Coronavirus ed erosione dei diritti. Dall’emergenza alla permanenza?

Per la prima volta nella storia della Repubblica stiamo subendo una limitazione generalizzata di gran parte dei diritti e delle libertà fondamentali tutelate dalla nostra Costituzione. La diffusione del contagio da Covid-19 ha portato in brevissimo tempo all’adozione di un profluvio normativo che, da un lato, ha determinato nel nostro ordinamento giuridico conclamate tensioni di natura costituzionale e, dall’altra, ha creato un nuovo diritto “emergenziale”.

Leggi anche la prima parte dell’analisi “Coronavirus ed erosione dei diritti. Le nuove misure di controllo sociale

Si è creato così un insieme di norme e prassi che, con il fine prioritario di contenere la diffusione del contagio e garantire l’osservanza delle prescrizioni imposte, si sostanziano nell’aumento del controllo sociale dei cittadini e nella conseguente limitazione degli spazi di libertà.

Il diritto dell’emergenza e le tensioni costituzionali

La nostra Costituzione non prevede – per deliberata scelta dei nostri Padri Costituenti – la possibilità di dichiarare uno stato “di eccezione” ovvero “di emergenza” con la conseguente possibilità per il Governo di agire con poteri extra ordinem. L’unica previsione espressamente stabilita in tal senso è la dichiarazione dello stato di guerra (art. 78 Cost.).

Il primo ministro Conte, grande utilizzatore dei DCPM

Per far fronte ad ogni altra situazione eccezionale ed emergenziale, come l’attuale pandemia, l’Esecutivo ed il Parlamento sono obbligati ad agire entro il perimetro disegnato dalla stessa Carta Costituzionale. Né si deve confondere la deliberazione dello stato di emergenza adottata dal Governo ai sensi della normativa sulla Protezione civile (d.lgs. n. 1/2018), la quale, avendo rango primario nella gerarchia delle fonti, non può derogare a quanto stabilito dalla Costituzione.

Tuttavia, è la stessa Carta Costituzionale a indicare, nella sua articolazione interna, per ciascun diritto e libertà fondamentale i presupposti eccezionali nei quali possono essere adottate misure temporanee limitative di quegli stessi diritti riconosciuti e garantiti, precisando espressamente anche il procedimento giuridico della loro adozione. L’art. 13 Cost. prevede che la limitazione della libertà personale possa avvenire soltanto con atto motivato dell’autorità giudiziaria secondo le garanzie previste dalla legge; l’art. 16 Cost. prevede invece la possibilità di porre limitazioni alla libertà di circolazione per motivi di sanità o sicurezza mediante la legge.

Inoltre, la nostra Costituzione ha compensato l’assenza di un’apposta previsione di dichiarazione dello stato di eccezione o di emergenza (presenti in molte carte costituzionali degli altri stati europei), attribuendo al Governo la possibilità, qualora ricorrano casi di straordinaria necessità ed urgenza, di emanare decreti-legge, cioè atti aventi forza di legge (art. 77 Cost.).

La decretazione d’urgenza attribuita in via diretta ed immediata all’Esecutivo è un procedimento di produzione legislativa molto rapido e del tutto peculiare che in Europa è previsto, oltre che nel nostro paese, soltanto nella Costituzione spagnola del 1978. Il decreto legge, deliberato direttamente dal Governo, come noto, deve essere poi convertito dal Parlamento, con apposita legge, entro i successivi 60 giorni.

Ciò posto, a fronte del propagarsi dell’epidemia, il Governo, è intervenuto per tutelare il diritto fondamentale alla salute adottando misure fortemente limitative di un novero amplissimo di altri diritti e libertà fondamentali: è stata compressa la libertà di circolazione (art. 16), la libertà di riunione (art. 17), il diritto di culto (art. 19 Cost.), il diritto all’istruzione e alla cultura (art. 9, 33, 34 Cost.), il diritto al lavoro (art. 4, 35 Cost.) e la libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.).

Tuttavia, i provvedimenti normativi adottati dal Governo hanno determinato palesi tensioni a livello costituzionale, alterando l’equilibrio tra i poteri dello Stato.

