“Fatevi un favore, unitevi alla nostra lotta”, scrive il Collettivo di Fabbrica dei Lavoratori Gkn di Firenze, 422 persone licenziate in tronco con una mail da Gkn Driveline, multinazionale che produce componenti per auto; “Chi vuole strumentalizzare questi licenziamenti vuole solo fare polemiche” dice Carlo Bonomi, presidente di Confindustria a cui l’azienda è associata. Serve altro per ribadire che la lotta di classe esiste ancora e che la stanno vincendo i ricchi? O vogliamo continuare a credere che lo “sgocciolamento” della ricchezza dalle imprese ai più poveri – vero mantra della “ripartenza” post Covid come dell’ultimo trentennio liberista – sia una cosa reale?
Incontriamo i lavoratori sabato notte nello stabilimento di Campi Bisenzio quando il circo della politica e dei media è finito. All’una sono rimasti solo loro. Apre il cancello un uomo dei 422 che stanno occupando la fabbrica per evitare che la proprietà mandi i tir a smontare i macchinari. L’assemblea permanente ha tra i principali obiettivi quello di impedire che le linee di produzione, in parte automatizzate, vengano portate in un Paese dove i diritti vengono calpestati ancor più che in Italia. Sui tavoli sotto la tettoia della portineria ci sono cassette di frutta e casse di birra, segno tangibile della tanta solidarietà popolare che è arrivata in queste ore.
Stare dalla parte dei 422 licenziati, e degli altri 100 dell’indotto diretto Gkn, vuol dire quindi stare dalla “nostra” parte. Lo spiega bene Massimo mentre ci racconta l’esito della prima giornata di resistenza in fabbrica. Ha gli occhi stanchi e allo stesso tempo luminosi per l’adrenalina consumata nelle ultime ore quando afferma che “quello che è capitato a noi può succedere a chiunque altro già domattina. Le leggi attuali non proteggono più i diritti di chi lavora. Se licenziano in questo modo chi lavora per un’azienda che va bene, che non è in crisi, pensate cosa può succedere a chi subisce di più questa crisi”. Come dargli torto, questa cacciata di massa ha prodotto nuovi profitti solo agli azionisti del fondo Melrose, proprietario di Gkn, il cui titolo ha subito guadagnato il 4,55% in borsa. È questa la ricchezza che ci interessa difendere? È per questo che il ministro allo Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, definisce questi “licenziamenti inevitabili” auspicando in un futuro indistinto un miglioramento dell’azione di governo e imprese più responsabili?
“La solidarietà è importante, fondamentale, ma siamo stanchi delle tante dichiarazioni fatte da quelle stesse persone che si sono rese complici di questo disastro con le loro scelte politiche. Adesso servono atti, leggi nuove e non la solita retorica dei ‘tavoli’, dei ‘protocolli di intesa’, che è ormai evidente porta acqua soltanto al mulino della proprietà”, continua Massimo. Come dargli torto. Si contano sulle dita di un paio di mani le agenzie di stampa o i comunicati di solidarietà vergati da soggetti privi di responsabilità nella distruzione del tessuto industriale italiano e nell’erosione continua di quei diritti inscritti nello Statuto dei Lavoratori del 1970.
Al centro dell’invito “Fatevi un favore, unitevi alla nostra lotta”, diffuso dal Collettivo di Fabbrica, sta proprio la questione dei diritti. Per anni i partiti del Pensiero Unico Liberista (tutti, dalla destra alla sinistra istituzionale) hanno picconato in Parlamento pezzo dopo pezzo quanto conquistato nel decennio di massima espansione dei diritti sociali, gli Anni Settanta. A servizio degli imprenditori, e del conseguente mito dell’impresa panacea di tutti i mali, hanno devastato dal 1980 in poi un quadro normativo che tendeva al rispetto della Costituzione: quella della “democrazia fondata sul lavoro”, dei “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” e della “proprietà privata limitata allo scopo di assicurarne la funzione sociale”.
Si è puntato sulla competizione, sulle sole leggi del mercato e del profitto presentate come sacre e inviolabili. Hanno fatto credere ad una massa privata di strumenti di interpretazione che basta aprire una partita iva per svoltare e che è meglio delegare piuttosto che partecipare attivamente alle sorti della propria vita, depredando dei valori più alti il senso del fare Politica.
Scrive il Collettivo di Fabbrica: “Abbiamo le lacrime agli occhi, mille storie umane da raccontare ma oggi non è questo il punto. Non siamo i poveri operai che vanno a casa. Siamo dignità, orgoglio e resistenza. Siamo stati licenziati con una modalità atroce e con una violenza psicologica importante. Questo aiuta a farvi capire che abbiamo a che fare con persone senza scrupoli. Tuttavia chi si concentra solo sulla modalità con cui siamo stati licenziati, si concentra sulla forma e non sulla sostanza. Chi parla di “caso specifico” Gkn si mette quasi sullo stesso piano di chi ci vuole chiudere. Ma soprattutto mette in pericolo tutti i lavoratori di questo paese. Perché nega implicitamente che siamo gli ultimi di una lunga serie e i primi di una ulteriore serie di chiusure e delocalizzazioni. Siamo una grossa azienda e siamo organizzati. Immaginatevi cosa può succedere alle aziende piccole e meno organizzate. Se sfondano qua – concludono – sfondano da tutte le parti”.
Cristiano Lucchi
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