2010-06-13 20:51:53
><p style="margin-bottom: 0cm;">[Il Fatto quotidiano, 13/06/2010]</p>
<p style="margin-bottom: 0cm;">Le dimissioni del ministro Claudio Scajola, gli affari della “cricca” che gestiva gli appalti della Protezione Civile e del “G8”, il giro di appartamenti e ristrutturazioni destinato ai vertici della politica, dei servizi segreti, della Guardia di Finanza, il coinvolgimento di magistrati sospettati d’aver rivelato segreti d’ufficio, il ruolo del Vaticano, l’ambigua posizione del capo della Protezione civile Guido Bertolaso e di Denis Verdini, coordinatore nazionale del Pdl, le ombre sull’ex ministro Pietro Lunardi, i chiarimenti e gli interrogatori di Antonio di Pietro: poco, forse nulla, avremmo potuto scrivere, e avreste potuto sapere, dell’inchiesta condotta dai pm fiorentini e perugini, se la legge “bavaglio” fosse già in vigore. Un’inchiesta che, dati i tempi, rischia di passare alla storia come l’ultima, grande indagine seguita con costanza dai cronisti di giudiziaria, pubblicata dettagliatamente da quotidiani e settimanali. Se non fosse accaduto, Scajola non si sarebbe dimesso, perché non avrebbe avuto un’opinione pubblica alla quale – pur non essendo indagato – rendere conto dei suoi comportamenti. E non si tratta dell’unico punto nevralgico. Forse, con la legge sulle intercettazioni, vista questa volta dal lato degli inquirenti, quest’indagine non sarebbe mai nata. Considerati i paletti posti sull’uso investigativo delle intercettazioni, considerate le restrizioni – non soltanto temporali – sia per mettere sotto controllo i telefoni, sia per sviluppare indagini sulla base delle conversazioni intercettate, non è detto che si possa ripetere quanto accaduto nel 2008, quando i carabinieri del Ros di Firenze ascoltano le telefonate di Vincenzo Di Nardo, l’amministratore della BTP, all’epoca di Riccardo Fusi, uomo molto vicino a Verdini, a sua volta molto vicino al ministro Altero Matteoli. Tanto vicino da invitarlo a nominare un altro uomo della “cricca”, Fabio de Santis, Provveditore per i lavori pubblici della Toscana. Una nomina che avrebbe dovuto favorire, secondo gli inquirenti, proprio l’azienda di Fusi che oggi, come Verdini, è indagato per corruzione. Quelle telefonate riguardavano infatti un altro procedimento giudiziario ma, ascoltandole, gli inquirenti scoprono che Di Nardo – parlando con alcuni colleghi e con qualche architetto – si lamenta: esprime il proprio disappunto perché non s’è aggiudicato l’appalto del nuovo teatro della musica di Firenze. Quel disappunto è la pista investigativa che genera l’intera inchiesta: “…e sono banditi… è gente .. prima o poi si leggerà sui giornali che li hanno cuccati con qualche tangente in mano …dai! ..”, dice Di Nardo, che aggiunge: “Questa è una cricca di banditi…”. È così – e oggi potrebbe non esserlo più – che gli investigatori iniziano a indagare sulla “cricca” d’imprenditori e funzionari pubblici che gestiva gli appalti della Protezione civile. Si scopre il “filone ” dei Grandi Eventi, sui quali, come è noto, si procedeva in deroga alle normali regole sugli appalti. Un giro d’affari per centinaia di milioni di euro. “Il vero regista è questo Balducci”, dice Di Nardo al telefono. È lo stesso Angelo Balducci, ex Presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, agli arresti per corruzione, che risulta in strettissimi contatti con l’imprenditore Diego Anemone – stessa accusa – considerato l’uomo chiave della “cricca”. L’uomo che dispensa – secondo la versione fornita dall’architetto Angelo Zampolini – milioni in assegni per l’acquisto degli appartamenti di Scajola e del generale della GdF Francesco Pittorru (che non è indagato), che paga l’affitto della casa in via Giulia per Guido Bertolaso. Ed è lo stesso uomo che, con le sue imprese, lavora nei più grossi appalti gestiti dalla Protezione Civile. Di tutto questo, con la legge “bavaglio”, nessuno avrebbe saputo nulla, non soltanto i lettori ma, forse, neanche gli investigatori.</p>
<p style="margin-bottom: 0cm;">di Antonio Massari

Redazione

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