Genova, 17 febbraio 2020. L’inaspettato assaggio di primavera dei giorni scorsi lascia strada ad una giornata nebbiosa. A intervalli più o meno regolari scende anche una pioggia sottile e fastidiosa. Su Genova, l’alba fatica a fare capolino. Nonostante questo, il varco del porto denominato Etiopia, che permette di accedere al Genoa Metal Terminal (GMT), è già bloccato dal presidio chiamato dal Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (CALP) e sostenuto da pacifisti e varie forze della sinistra classista.
Le ragioni della protesta sono note: l’arrivo della nave cargo saudita Bahri Yanbu e, soprattutto, del suo carico di armamenti e morte. Cosa ci sia di preciso all’interno delle stive rimane, per la verità, poco chiaro. Di sicuro, i portuali genovesi hanno saputo dai colleghi e compagni di Bilbao che nella città basca sono stati caricati 5 container di esplosivi destinati agli Emirati Arabi Uniti e 9 mezzi militari con destinazione finale Arabia Saudita. Quanto portato a bordo nelle tre precedenti tappe nordamericane è invece impossibile saperlo. Forse però non è richiesta un’eccessiva fantasia per immaginarlo. In ogni caso, si tratta di materiale che sarà molto probabilmente utilizzato nella devastante guerra scatenata dalla coalizione a guida saudita in Yemen, già costata, come ricordato in questi giorni dal CALP, la vita a 85 mila bambini.
Alle 7 di mattina il presidio, marcato stretto da un folto contingente di polizia e carabinieri che vieta l’ingresso al porto a chi non vi lavori, è già numeroso, forte di almeno 150 effettivi. Altri si aggiungeranno alla spicciolata nel corso della mattina. Ci sono le bandiere di Genova Antifascista, di Sinistra Anticapitalista, Potere al Popolo e Rifondazione Comunista, mentre il Partito Comunista dei Lavoratori vede la presenza del segretario Marco Ferrando. Gli stalinisti del Partito Comunista di Marco Rizzo sventolano la loro falce e martello a poco distanza da alcuni sindacalisti del Si Cobas, fieramente avvolti nelle proprie bandiere per ore. Ci sono anche gli striscioni di Amnesty International e di Emergency, e perfino alcuni giovani comunisti giunti da Zurigo. Soprattutto però ci sono loro, i lavoratori del porto del CALP, animatori e vero motori della protesta.
La Bahri Yanbu si fa attendere. L’arrivo previsto per le 9 slitta ripetutamente. Verso le 11 la sagoma del gigante compare nel breve tratto di visuale libera tra il cavalcavia e le camionette della polizia, attraccando poco dopo. Un contingente di lavoratori si reca verso gli ormeggi, mentre il cargo saudita svolge le formalità doganali di rito.
Le prime notizie che giungono dal presidio sembrano incoraggianti. I lavoratori del terminal ed anche quelli della compagnia in appalto, sensibilizzati dal CALP, sembrano intenzionati ad astenersi, su base volontaria, dal lavoro. La CGIL, che non ha ceduto alle pressioni provenienti dai portuali e che si è ostinatamente rifiutata di chiamare uno sciopero del settore, è costretta adesso a fornire ‘copertura’ a quanti praticheranno obiezione. Poi, tutto cambia improvvisamente. Dal presidio è impossibile dire cosa sia successo con precisione. La realtà dei fatti vede però la Bahri Yanbu caricare regolarmente a bordo quanto previsto – 2 trattori, 5 camion senza rimorchio e un ampio tonnellaggio di lingotti di alluminio.
Il presidio, nonostante tutto, viene mantenuto ancora. Ci sarà modo di capire con calma cosa sia mancato per riportare una vittoria storica, magari partendo proprio da quel pericoloso scivolamento della CGIL dall’azione collettiva alla scelta individuale, mettendo i lavoratori, soprattutto quelli della cooperativa in appalto, in una difficile posizione. Eppure, il ‘piccolo’ CALP ha quasi messo in ginocchio la ‘gigantesca’ Bahri Yanbu, ricevendo una solidarietà straordinaria da varie parti d’Europa e ribadendo che la parte più avanzata del proletariato genovese non vuole essere complice delle atrocità di guerra. Può suonare come una sconfitta oggi. Ci sono però tutte le premesse per trasformarla in un trampolino di lancio per future mobilitazioni e vittorie.
*Gianni Del Panta
Gianni Del Panta
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….. beh, la CGIL non voleva andare troppo a sinistra nonostante sia un sindacato rivoluzionario (chiedere al segretario come si è rivoluzionari) e dunque si è rimessa alla astensione per coscienza di ogni singolo che lo volesse, come dire: veditela tu dopo…..
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