Lo avevamo detto prima del voto: questo anomalo referendum, voluto da chi stava al governo per ottenere una legittimazione popolare mai avuta prima (e tanto meno dopo), è partito dalla volontà di manomettere la Costituzione italiana, ma è andato ben oltre.
Dietro a un quesito tutto politico c’è infatti l’ombra – nemmeno tanto velata – di quegli interessi economici che hanno prodotto leggi come il Jobs Act o lo Sblocca Italia, emblematicamente rappresentati dalla nota di JPMorgan, che ha chiesto palesemente di modificare in senso autoritario le Costituzioni dei Paesi del Mediterraneo intrise di germi socialisti. E’ emersa palesemente l’esigenza delle classi dominanti di levar di mezzo intralci alla famosa governabilità che sono la base minima di qualsiasi cosiddetta democrazia: elezioni, consultazioni, distribuzione dei poteri. Il bisogno di un sistema al collasso di ottimizzare i profitti speculando in modo ancora più feroce su risorse, persone, territori.
In assenza dunque di un momento realmente costituente, di una “primavera dei popoli” come quella che ha dato vita al testo del ’48, era inevitabile che il voto si caratterizzasse sempre più, nel corso della campagna elettorale, come un voto incentrato sulle politiche di questo Governo, sul sistema delle banche, sull’austerità voluta dall’Europa, un sistema di cui Renzi – malgrado le vantate disobbedienze – è stato e ancora è (nella sua attuale forma mascherata) il perfetto esecutore.
Non può perciò stupire che la valanga di No che hanno seppellito (per ora) l’arroganza renziana venga dai giovani, dalle periferie metropolitane, dal Sud. Hanno votato No i precari, i disoccupati, i poveri e gli impoveriti, chi ha pagato più duramente in termini di disuguaglianza sociale e perdita di diritti. Hanno votato No quei lavoratori che attualmente “proseguono” idealmente la campagna nel rigetto di Contratti collettivi nazionali lacrime e sangue come quello siglato per i metalmeccanici, gli operatori ambientali o gli statali.
Non si affannino analisti sapientoni a conteggiare e ripartire le presunte appartenenze partitiche di quel 60%: il loro schema è superato da una realtà in rivolta che non è rappresentata dai partiti, neppure quelli di una sinistra istituzionale che da molto tempo ha perso ruolo e funzione lasciando spazio ai populismi di destra.
Si mettano tutti l’animo in pace. D’ora in poi lavoreremo per consolidare, allargare, potenziare quel fronte popolare che non si è lasciato spaventare dalle minacce di presunta instabilità o irretire da false promesse di benessere. Che il 4 dicembre ha respinto un attacco diretto, ma che ancora non è soggetto politico capace di polarizzare le molte forme di resistenza e di conflitto esistenti sui territori. A tutti noi contribuire a rinsaldarlo quel fronte, perché diventi soggetto cosciente di alternativa politica.
*Ornella De Zordo
Ornella De Zordo
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