100 case per abitare. Fuori Airbnb dalle città!

Sabato 16 novembre in diverse città italiane gli host di Airbnb si incontrano per le “primarie dell’ospitalità”, una giornata durante la quale la piattaforma invita i suoi utenti a mobilitarsi per un “manifesto del turismo responsabile”. Sul portale dell’iniziativa, 100case100idee.it, si legge che l’intenzione è quella di affrontare temi di portata nazionale e locale. La piattaforma sembra tenerci davvero tanto a farsi carico delle “politiche pubbliche” che la riguardano, sembra quasi che voglia dettarle da sé, schermandosi dietro i propri clienti.

Dalle dichiarazioni rilasciate dalla responsabile della campagna, Iolanda Romano, e dai numerosi articoli pubblicati a riguardo nell’ultima settimana, apprendiamo che la questione più urgente in Italia secondo Airbnb è la mancata messa a frutto del patrimonio immobiliare. Iolanda Romano e i suoi colleghi sembrano volerci quindi ricordare, ancora una volta, che la mercificazione dell’abitare perpetuata a spese delle città e della maggior parte dei suoi abitanti può raggiungere livelli ben più alti.

La mossa di Airbnb non arriva a caso. La protesta contro la piattaforma sta infatti montando in molte città italiane a causa del suo impatto negativo sull’abitare. L’anno scorso l’Italia era il terzo mercato mondiale di Airbnb per numero di annunci. A luglio 2019 le inserzioni erano 417 mila, per oltre 1,8 milioni di posti letto, oltre il doppio degli appartamenti registrati presso la Questura, e il doppio rispetto alle strutture ricettive ufficiali, secondo il Sole24Ore.

Nelle città italiane Airbnb è proliferata indisturbata grazie al silenzio e all’inerzia di tutti i livelli istituzionali, in un contesto di recessione economica, contrazione dei salari, precarizzazione del lavoro, di aumento del costo della vita e di finanziarizzazione della casa su scala globale. Sono lontani i tempi in cui Airbnb era usato come “strumento che consentiva alla classe media di arrotondare”, come vorrebbe la favola della sharing economy. La progressiva professionalizzazione dell’attività sulla piattaforma e l’interesse dei fondi immobiliari internazionali per il business delle case vacanza, delineano uno scenario completamente diverso. Oggi

più di tre quarti degli annunci riguardano interi appartamenti, in cui non abita nessuno;

oltre la metà degli annunci è gestito da multihost (host con più di un alloggio);

quasi due terzi degli annunci riguarda alloggi disponibili per più di sei mesi

Non si tratta insomma di “arrotondare”: Airbnb è uno strumento di concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi host commerciali con molte proprietà. L’impatto sulle nostre città è pesantissimo. Con 30mila annunci a Roma, 17mila a Milano, 11mila a Firenze, 8mila a Napoli, 4mila a Bologna e oltre 8mila a Venezia, Airbnb sta trasformando le città in arene per la speculazione immobiliare e parchi a tema per turisti.

Sono sempre meno le case per residenti, a prezzi sempre più alti. Nell’ultimo biennio l’offerta di case in affitto per lunghi periodi è calata complessivamente del 7% su Immobiliare.it, mentre i canoni di locazione sono lievitati: +7% a Bologna, Firenze e Roma, + 10% a Milano e Napoli. I tempi di locazione si sono ridotti del 17%, mentre i locatori che scelgono la cedolare secca al 21% sono quadruplicati tra il 2011 e il 2018: «non sappiamo quanti di loro abbiano locato la casa per singoli periodi fino 30 giorni, ma nel totale ci sono anche loro», scrive il Sole24Ore.

Ma per poter continuare a far lievitare i prezzi delle case ed espellere crescenti strati di residenti, è giunta adesso l’ora di rimpolpare la vecchia retorica della community e della sharing economy con l’accattivante registro della mobilitazione politica. Quale migliore formula del vittimismo, dell’attacco al “diritto ad ospitare”, per la costruzione del consenso intorno alla più potente piattaforma contemporanea del real-estate? Per delegittimare le analisi, i dati e le dimostrazioni empiriche avanzate in questi anni contro il funzionamento della piattaforma, Airbnb decide ancora una volta di non rispondere nel merito, di non pubblicare i dati, di non collaborare con le istituzioni, ma di farsi esso stesso istituzione e lanciare l’ennesima campagna che mistifica le reali problematiche sociali, ambientali e normative che il fenomeno delle locazioni brevi solleva.

L’iniziativa di Airbnb è una campagna di marketing che spaccia gli interessi privati della multinazionale per interessi collettivi, mandando avanti gli host, ignorando e deridendo ancora una volta chi in questi anni è stato espulso dalla propria casa, quartiere o città per il rincaro degli affitti e, più in generale, del costo della vita. Il diritto alla casa e alla salvaguardia delle relazioni sociali di cura e confronto che si instaurano nei quartieri è il diritto ad abitare la città, oggi sempre più minacciato da compagnie internazionali quali Airbnb che speculano sulla città e sulla casa.

Le nostre case e le nostre città non sono in vendita, non sono alberghi diffusi, non sono resort per turisti: sono luoghi di vita e di democrazia. Per queste ragioni il 16 novembre ci saremo anche noi.

*Set-Italia (South Europe facing Touristification)

Qui: i nodi delle città italiane che aderiscono alla rete SET

Qui: il manifesto fondativo del nucleo Set Firenze