Il deposito che soffoca le Piagge e svela l’ipocrisia del Comune di Firenze

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Questo articolo racconta un percorso di progettazione partecipata ed è accompagnato dalle relative planimetrie e fotografie, dall’indicazione di alternative – in grado di proteggere il tessuto sociale e ambientale del territorio – a qualsiasi piano calato dall’alto, dal recupero di idee emerse in progetti del passato. Non sappiamo se il Comune di Firenze andrà avanti ad alta velocità senza mettersi in un atteggiamento di profondo ascolto del territorio delle Piagge, il pezzo di periferia urbana – lacerato da non pochi problemi – dove questo racconto ha preso forma. Sappiamo però che già adesso, questo racconto collettivo, così ricco e significativo, andrebbe studiato nelle università di molte città, presentato nei corsi dedicati agli amministratori locali, discusso nelle realtà sociali che si occupano di territorio.


Alle Piagge sta per sbarcare un’altra “nave”, pronta a speronare le storiche “navi” di questo quartiere, come sono chiamati i casermoni di case popolari ormeggiati in questo estremo lembo di periferia fiorentina. Nell’articolo di due anni fa (Le matite delle Piagge) si riportava la lettera con cui la Comunità delle Piagge di Firenze rispondeva alla pubblica amministrazione sul progetto del deposito della Linea 4 della tramvia, che piombava come un’astronave a cementare la maggior parte dell’area verde accanto al centro sociale Il Pozzo.

Su questa area era stato appena concluso il percorso di progettazione partecipata, “Apriti Piazza!”, finanziato e sostenuto dalle stesse istituzioni, per far finalmente diventare Piazza Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, il cuore del quartiere: un vero spazio pubblico di aggregazione da sempre mancante e a lungo atteso. Il percorso partecipato, con lo slogan “Noi siamo piazza Alpi/Hrovatin” esprimeva chiaramente il desiderio del quartiere di farsi cittadinanza attiva nella trasformazione di questo prezioso spazio di socializzazione.

Un anno dopo, il 20 febbraio 2020, la Comunità indice un’assemblea cittadina molto partecipata durante la quale, illustrato il progetto del deposito e manifestate le osservazioni e le criticità, gli assessori presenti prendono l’impegno di rivedere il disegno iniziale e soprattutto di condividere con gli abitanti il progredire delle fasi progettuali per le soluzioni alternative possibili.

Nella volontà di proseguire il progetto iniziato con ‘Apriti Piazza!’, e nonostante il bloccarsi di ogni attività a causa della pandemia, la comunità ha continuato in questo anno ad interrogarsi su possibili alternative al progetto del deposito tranviario. In collaborazione con Ornel Menaj, studente di architettura impegnato, presso il DIDA di Firenze, in una tesi di laurea su Piazza Alpi/Hrovatin, ha prodotto e condiviso con l’amministrazione pubblica un documento che propone quattro localizzazioni alternative. Le aree individuate, dislocate lungo il percorso della Linea 4, mirano a mitigare l’impatto ambientale e sociale dell’intervento. In particolare si suggerisce e privilegia l’idea di spostare il deposito nell’area delle Officine Grandi Riparazioni recuperando gli storici manufatti dismessi, già per loro natura, affini come funzione e dimensione, al deposito in questione. Questa alternativa, oltre a non creare fratture al tessuto sociale e ambientale del quartiere delle Piagge, ridurrebbe a zero il consumo di suolo seguendo i fondamenti per la costruzione di qualsiasi smart city.

A un anno di distanza dalla assemblea pubblica, anche se sollecitata da varie richieste di aggiornamento e di condivisione rimaste inascoltate, l’amministrazione si fa viva per mostrare alla Comunità il progetto definitivo a pochi giorni dalla presentazione ufficiale alla stampa.

Quello che rappresentano i nuovi elaborati grafici è a dir poco spiazzante. Il deposito viene parzialmente spostato dall’area verde di piazza Alpi e Hrovatin per entrare come una nave a speronare direttamente lo spazio dove si trova il centro sociale e il condominio popolare che sorge al suo fianco. La sede dei binari della tranvia che arriva dal centro città si allarga in fondo agli edifici di via Umbria per ospitare i binari di manovra necessari allo scambio e al rimessaggio delle vetture, per poi introdursi in un volume imponente che, ruotato di 90° rispetto al percorso, si infila nel perimetro della piazza, sottraendo terreno alle attività sociali e lavorative della Comunità e del centro sociale che qui si svolgono da anni. Un volume lungo 100 metri per 30 di larghezza, alto 7 metri, che, su una piattaforma di scambi e binari, raccoglie le funzioni di deposito e lavaggio delle vetture della tramvia a fine corsa e una serie di uffici amministrativi.