Infatti, con il decreto legge n. 6 del 23 febbraio 2020 il Governo aveva previsto il divieto di ogni forma di riunione in luogo pubblico e privato e la possibilità di applicare, nei comuni e nelle aree nelle quali vi fosse almeno un contagio, ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica, elencando poi, in modo meramente esemplificativo e non tassativo, alcune misure che potevano essere adottate, quali il divieto di ingresso e uscita da determinati comuni o aree interessate al contagio, chiusura di scuole e attività commerciali, manifestazioni pubbliche ecc.. Lo stesso decreto legge prevedeva espressamente che le misure ritenute in concreto più idonee e necessarie sarebbero state stabilite da successivi decreti adottati dal Presidente della Consiglio dei Ministri (c.d. D.P.C.M.).

In sostanza, il decreto legge prevedeva una delega in bianco al Presidente del Consiglio, il quale con proprio atto (D.P.C.M.) avrebbe deciso quali misure in concreto adottare e, quindi, quali diritti e libertà fondamentali limitare.

Il DPCM, però, è un atto amministrativo emanato da un organo monocratico (il Presidente del Consiglio), avente rango secondario nella gerarchia delle fonti, che non viene sottoposto al vaglio del Presidente della Repubblica né al controllo della Corte Costituzionale (come avviene nell’iter di emanazione della legge e degli altri atti aventi forza di legge) e che può essere impugnato davanti al Tribunale Amministrativo (TAR).

Inoltre – e soprattutto – il DPCM non viene sottoposto alla valutazione e deliberazione del Parlamento.

Come noto, si sono quindi succeduti i DPCM dello stesso 23 febbraio, del 25 febbraio, del 1 marzo, dell’8 marzo, contenenti misure fortemente limitative della libertà di riunione, del diritto all’istruzione su scala nazionale e, con specifico riferimento ad alcune zone del territorio, anche della libertà di movimento in uscita o entrata nei comuni.

Poi, con i successivi DPCM del 8 marzo, oltre al divieto di spostamento in entrata e uscita da alcuni Comuni, è stato previsto per la prima volta il divieto di circolazione anche all’interno del territorio comunale, salvo che per comprovati motivi di lavoro, salute o necessità. Tale misura, cha ha determinato la sostanziale restrizione dei cittadini all’interno delle proprie abitazioni, è stata poi estesa il giorno successivo, con il DPCM del 9 marzo, a tutto il territorio nazionale.

Successivamente, con DPCM dell’11 marzo è stata disposta la chiusura in tutta Italia delle attività commerciali al dettaglio (salvo alcune eccezioni) e con successivo DPCM del 22 marzo è stata disposta la sospensione sul territorio nazionale delle attività produttive industriali e commerciali, salvo quelle afferenti a filiere di prodotti e servizi ritenuti essenziali.

Pertanto, durante tutto il primo mese di emergenza sanitaria, si è assistito ad un progressivo accentramento di tutti i poteri nelle mani del Governo (o meglio del Presidente del Consiglio) il quale con proprio atto amministrativo ha limitato le più importanti libertà costituzionali, senza l’adozione di alcun atto normativo di rango primario (legge o, più ragionevolmente, il decreto-legge) così come previsto e imposto dalla Costituzione.

La conclamata violazione costituzionale ha trovato parziale rimedio soltanto con il successivo decreto legge n. 19 del 25 marzo, con il quale il Governo ha abrogato il precedente decreto legge 6/2020, ha previsto un’elencazione tassativa di misure da poter adottare per fronteggiare la pandemia, ha espressamente fatto salvo gli effetti dei precedenti DPCM già emanati ed ha poi nuovamente delegato il Presidente del Consiglio ad adottare le misure ritenute in concreto più idonee, (soltanto) tra quelle indicate nello stesso testo normativo.

La violazione del dettato costituzionale nella limitazione dei diritti e delle libertà fondamentali non si risolve in una questione meramente formale e teorica riservata ai giuristi, ma ha comportato la grave conseguenza della totale esautorazione del Parlamento nel procedimento di adozione dei provvedimenti concretamente limitativi dei diritti e delle libertà fondamentali, alterando l’equilibrio istituzionale e il sistema di pesi e contrappesi sapientemente bilanciato dai Padri Costituenti.

Se è indubbia la gravità della situazione sanitaria che il Governo è stato chiamato a gestire, ciò che desta maggiore preoccupazione in chiave futura è il precedente che si è generato.

Oggi è la pandemia da Covid-19 ma domani gli stessi strumenti normativi potrebbero essere utilizzati da questo o altro Governo per limitare nuovamente diritti e libertà fondamentali sul presupposto di dover fronteggiare nuove (reali o presunte) emergenze.

Giovanni Conticelli, avvocato penalista