La politica di Slow food. Una cosa di sinistra disertata dalla sinistra e coccolata dalla destra.

  • Tempo di lettura:4minuti

2010-05-16 20:31:56

><p style="margin-bottom: 0cm;">[Il Manifesto, 16/05/2010]</p>
<p style="margin-bottom: 0cm;">La scena racconta una cosa di sinistra disertata dalla sinistra e coccolata dalla destra. C’è il settimo congresso di Slow Food, un movimento che con i suoi 40.000 soci da 24 anni si batte per la salvaguardia dell’agricoltura, del suo lavoro e della biodiversità. E perché il cibo non faccia rima con fast food, perché la piccola produzione non sia cancellata dalle multinazionali e perché la grande distribuzione non sia l’arbitro dei prezzi al consumo. «Una politicità che non capirete mai», tuona Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, rivolto alla «beneamata sinistra» e a chiunque non capisca perché «il piacere può cambiare il mondo» e perché «i fondamenti del cibo sono i fondamenti della vita». Petrini è più che un vulcano islandese, cita Fo, Sant’Agostino, Pasolini, Bacon, Gramsci, Baudelaire e rivolto questa volta «a destra e a sinistra » che invocano il ritorno al consumo, incenerisce: «Dire questo oggi è come portare un malato di diabete in pasticceria». Prima di lui, parla il presidente di Slow Food Italia Roberto Burdese (oggi riconfermato per altri quattro anni) che dà un colpo di frusta, mettendo in fila vecchi e nuovi impegni del movimento: ancora cose di sinistra se una sinistra ci fosse, come il no agli ogm, il no alla privatizzazione dell’acqua, il no al nucleare. Battaglie fatte e da fare con chi ci sta. Ma a fianco di Burdese e di Petrini si vedono ad Abano soltanto il governatore leghista del Veneto ed ex-ministro dell’agricoltura Luca Zaia, il sindaco di Roma ex-ministro dell’agricoltura Gianni Alemanno e in programma Roberto Galan, ministro berlusconiano dell’agricoltura. Che dà forfait all’ultimo momento, forse perché sulla via delle Attività produttive al posto di Claudio Scajola per liberare la poltrona a un altro ministro possibilmente leghista, si parla di Giampaolo Dozza di Treviso. Così è il congresso di Slow Food. Un movimento che fa politica nel territorio con le sue Condotte, con i suoi Orti, con la sua prossima battaglia su ambiente e cibo e salute, «perché se mangiamo male il conto lo paghiamo proprio sulla salute», dice Burdese. In tempi di crisi globale, Slow Food rilancia l’allarme sull’agricoltura e provoca: meglio diventare azionista di un contadino che di una società in borsa. Perché è qui che un governo deve intervenire, un settore dove negli ultimi dieci anni (dati Eurostat) i redditi reali sono calati del 36%, l’occupazione del 16% o del 75% estendendo il periodo fino al 1970. Se poi si guarda all’orizzonte della crisi alimentare del mondo, la necessità di salvaguardare le piccole produzioni locali per combattere la fame è fatta di numeri ancora più drammatici. Al G8 dell’Aquila, ricorda Burdese, sono stati promessi «15 miliardi di dollari per chi ha fame e non è stato dato nulla, mentre i soldi per salvare banche o l’automobile si trovano subito». In assenza di una qualche forma di rappresentanza della sinistra, Zaia occupa facilmente la scena. Intanto nello stile: arriva puntuale alle 14.30, ascolta, interviene e se ne va dopo oltre due ore di congresso. Da ministro ha detto anche lui no agli Ogm e alla sperimentazione del mais transgenico ammessa dall’Unione europea. Lo ribadisce da governatore che gioca in casa davanti ai circa 600 delegati di Slow Food, cita Vandana Shiva, sottolinea che «la stessa comunità scientifica è spaccata sull’innocuità degli ogm» e che «non è vero che si guadagna di più dove si coltivano gli ogm». E ancora strappa applausi quando dice «l’unica multinazionale da difendere è quella dei contadini» e chiude ammiccante: «La vostra linea è quella da adottare, è la nostra». Corteggia Zaia, e al congresso sembra fregare poco che lui leghista lanci anche campagne per lo «sciopero dell’ananas» perché non italiano. Sarà amore? «C’è amicizia», replica Petrini. E certo Lega e Slow Food possono fare battaglie comuni incontrandosi sul territorio e su temi che un tempo erano della sinistra, ma c’è una montagna inscalabile a dividerli: si chiama principio della solidarietà. Principio senza cittadinanza nel Carroccio e invece vita vera del movimento di Bra, cuore del progetto Terra Madre che raduna comunità di tutto il mondo. Poi tocca ad Alemanno, «l’amico Gianni» che a ogni assise di Slow Food incassa applausi e qui ne riceve più di Zaia. Anche lui arriva puntuale, lascia Roma nel disastro per trovare qui consenso, parlando di improbabili piani di recupero all’agricoltura «di non luoghi» dell’agro romano, di un mercato di contadini che effettivamente ha realizzato nella zona cittadina di San Teodoro nei week end (uno dei verbi Slow Food) e chiude anche lui sugli allori: no agli ogm, «Roma sarà alla testa dei comuni ogm free, intransigenza assoluta». Però privatizza l’acqua, i delegati non romani forse non lo sanno e lui ignora l’argomento. Troppo facile.</p>
<p style="margin-bottom: 0cm;">di Francesco Paternò

The following two tabs change content below.

Redazione

Il gruppo di redazione della rivista edita da perUnaltracittà