini di Alzheimer e di Demenze Senili. La domanda che dobbiamo porci è allora relativa alla qualità di vita loro riservata da questi anni in più da vivere e spingere per una Prevenzione e Servizi domiciliari alternativi alle RSA, sulle quali troppo Privato di assalto investe con esclusivo fine di lucro.

Della stessa autrice Narrazioni e realtà nel processo di aziendalizzazione del 2009, scaricalo a questo link.

Laura Santoro

 

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Laura Santoro

Laura Santoro, nata a Salerno nel 1952. Maturità Classica nel 1970 e Laurea in Sociologia nel 74. Ho sempre lavorato come Dirigente Pubblico. La mia esperienza più lunga è stata nei Sistemi Informativi del Servizio Sanitario Nzionale e poi Regionale, con incarichi prevalentemente finalizzati alla gestione dei dati di programmazione sanitaria. Attualmente sono in pensione. Ho sempre avuto la passione di viaggiare e dal 1986 al 1990 ne sono conseguite saltuarie collaborazioni di reportage con l’Istituto Geografico Militare. Da oltre 40 anni pratico con passione la fotografia. Talvolta la utilizzo per semplificare la comunicazione di contenuti propri dei Comitati che frequento: No Tunnel Tav e Coordinamento di Democrazia Costituzionale.

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1 commento su “Il mio Bene Comune è il Servizio Sanitario”

  1. Martina Speziale

    Da ex dipendente dell’azienda sanitaria di Firenze, confermo e condivido la lucida analisi di Laura. La chiusura di servizi e l’esternalizzazione di servizi importanti hanno ridotto il diritto dei cittadini ad usufruire di una sanità efficace ed efficiente, riducendo la qualità di quei servizi messi nelle mani dei privati, spesso interessati unicamente al profitto.

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