Il 4 novembre si è celebrata, come ogni anno, la festa delle forze armate. In un momento in cui il mondo è funestato da tante guerre – anche se di alcune si parla più che di altre – è importante ricordare un episodio che ha visto come protagonista don Milani e che ha segnato un precedente importante per l’istituzione dell’obiezione di coscienza e, in generale, per l’affermazione di una cultura di responsabilità, di consapevolezza e di pace.
Le guerre di oggi sono combattute con le armi costruite ieri. Le armi costruite oggi alimenteranno le guerre di domani. Il disarmo – a partire da noi stessi, ossia disarmo unilaterale – è la strategia per costruire la pace. Viene quindi da chiedersi il senso, oggi che deporre le armi è una priorità, di continuare a celebrare il 4 novembre, festa delle forze armate. Fare memoria delle guerre del passato è doveroso per non ripetere gli stessi tragici errori. Ma anche ricordare le grandi battaglie pacifiste del passato lo è.
A questo proposito vorrei raccontare un episodio emblematico che ha visto come protagonista uno dei punti di riferimento della nonviolenza in Italia. Dirompente e clamorosa fu infatti nel 1965 l’appassionata risposta del parroco di Barbiana, vicino a Firenze, Don Lorenzo Milani ai cappellani militari in congedo della Toscana. Don Milani scrive una lettera a quelli di loro che avevano sottoscritto il comunicato in cui dichiaravano di considerare un insulto alla patria e ai suoi caduti la cosiddetta “obiezione di coscienza” che è estranea al comandamento cristiano dell’amore e è espressione di viltà.
Pubblicata solo da Rinascita, la contraria presa di posizione criticava la retorica della patria e del militarismo. Un’esposizione pubblica, forte e coraggiosa che costa a Don Milani la denuncia per vilipendio, con una assoluzione in primo grado e il non luogo a procedere in appello, perché nel frattempo Don Milani era morto. Con lui furono denunciati un altro prete, Don Bruno Borghi, e un gruppo di laici fiorentini che avevano preso posizione pubblicamente nella vicenda e che in appello furono condannati.
Don Milani dice ai cappellani militari di avere idee molto diverse ma che lui può rispettare le posizioni contrastanti alla luce del Vangelo e della Costituzione. Soprattutto se tali posizioni appartengono a uomini che per le loro idee pagano di persona. Ma Don Milani si riferisce anche con forza alla Costituzione: non può pronunciarsi sulla storia di ieri se i cappellani vogliono essere le guide morali dei soldati.
È necessaria la coerenza, dice don Milani, per poter disobbedire: è più difficile fare il rivoluzionario che il conformista
Oltre a tutto – sostiene il parroco di Barbiana – la patria, cioè noi, paga i cappellani militari anche per questo; dunque, se manteniamo a caro prezzo l’esercito è solo perché esso difenda la patria e gli alti valori che questo concetto contiene: la sovranità popolare, la libertà, la giustizia. E allora, a maggiora ragione, urge che si educhino i nostri soldati non tanto all’obbedienza quanto piuttosto all’obiezione di coscienza.
Ogni 4 novembre si celebrano le forze armate dello Stato, ma viene da chiedersi se davvero esse agiscano con l’obiettivo di stabilire e mantenere la pace. Ma quest’anno ricorre anche il centesimo anniversario dalla nascita di don Lorenzo Milani. Per noi che siamo qui, molte cose di don Milani sono conosciute, come la lettera ai cappellani militari di cui ho parlato prima e la lettera ai giudici, con la quale Milani prova a partecipare – da Barbiana perché gravemente malato – al processo che lo vede imputato per “reati commessi a mezzo stampa” e per “istigazione a delinquere”, avendo preso posizione a favori di questi obiettori.
Scritta assieme ai suoi ragazzi di Barbiana, la lettera è divenuta negli anni il riferimento dell’obiezione di coscienza, non solo al servizio militare, per il quale la legge ha poi previsto e parificato il servizio civile sostitutivo, ma all’atto di obiezione di coscienza in generale. E rileggerla periodicamente ci permette di riconsiderare il punto a cui siamo arrivati, capire se per ciascuno di noi esistono ancora motivi per obiettare o se anche noi ci siamo lasciati affascinare dall’obbedienza.
Obbedienza che ovviamente non è in sé negativa; è anzi fondamentale anche per la stessa obiezione di coscienza: io posso disobbedire a una cosa solo se voglio obbedire a qualche cos’altro. Bisogna piuttosto riflettere sui valori a cui siamo obbedienti: quali sono quelli che abbiamo come riferimento e per rispettare i quali saremmo disposti a disobbedire, pagandone le conseguenze? Ogni tanto è bene poterli ripensare, questi valori, e confermarli o cambiarli. È necessaria la coerenza, dice don Milani, per poter disobbedire: è più difficile fare il rivoluzionario che il conformista.
Laura Tussi
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