Vista da Roma, la (mala)gestione del centro storico di Firenze appare meritevole di attenzione al punto da costituire un esempio da estendere a tappeto alle città italiane. Ed è così che il cosiddetto “Regolamento Unesco”, in vigore nel capoluogo toscano e strumentale al turismo di lusso (alle cui logiche la città si è asservita da anni), confluisce nel decreto legislativo “Scia bis” che, a fronte della pluridecennale e generalizzata liberalizzazione del commercio, «autorizza i sindaci delle città d’arte a limitare l’invasione commerciale nei centri storici».
Il Regolamento Unesco – delibera recentemente approvata dal consiglio comunale – nasceva in risposta alla minaccia dell’Unesco di declassare la città toscana a causa di incaute previsioni urbanistiche (una decina di parcheggi interrati intra muros, il tunnel TAV che minaccia la Fortezza cinquecentesca, la metropolitana sotto il Duomo) e della svendita di immobili pubblici di valore monumentale.
A fronte del disastro lamentato dall’Unesco, il modesto regolamento fiorentino (del quale non è chiaro né il grado di cogenza, né l’universalità delle norme) si limita a impedire l’apertura di nuove sedi di vendita e somministrazione di alimentari (esclusa la “filiera corta”: ma come risolvere il McDonald’s che fa l’hamburger con la Chianina?) e di vendita notturna di alcoolici. Nonché di ulteriori supermercatini (ma non le catene della grande distribuzione), kebab et similia.
Una manovra dunque di mera tutela del “salotto buono” giocata in chiave economico-commerciale, rivolta al turismo di lusso e attenta ai meccanismi di innalzamento della rendita.
Quanto al resto, a Firenze e in Toscana, gli amministratori continuano a recitare la parte degli agenti immobiliari alle fiere internazionali del real estate, ad affittare i monumenti per sfilate di moda, cene e matrimoni.
Della selezione sociale in atto nei centri storici poi né il regolamento Unesco né il decreto legislativo fanno parola.
*Ilaria Agostini