Livorno: leucemie, melanomi e palloncini

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A Livorno si muore di più della media Toscana, come attesta il Rapporto “Sentieri” che Ministero della Salute e Istituto Superiore di Sanità stilano periodicamente sui 42 siti più inquinati d’Italia.

Circostanza a molti nota, ma non così conosciuta a livello regionale. Anche perché, finora, una narrazione volutamente rassicurante affermava che si trattava soprattutto degli effetti di emissioni ambientali avvenute nel passato: una sorta di tragica “coda lunga” di quando raffineria ENI e attività portuali e cantieristiche rilasciavano inquinanti addirittura più pericolosi per la salute rispetto agli attuali.

Purtroppo, le notizie riportate in questi giorni dal Tirreno ci dicono il contrario: l’inquinamento fa ammalare ed uccide ancora e ancora di più. È del 20 giugno l’allarme lanciato dal prof. Spinelli dell’Università di Pisa sulla inquietante diffusione dei melanomi: Livorno è addirittura la “capitale mondiale” di questa terribile patologia. Con 400 nuovi casi soltanto nel 2024, non è più possibile incolpare soltanto il sole e la passione labronica per la tintarella. “C’è una correlazione fra inquinanti e sviluppo dei melanomi. In particolare fra melanomi e Idrocarburi Policiclici Aromatici, inquinanti associati alle industrie chimiche e petrolifere”. Sono gli I.P.A., infatti, ad interagire col DNA delle cellule, modificandolo e provocando l’insorgenza di tumori alla pelle.

E una settimana dopo, ecco che gli fa triste eco l’intervista al dott. Capochiani, Primario di Ematologia all’Ospedale di Livorno. Qui i nuovi casi sono addirittura 500 all’anno, con “un’incidenza di gran lunga maggiore sulla costa rispetto all’entroterra toscano”. E che l’inquinamento sia una causa scatenante di leucemie e mielomi è circostanza purtroppo nota.

Ha fatto ovviamente benissimo il dott. Bagnoni, primario di dermatologia a Livorno, a riferire in Commissione Consiliare raccomandando in ogni caso la massima cautela nel prendere il sole: il dissennato amore dei livornesi per la tintarella senza protezioni è la prima causa su cui è possibile e indispensabile intervenire.

Tuttavia non basta, evidentemente. Serve un approccio integrato e rigoroso delle istituzioni, che vada ben al di là della sensibilizzazione della popolazione. Due, infatti, sono i limiti dell’atteggiamento finora tenuto dagli enti locali sugli effetti sanitari delle emissioni tossiche.

Il primo consegue proprio alla tendenza a ridurre sempre e comunque il problema ai comportamenti individuali, trasformando troppo spesso le vittime dell’inquinamento in soggetti responsabili della propria malattia (traffico, presunte mancate adesioni a screening ecc.). Questo anche di fronte ad agenti inquinanti di chiara origine industriale, rilasciati di fatto in piena città (il polo petrolchimico, il porto, alcune lavorazioni tossiche).

Il secondo limite è il tentativo di medicalizzare sempre e comunque il problema, parlando preferibilmente di terapie e quasi mani di prevenzione. Manca cioè – e forse non è un caso – la volontà di connettere la tematica sanitaria con quella ambientale, assumendosi responsabilità di vigilanza ed intervento coerenti con il proprio ruolo istituzionale (il sindaco, come noto, è la principale autorità sanitaria locale).

E qui arriviamo ai palloncini.

È sempre di questi giorni la notizia che la Presidente della Commissione Ambiente del Comune di Livorno ha dichiarato guerra ai palloncini liberati nell’ambiente.

Un provvedimento totalmente condivisibile, che però denuncia un’attenzione meritevole di ben altre questioni. La consigliera, infatti, è anche coordinatrice della Commissione Intercomunale sulle c.d. “Maleodoranze”, insieme ai colleghi dei comuni limitrofi di Pisa e Collesalvetti. Chiariamoci subito: per “maleodoranze” si intendono le emissioni dal petrolchimico, dai depositi petroliferi costieri, dal porto, da tutte le varie aziende che ancora insistono nel territorio compreso fra i tre comuni. Non parliamo (solo) di cattivi odori, ma di inquinamento dell’aria, dei suoli, delle acque di falda.

Orbene, la Commissione Intercomunale si è riunita finora solo due volte in otto mesi, l’ultima delle quali a febbraio. Dovrebbe occuparsi di una quantità considerevoli di questioni delicate e rilevanti (dalle bonifiche mai iniziate dei 188 ettari della raffineria intrisi di idrocarburi fino a 8 metri di profondità, ai fumi navali, ad esempio). Prima fra tutte lo stato di attuazione di una importante iniziativa sanitaria capitanata dalla Regione Veneto, capofila nel bando PNRR che ha stanziato alcuni milioni di €. L’obiettivo, comunicato dalla responsabile del Servizio Prevenzione dell’ASL Nordovest Roberta Consigli, è quello di realizzare indagini epidemiologiche sulla popolazione del SIN Livorno/Collesalvetti e anche screening specifici sulla presenza di metalli pesanti e altri inquinanti nel sangue, nella saliva e nell’urina di un campione rappresentativo della popolazione esposta.

Da oltre quattro mesi, cioè da quanto questa iniziativa è stata annunciata a sorpresa nella Commissione Intercomunale, non si è a conoscenza del suo sviluppo. 

Ora, noi a Livorno apprezziamo indubbiamente la crociata contro la dispersione delle plastiche nell’ambiente, sia pure per fini ludici. Ma saremmo ancora più sollevati nel sapere che si stanno facendo concreti passi avanti nella prevenzione dell’inquinamento industriale, anche se riconosciamo che è molto più difficile prendersela con petrolieri ed armatori piuttosto che con chi lancia palloncini nel blu.

Informazioni di corridoio di qualche settimana fa ci dicevano che l’organizzazione delle indagini epidemiologiche e degli screening è ancora in alto mare. Non vorremmo mai che, alla luce dell’ultima decisione del Parlamento Europeo (votata, purtroppo, anche dal Partito Democratico), i fondi del PNRR assegnati alla prevenzione sanitaria nel caso non fossero spesi in tempo venissero destinati a caccia e carri armati.

Al danno ambientale e sanitario si aggiungerebbe la beffa bellicista.

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Esponente dell'Associazione Livorno Porto Pulito APS e referente Attac Livorno.

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