Cosa c’è di nuovo a San Jacopino

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Siamo entrati anche noi di San Jacopino nella fase due, preoccupati che alla riapertura dell’unico giardino di cui disponiamo, quello di Maragliano/Spontini ci sarebbero stati tanti problemi, viste le dimensioni ridotte dello spazio.

Prima della fine del lockdown i comitati e le associazioni di zona si sono incontrate online e hanno ripreso il progetto “Facciamoci spazio”, che da anni portano avanti per la conquista di “+ verde, + spazi sociali, + piste ciclabili”; sono notoriamente l’Associazione Giardino San Jacopino, l’Associazione Leopolda Viva, il Comitato Belfiore – Marcello e il Comitato Ex Manifattura Tabacchi.

Queste rivendicazioni si sono fatte ancor più pressanti in questa fase nella quale la riapertura degli spazi pubblici come i giardini comporta la necessità del distanziamento, poco praticabile in un’area come quella del giardino Maragliano/Spontini limitato per un’utenza che è molto ampia, non essendoci alternative in zona. Hanno così scritto una lettera urgente alle Assessore all’Ambiente e all’Educazione per segnalare “la necessità di spazi verdi e di spazi di socialità ad uso civico e culturale”, visto anche che “molte persone quest’estate non potranno andare in vacanza, ma devono comunque vivere e sopravvivere alla calura estiva. Nel rione non ci sono giardini, a parte San Jacopino, già allo stremo per il sovraccarico di frequentazione”.

Lettera inoltrata per PEC il 26 maggio; ad oggi, 9 giugno, nessuna risposta pervenuta. E dire che non era una semplice lamentela o lancio di accuse all’Aministrazione, ma conteneva una proposta precisa: l’apertura per il nostro rione di una parte del giardino della scuola Media Verdi che è grande quanto il giardino esistente, dotato di panchine, con entrata controllabile e chiudibile di sera, ombreggiato con piante abbastanza grandi.

L’unica risposta positiva realizzata nella settimana scorsa è stata l’apertura del giardino Maragliano/Spontini, anche se senza neppure un accenno di pulizia non diciamo straordinaria, ma neppure ordinaria.

Nel frattempo le notizie sui mass media locali sembravano aprire a una svolta positiva nella gestione di questa città dissestata dalla speculazione selvaggia. La mancanza di turismo stava spingendo Nardella e l’Amministrazione comunale a un cambiamento di destinazione negli investimenti non più nel cemento ma verso il green e l’high tech; se la città dovrà diventare green, mi è venuto da sperare, qualcosa succederà anche in questa zona tutta cementificata dove il verde manca quasi del tutto e quel poco che c’era tende a sparire (vedi la Manifattura Tabacchi e l’abbattimento del boschetto spontaneo in un’area della speculazione Belfiore)!

Poi inizio a leggere il documento di Nardella, “Firenze rinasce. Ripensiamo la città” e alle prime pagine mi illudo che abbia scritto il tutto con la consulenza dei tanti comitati fiorentini che rivendicano da anni una città diversa. Trovo, infatti, brani come questi:

A livello globale, tra le principali sfide che la pandemia ha reso ancora più urgenti troviamo il rapporto uomo-ambiente. Sono bastate infatti poche settimane di blocco affinché la natura si riappropriasse di spazi lasciati all’avanzata industriale ed economica, invertendo i paradigmi da tempo consolidati.
E’ dunque oggi il tempo di accelerare con ancor più energia il il percorso verso un modello di città resiliente perseguendo, con decisione ancora maggiore, gli obiettivi di sviluppo sostenibile dettate dall’agenda 2030 dall’Onu non come adattamento passivo o mitigazione del danno, quanto piuttosto come capacità di sopportare fasi anticicliche attraverso una reazione positiva ai cambiamenti pianificando azioni multidisciplinari, multi-scalari e multidimensionali”.
Quella di fronte a noi ormai sarà la più grande occasione di trasformazione ambientale del nostro spazio urbano, con un’accelerazione senza precedenti della trasmissione energetica,, dell’introduzione di modelli di lavoro e produttivi sostenibili e della creazione di nuove professioni legate all’ecologia. Firenze può assolutamente diventare uno dei migliori esempi a livello europeo di unione tra biodiversità e sviluppo”.

E ancora: “Si sottolinea l’importanza di gettare le basi per un laboratorio di innovazione sociale, partendo dalla partecipazione e condivisione con i cittadini, la possibilità di contribuire con idee e proposte alla rinascita di Firenze, favorendo la maturazione di uno spirito di cittadinanza attiva, creando un team che abbia come obiettivo la raccolta di finanziamenti europei e la riforma della P.A.

A pagina 7, sotto il titolo “Aumento spazi verdi di prossimità” si arriva a proporre un vero e proprio stravolgimento delle politiche fin qui seguite:
Lo sviluppo di interventi di inclusione sociale e cittadinanza attiva, la diffusione di cultura e la pedonalizzazione di aree sull’esempio delle ramblas e supervillas con l’obiettivo di favorire una socialità di quartiere e di una mobilità pedonale e ciclabile” . Ho pensato: questo è troppo, Nardella ci copia gli slogan di “Facciamoci spazio”! Che succede?