Nella planimetria gli edifici del centro sociale e della bottega equo e solidale, i laboratori del riciclo dei materiali in cui lavorano le cooperative, le serre e le piccole officine, vengono costretti in un esiguo spazio indicato come “Nuova piazza Alpi e Hrovatin”, come se tutto quello finora costruito con la pratica quotidiana della Comunità e quello sognato e condiviso con il percorso partecipato di ‘Apriti Piazza!’ non avessero più nessuna voce in capitolo. Oltre ai frequentatori del centro, soprattutto gli abitanti dell’edificio adiacente, vedono avvicinarsi pericolosamente questa ennesima cementificazione, che oltre all’impatto visivo porta con sé tutto quello che è legato alle sue attività: rumore, traffico, smaltimento acque di lavaggio, ulteriore illuminazione artificiale, insomma ancora inquinamento.

Su un territorio già provato dall’attività di un inceneritore, ora dismesso, dal sorvolamento continuo degli aerei, dalla presenza della ferrovia e di una strada pesantemente trafficata come via Pistoiese, su un suolo contaminato da rifiuti e materiali di scarto del boom edilizio del secolo scorso, le autorità offrono una bonifica che altro non è che un’ennesima intrusione.

La seconda versione del deposito della Linea 4 rinnega a nostro avviso ancora una volta la vera identità di questo luogo che ha resistito per anni all’incuria del comune grazie alla forza della sua anima verde, storicamente e profondamente legato al vicino fiume Arno.

Contrariamente alle scelte dell’attuale amministrazione, la vocazione di parco naturale di questa area, fu agli inizi del nuovo millennio, profondamente preservata e celebrata dal Progetto Guida del 2004, incaricato al noto architetto Giancarlo De Carlo, per la riqualificazione dell’intero quartiere delle Piagge. Il piano, grazie al disegno dello spazio pubblico fatto di una rete di luoghi diversissimi e tra loro connessi, si contraddistingue, a distanza di quindici anni, come il più illuminato tra i progetti per il recupero delle periferie fiorentine. La visione di De Carlo rispondeva intelligentemente alle problematiche di isolamento del quartiere con un sistema di collegamenti trasversali che dai Borghi, passando per la Pistoiese, portavano fino all’Arno, unitamente ad una lunga strada verde, pensata per attraversare l’intero quartiere longitudinalmente, come la spina dorsale di un lungo parco. Non è un caso che De Carlo, all’interno di questo sistema complesso, individuasse nell’area attualmente destinata al deposito della tranvia, il centro del parco.

Oggi il terrain vague intorno al centro sociale Il Pozzo si contraddistingue per bellezza di proporzioni e localizzazione. Un polmone verde che apre prospettive lontane in mezzo ai grandi complessi delle Navi, lasciando ancora viva la speranza che la bonifica del suolo e l’investimento in adeguate alberature possano finalmente restituire questo luogo al quartiere.
Rubando le parole di Ignasi de Solà Morales

“La relazione tra l’assenza di utilizzazione e il sentimento di libertà è fondamentale per cogliere tutta la potenza evocatrice e paradossale del terrain vague nella percezione della città contemporanea. Il vuoto è l’assenza, ma anche la speranza, lo spazio del possibile”.

