La neolingua per svendere? “Cultural Real Estate”: il caso delle Gualchiere di Firenze

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La vendita del patrimonio edilizio pubblico sembra essere diventata l’occupazione prevalente degli amministratori. È un patrimonio che la collettività eredita dal passato, organizzato e stratificato sulla base dell’operosità delle comunità, nel quale queste si riconoscono e sul quale fondano lo spessore e la consapevolezza storica della propria convivenza.

Con grande impudenza, ministri e amministratori locali fanno a gara nel cercare di sbarazzarsene, nel più totale disinteresse del suo portato storico e sociale. Si mostrano pertanto indifferenti alle sollecitazioni espresse dai cittadini, dal mondo della cultura e dal mondo accademico per la conservazione della sua proprietà pubblica, per la tutela, il recupero e la riattivazione funzionale del patrimonio in chiave storica e culturale.

Niente di tutto ciò. L’Italia diventa quindi terra di rapina da parte dei nuovi ricchi, dei fondi di investimento internazionali sempre in agguato alla ricerca delle migliori occasioni. Coloro che dovrebbero rappresentare gli interessi collettivi non se lo fanno ripetere due volte, e, trasformandosi in piazzisti, pongono servilmente una parte di noi stessi, della nostra ricchezza e delle nostre potenzialità future, a disposizione della nuova business class.

Cultural Real Estate è l’espressione che la neolingua del consumo totalitario ha coniato per individuare il saccheggio del patrimonio storico e la sua trasformazione nel principio motore di una nuova fase di rilancio della redditività immobiliare ed economica.

La Toscana è terra di eccellenza della privatizzazione del patrimonio pubblico, per di più in una regione, ironia della sorte, il cui presidente ama definirsi socialista, esponendosi però alla pubblica ilarità. Non stiamo a ricordare la recente vendita della tenuta medicea di Cafaggiolo, la desertificazione patrimoniale di Firenze e di tante altre belle città e luoghi, di tanti ambiti del paesaggio storico ormai sottratti alla pubblica fruizione.

È in questo quadro che si inserisce l’ennesimo episodio del saccheggio del nostro patrimonio, quello della vendita delle Gualchiere di Remole, proprietà del Comune di Firenze nel territorio del Comune di Bagno a Ripoli. Si tratta di uno straordinario esempio di manifattura, definito dallo storico Fernand Braudel “Il maggior impianto industriale dell’Europa preindustriale”.

Non siamo di fronte a un monumento, ma, come sostiene il prof. Vannini, siamo di fronte ad un vero e proprio “ecosistema culturale”, un’autentica struttura della società fiorentina nel suo Medio Evo maturo. È uno di quei capisaldi intorno al quale si struttura il territorio che da Pontassieve e Bagno a Ripoli arriva a Firenze. Si tratta di una rete di manifatture che collega le Gualchiere di Remole con quelle di Quintole, del Girone, di Rovezzano e del Mulino Galleggiante, sino a Firenze. Tale intima relazione strutturale è suggellata anche dal fatto che i fondi per la costruzione della cupola del Brunelleschi maturano proprio in questo ambito territoriale ad opera della corporazione dell’Arte della Lana.

Cosa se ne vuol fare? Il sindaco Nardella vuol vendere, vola al MIPIM di Cannes per piazzare il suo ricco carnet, mentre l’ultima parola spetta all’amministrazione di Bagno a Ripoli cui compete la definizione dei contorni della vicenda. Il Regolamento Urbanistico, pur recependo le istanze del recentissimo vincolo della Soprintendenza (risale solo al 2013!), evita di scegliere, proponendo una generica struttura polifunzionale, in cui tutto diviene possibile purché siano salvaguardate “le relazioni tra le suddette destinazioni d’uso e la coerenza con il business plan”. Poi sarà possibile occuparsi della vendita di prodotti locali presentati e venduti (alimentari, enologici, artigianali, industriali, turistici, ecc.), di convegni e attività formative, di relazioni tra ristorazione e filiera corta locale, di relazioni tra il territorio e attività ricettive.

È la fiera dell’incultura storica, del provincialismo e della sottomissione al deus ex machina salvifico, invocato ma per fortuna ancora latitante.

Cittadini, comitati e associazioni, con grande senso di responsabilità e in maniera provocatoria, hanno partecipato alla recente asta con la quale le Gualchiere sono state messe in vendita, offrendo simbolicamente un euro affinché la proprietà restasse pubblica, ma la proposta è stata snobbata e non accettata dall’amministrazione comunale che comunque preferisce dilapidare un patrimonio di 55 milioni per la realizzazione di un ponte in acciaio a Vallina, a pochi chilometri di distanza, invece di restaurare le Gualchiere.

E dire che in questi decenni non sono mancati interessanti progetti di recupero paesaggistico ed edilizio, a partire da quello del Parco Fluviale dell’Arno presentato nel 1986 da Pizziolo e Micarelli, alla creazione proposta dal Principe Carlo d’Inghilterra di una “task force” dedicata a ricercare insieme ai Comuni interessati un’idonea soluzione di recupero, alla recente proposta Laureano di istituzione della sede del Centro internazionale dei saperi sotto l’egida Unesco.

Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, e questo caso lo dimostra ampiamente.

A questo punto ci chiediamo se la convergenza dei comportamenti manifestata dai decisori non sia un caso, o invece possa essere determinata dalla loro insipienza, inesperienza, corruzione, da tutte queste cose assieme o da qualcos’altro.

Certo il taglio dei trasferimenti agli enti locali è un fattore che condiziona, con ingiustificabile miopia dicono che “mancano i soldi e dobbiamo vendere per rimpinguare le magre casse comunali”. Ma il tutto, forse anche in maniera inconsapevole, si inscrive in quello che è diventato lo spirito del nostro tempo, ampiamente dominato dalla incultura neoliberista e che sembra essere diventato una prima natura dell’umanità. Il progetto neoliberista, altamente compatibile con la degenerazione corruttiva e mafiosa dei rapporti, investe la civiltà nel suo complesso. Tende a presentarsi come l’unica forma possibile di interazione tra gli esseri umani distruggendo l’autonomia delle sfere della cultura, della scienza, dell’arte, della religione e della politica e ponendosi quindi come l’unico paradigma possibile.

La politica attuale nelle sue varie espressioni formalizzate, compresi gli atti degli amministratori locali, è un potente artefice della costruzione neoliberista della nostra società.

La politica che verrà avrà il compito di liberare il campo dalle metastasi economicistiche, dalla logica del do ut des che intossica i rapporti, dai tentativi di distruzione e di banalizzazione della nostra storia, del nostro territorio e del nostro ambiente per impedirne il saccheggio e affermare progetti costruttivi di nuove possibili relazioni ed equilibri tra gli uomini, il loro ambiente di vita e il loro passato.

*Antonio Fiorentino

 

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Antonio Fiorentino

Architetto, vive e lavora tra Pistoia e Firenze dove rischia la pelle girando in bici tra bus, auto e cantieri. E’ un esponente del Gruppo Urbanistica di perUnaltracittà di Firenze, partecipa alle attività di Comitati di Cittadini e Associazioni ambientaliste.

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