E’ bastato passare dalle premesse generali alle proposte pratiche per trovare il “vecchio che avanzava” e ho capito che il nuovo serviva da copertura green, insomma bastava grattare un po’ per trovare le vecchie scelte di città per niente sostenibile, ma semplicemente in mano alla speculazione. Non poteva essere diversamente se si pensa che dopo gli annunci di una città “green e high tech” Nardella e alcuni assessori avevamo rassicurato i benpensanti investitori ricordando che non si sarebbero fermati i progetti faraonici come la ripresa dei progetti tranvie, delle mega speculazioni sull’area delle ex caserme di Costa San Giorgio e di via San Gallo.

Significativo il titolo del “Corriere fiorentino” online del 2 giugno:
“Firenze, stop ai nuovi hotel nel centro storico. L’annuncio dell’Assessore Del Re. Si al trasferimento di licenze dal centro di Firenze. Via libera al resort nell’ex caserma di Costa Sam Giorgio (con lo studio della teleferica) e al piano per San Gallo”. Come dire che continuano le speculazioni e la svendita definitiva del centro storico, ma ora si razionalizza, il tutto: il centro storico a chi può permetterselo, gli hotel di categorie inferiori vanno bene anche in periferia.

Tornando al documento di Nardella mi limito ad analizzare la proposta più sbalorditiva per il quartiere di cui stiamo parlando. A tutt’oggi è rimasta una sola area che in prospettiva potrebbe garantire quegli obiettivi di + verde, + spazi sociali che rivendichiamo da anni e che sembravano nelle premesse del documento Nardella essere la svolta epocale per una nuova Firenze. E’ l’area delle ex Officine Grandi Riparazione Ferroviarie. Si conoscevano le manovre per attrarre investimenti e realizzare anche lì un nuovo quartiere che poteva garantire alle casse comunali sostanziose entrate, ma aumentava, nel leggere il documento “Firenze rinasce”, la speranza che, col cambio di paradigma della visione della città, finalmente avremo avuto come cittadini di questo rione uno spazio per una vita all’aria aperta, dove fare sport, dove socializzare.

Invece a pagina 7 la sorpresa; fra gli obiettivi di una città più verde:
completare l’eliminazione dei vuoti cittadini, dando una soluzione definitiva agli ultimi complessi immobiliari in trasformazione [questa evidenziatura è mia, le altre sono nel testo originale] quale ad esempio l’area delle ex OGR” per creare un quartiere abitativo, non il solito, ma con soluzioni nuove per lo smart work e per risolvere altre criticità evidenziate dall’emergenza Covid, insomma un “quartiere post Covid”.

Insomma un altro quartiere non necessario, donato alla speculazione, nobilitato dalle parole chiave “quartiere post Covid”. Ma preso dalla smania di far cassa, di fronte alle possibilità della svendita degli ultimi spazi rimasti per la speculazione edilizia, sfugge all’estensore del documento un lapsus significativo “completare l’eliminazione dei vuoti….cioè atro cemento per uso abitativo e commerciale e aumento della circolazione privata, aumento dell’inquinamento….

Purtroppo questo è il nuovo che avanza per questo quartiere, ma comitati e associazioni, con gli abitanti del rione stretti nel cemento e dal cemento, sono ben decisi a impedire che anche quell’area sia edificata. Quella è l’unica zona dove poter realizzare quel polmone verde per attività ludico, sportive e culturali che manca al quartiere.

Se vogliamo restare nella logica di una città che sperimenta veramente delle novità anche per l’abbattimento dell’inquinamento, concausa ormai acclarata del Covid, quello è uno spazio che deve restare vuoto e realmente green. E si può anche realizzare a basso costo la trasformazione dell’area verde che costeggia il Fosso macinante in un corridoio ecologico cittadino (ciclabile) che dia respiro e possibilità di immersione nel verde a tutto questo rione senza verde, al fine di creare una vita più vivibile per tutti e per tutte.

Non ci servono le “Fabbriche dell’aria” mancusiane che rigenerano l’aria inquinata delle città con la schiavizzazione delle piante dentro box di dimensioni diverse a seconda delle disponibilità economiche di chi le compra. Alla faccia delle riscoperta della sensibilità delle piante, inscatolate invece che libere nell’ambiente naturale!

Ci serve mantenere e incrementare gli spazi verdi e vuoti dove far ricrescere gli elementi di un verde più naturale possibile che riporti un livello di inquinamento più basso, che permetta il godimento collettivo della natura e di spazi sociali non mercificati come elementi che ci accomunano e che possono creare davvero una città diversa.

*Adriana Dadà

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Adriana Dadà

Ricercatrice/docente di Storia contemporanea all'Università di Firenze in pensione. Impegnata da sempre nell'attività politica e sindacale con un approccio materialista, di classe e libertario.

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