Gli incontri successivi tra la Comunità, gli assessori e i tecnici sono stati importanti occasioni di scambio e chiarimenti. Più volte si è cercata una risposta al perché siano state ignorate le proposte alternative presentate dalla Comunità, soprattutto in considerazione del fatto che è già stato approvato il finanziamento dell’ultimo tratto della Linea 4, quello che collegherà Firenze a Campi Bisenzio e porterà il capolinea ed il deposito finale definitivamente fuori dalla città. Abbiamo provato a domandare perché non si potesse rivedere l’entità dei vagoni da alloggiare in modo da ridimensionare la scala dell’intervento e il suo impatto socio ambientale, ma ci è stato risposto che le tempistiche delle corse non lo permettono. Neanche utilizzare il grande deposito già esistente e funzionante, posto al capolinea di un’altra tratta, rientra nella logica di sfruttare al massimo i turni degli autisti, che impiegherebbero più tempo per raggiungere il percorso assegnato. In poche parole non c’è la volontà di derogare alla messa in funzione di una tramvia da subito efficiente al massimo delle sue potenzialità, per cui un deposito intermedio e temporaneo è inevitabile. L’unica strategia che viene messa in campo è quella di immaginare una seconda vita della grande infrastruttura coperta, ipotizzandone il riuso, una volta che il deposito verrà spostato a fine corsa, come spazio per il mercato rionale. Anche in questo caso non ci è stata data la possibilità di dialogare sull’incongruenza di scala che il deposito manterrebbe anche nella futura destinazione d’uso con le necessità del quartiere e le abilità delle realtà locali di gestire un tale volume.

In seguito a questi confronti i tecnici hanno elaborato le uniche, secondo loro, possibili varianti: la prima che prevede un piccolo ridimensionamento del volume principale in modo da non invadere lo spazio del centro sociale, mantenendone però invariato il forte impatto socio-ambientale. La seconda, che prevede la rotazione del deposito di 90 gradi in posizione parallela alla sede ferroviaria, allontanando i volumi dal centro sociale e dalle residenze. La seconda opzione andrebbe a occupare l’intera area verde occupata dal maneggio alienando una realtà che da anni funziona sul territorio dando a questo spazio verde una importante funzione sportiva. In questo caso inoltre si negherebbe definitivamente la possibilità di auspicare a un collegamento con l’Arno in questa area centrale all’intero quartiere.

Entrambe le soluzioni confermano a nostro avviso l’incompatibilità del deposito con il contesto sia per funzione che per scala lasciando un grande punto interrogativo: ha senso impiegare una così grande quantità di risorse pubbliche per un intervento che si rivelerà obsoleto a corto termine e lascerà dietro di sé lacerazioni ambientali e sociali per molto tempo a venire? Se veramente si sta cercando di dare ai cittadini il miglior servizio con un intervento temporaneo, esistono altre strategie che si possono mettere in campo? Qui dove l’arrivo della tranvia era visto come la soluzione ad anni di traffico pesante e difficile, quello lungo la via Pistoiese che collega Firenze alle città della piana, come il dovuto riconoscimento a un servizio pubblico efficientemente proporzionato alla densità abitativa di questo quartiere, ci si domanda perché dover pagare per l’ennesima volta a caro prezzo un diritto alla vivibilità che alle Piagge viene negato da anni.

Il collegamento con gli altri quartieri tramite la Linea 4 sarà una grande opportunità per i fiorentini di scoprire una parte della città che ha delle risorse ambientali e umane sconosciute a molti, sempre che queste risorse si salvaguardino e si valorizzino. Un deposito a fine corsa, sia che sia incastrato fra un palazzone e il centro sociale, sia che venga a ingombrare questo “parco” verde ancora libero fra le “navi”, non crea altro che ulteriore chiusura, appesantisce una situazione che ha bisogno invece di mantenere leggerezza e permeabilità. Recuperare il rapporto col fiume e con il suo habitat è vitale per tutto il territorio e per tutti gli abitati che da decenni subiscono isolamento e inquinamento, grazie a politiche disumane che hanno pensato e realizzato questo luogo come un contenitore “deposito” per realtà marginali e scomode.

Quale è la vera ragione di affrettare la realizzazione di questa opera in maniera parziale (visto la prossima realizzazione dell’ultimo tratto tranviario) imponendo l’ennesimo manufatto del tutto fuori scala e fuori luogo per una sua futura ragionevole riconversione? Sprecare un’altra occasione per sanare veramente le ferite inferte a questo territorio e considerare i desideri dei cittadini che hanno bisogno di uno spazio aperto e pulito, dove la socialità possa esprimersi, ritrovare una dimensione più umana e recuperare il rapporto con l’ambiente naturale, non è comprensibile né accettabile.

Annalisa Pecoriello, Elena Barthel e Valentina Mancini della Comunità delle Piagge

(pubblicato su Comune-Info)

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