La Lega agli immigrati "Esame di italiano per aprire un negozio"

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2010-04-24 08:27:48

>[La Repubblica, 24/04/2010]<br />Le insegne dei negozi devono parlare italiano. Tutt´al più lumbàrd, varesotto, brianzolo, bustocco, trevigiano. Siciliano e sardo e inglese, of course. Insomma qualsiasi lingua civile e comprensibile, europea e locale, dunque tutti i dialetti vanno bene. I geroglifici no, niente arabo e cinese, non più. Se vogliono aprire un´attività commerciale, gli stranieri devono adeguarsi: imparare l´italiano. Superare un test di conoscenza della lingua, e presentare il certificato. <br />Proposta leghista della deputata Silvana Comaroli, di Soncino (Cremona), classe 1967, che alle Commissione Attività produttive e Finanze della Camera ha presentato il suo emendamento al decreto legge incentivi. Scrivendo: «Le Regioni possono stabilire che l´autorizzazione all´esercizio dell´attività di commercio al dettaglio sia soggetta alla presentazione da parte del richiedente, qualora sia un cittadino extracomunitario, di un certificato attestante il superamento dell´esame di base della lingua italiana». Un secondo emendamento dell´onorevole del Carroccio chiede invece lo stop alle insegne multietniche, in favore dei dialetti. «Le Regioni possono stabilire che l´autorizzazione da parte dei Comuni alla posa delle insegne esterne a un esercizio commerciale è condizionata all´uso di una delle lingue ufficiali dei Paesi appartenenti all´Unione europea ovvero del dialetto locale».<br />Niente più Chinatown. Occorrerà attendere la prossima settimana, quando vi sarà il vaglio di ammissibilità in Parlamento, per capire se le proposte hanno una chance di diventare legge. Non è una novità da parte della Lega Nord, dalle panchine vietati a Treviso da Gentilini alla fine degli anni ´90 ai divieti di burka, burkini, kebab e altri fastidiosi esotismi in molte città. E non lo è l´idea del test di italiano, perché a Prato c´è già: nella città toscana il regolamento sull´apertura di negozi, bar e ristoranti da parte degli stranieri prevede che il gestore sia capace di leggere e capire l´italiano, per poter applicare le norme igienico-sanitarie di base e prestare assistenza ai clienti. Per la giunta di centrodestra guidata da Roberto Cenni, il test è un passo verso l´integrazione. «L´esame deve essere accompagnato da tutti i supporti necessari, a partire dai corsi di lingua». E Prato anticipa la Lega anche sulla proposta delle insegne. Un regolamento comunale prevede che l´italiano sia prevalente e ben visibile, pena multa, oscuramento e, se non ci si adegua, la rimozione. Ieri l´altro è toccato a una pescheria.<br />Sono oltre 90mila in Italia i commercianti immigrati titolari di imprese al dettaglio, quasi il 15 per cento del totale degli esercizi secondo i dati di Unioncamere (al 2009). Il presidente della Fipe Confcommercio Lino Stoppani: «Non bisogna introdurre nessun tipo di barriera impropria per scoraggiare o impedire l´inizio di una nuova attività imprenditoriale perché questo va contro il principio della democrazia economica e di un mercato aperto alla concorrenza». Piuttosto, aggiunge, «bisogna rafforzare la formazione, compresa la padronanza della lingua italiana, perché questi nuovi imprenditori non siano discriminati». <br />Ovviamente «saggia» la proposta della Lega secondo il vicepresidente dei deputati del Pdl, Osvaldo Napoli. Un´uscita invece provocatoria, ma ben giustificabile all´indomani della direzione del Pdl, secondo Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato. «La Lega vuole battere un colpo e lo fa a suo modo: col razzismo. Pensi semmai a presentare un programma obbligatorio di lingua e cultura italiana per gli immigrati nella scuola pubblica». Ma la difesa dell´italianità, nel pacchetto di emendamenti leghisti, è prioritario e corposo: si ipotizzano anche assunzioni circoscritte ai cittadini comunitari e chiusura delle attività che mettono in pericolo la tipicità culturale e storica. Eppure in tutto il mondo ci sono Little Italy, e sono amate.<br />di Alessandra Retico

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