Pianificazione collettiva: una proposta per risolvere i problemi ambientali della Piana (e del pianeta)

C’è qualcosa di fosco all’orizzonte, anche guardando al futuro della mobilità in Italia e Toscana; la promessa di una pioggia di miliardi di aiuti europei sta scatenando la cupidigia anche del mini-capitalismo toscano e nello stesso momento amplificando lo stato confusionale di troppa sinistra.

Sono frasi pesanti che probabilmente faranno storcere il naso a molti, ma valutiamo se c’è del vero; chi volesse smentire o rettificare è benvenuto; un dibattito sarebbe un buon inizio.

Basta dare un’occhiata generale a come sono destinati i fondi previsti con il “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”, chiamato “Next Generation Italia”, nel campo delle infrastrutture; per i trasporti pubblici locali e sostenibili 7,55 miliardi, per opere ferroviarie (cioè alta velocità) 26,70 miliardi. Ancora si privilegia la mobilità tra i centri principali dimenticando che i problemi si concentrano soprattutto nelle aree urbane e nell’insufficiente collegamento con e tra i centri minori; è il pendolarismo che pesa sulle vite di chi è costretto a muoversi per lavoro o studio e sui centri urbani assaliti da traffico privato. Evidentemente la lobby dei costruttori, che pretendono grandi cantieri per garantirsi facilità di gestione e di profitti, è ben rappresentata dentro il Governo e dentro il Ministero dei Trasporti.

Se guardiamo il livello locale, nella nostra regione e in particolare nell’area metropolitana fiorentina, viene da domandarsi con quali criteri si stia pensando di investire la pioggia di denaro promesso. Come ormai accade da decenni non si parla mai -nemmeno a sinistra, poco anche nella sinistra radicale- di pianificazione, ma ci si concentra e si litiga su quale mezzo sia più ecologico e comodo per muoversi; si guarda ancora alla cura del ferro come uno strumento magico capace di per sé di risolvere i problemi di mobilità e inquinamento.

alta voracità

Sarebbe anche necessario ricordare la lezione che ci ha lasciato Ivan Cicconi ancora validissima: con i meccanismi finanziari e giuridici introdotti da general contractor e project financing gli investimenti non creano e redistribuiscono ricchezza, ma esattamente il contrario. Pochissimo va a ripagare il lavoro umano, si tratta, così diceva l’amico compianto, di un keinesismo per i ricchi, un formidabile strumento di estrazione di ricchezza pubblica. Una sinistra che volesse essere credibile non dovrebbe mai dimenticare questo fatto.

Ancora non si è capita la lezione del modello TAV, quella che in tanti dicono di aver appreso dal movimento contro la Torino Lione: anche un mezzo potenzialmente ecologico come la ferrovia, in mano a chi cerca solo profitti, diventa un problema ambientale.

Il grave rischio è che le stesse dinamiche si riverberino a livello locale; di ciò abbiamo molti sintomi. Sia per la stazione Foster dell’alta velocità che per le tranvie di prossima realizzazione si vuol andare avanti dichiarando che una procedura di VIA non è necessaria. Si è addirittura deciso di ristrutturare i project financing delle tranvie riducendo a quasi nulla l’intervento del soggetto privato (ma allora che project financig è se paga tutto il pubblico?).

La cosa che più stupisce in questa fase concitata per il potere toscano sono le proposte di tranvie là dove esistono già binari, per di più sottoutilizzati:

  • si pensa a prolungare la tranvia che arriva all’aeroporto fino a Sesto Fiorentino, proprio là dove passa una ferrovia su cui non si è mai voluto realizzare un serio trasporto metropolitano. Sembra che nessuno, nemmeno il sindaco di quella cittadina ,si sia accorto che già adesso alcuni treni percorrono il tratto per Firenze in 11 minuti, con la nuova tranvia i minuti sarebbero più di 40!
  • Allo stesso modo si pensa addirittura di prolungare qualche tranvia fino a Signa; anche lì ci sono già treni, sia per Lastra a Signa che per Signa, che coprono il tragitto rispettivamente in 16 e 18 minuti. Una tranvia raggiungerebbe Firenze in circa un’ora!
  • Per Campi Bisenzio si sta pensando ad una tranvia accanto a binari esistenti (quelli della linea Firenze Empoli) fino a San Donnino per poi arrivare a destinazione in 34 minuti. Nessuno si è accorto che una ferrovia già esiste a 2 km dal centro di Campi che si attesta all’Osmannoro? Che le percorrenze sarebbero di 15 minuti?
  • L’ultima trovata del Presidente della Regione Eugenio Giani sarebbe addirittura quella di una metropolitana veloce da Prato a Peretola; nessuno ha mai visto un barlume di progetto o di semplice pianta, ma evidentemente in Regione sfugge l’esistenza, che abbiamo già rammentato, di una ferrovia a 4 binari vergognosamente sottoutilizzata proprio tra Prato e Firenze.

Eppure il gruppo che aveva lavorato studiando il progetto TAV fiorentino aveva elaborato proposte alternative semplici, efficaci, economiche, dagli impatti minimi, per creare una RETE di trasporto pubblico nella Piana partendo dalle ferrovie esistenti con alcune integrazioni e con collegamenti secondari da affidare a mezzi ecologici su gomma; nell’immagine che si può scaricare qui si vede lo schema che sviluppava la struttura ferroviaria già esistente.

Resta difficile capire i motivi delle proposte della Regione che appaiono chiaramente irrazionali: odio per le ferrovie esistenti? Voglia incontenibile di tram? Fantasia scatenata? O forse voglia di nuovo cemento per la lobby delle costruzioni?

Un altro fatto grave è che nessuno pare accorgersi che tutti questi progetti sono scoordinati tra loro, prevedono collegamenti soprattutto con il capoluogo e non mirano a costruire una rete che avvicini tra loro anche i centri minori. Manca una seria pianificazione dei trasporti a partire dalle esigenze della cittadinanza.

Anche molti ecologisti, abbagliati dalle meraviglie del “ferro”, non vedono l’occupazione di suolo e il consumo massiccio di cemento di cui queste infrastrutture abbisognano. Oggi l’imperativo dovrebbe essere l’utilizzo e la valorizzazione dell’esistente. Al contrario una politica vanitosa, acritica e soggiogata agli interessi del complesso delle costruzioni, ascolta più i consigli degli spin doctor che la voce dei pendolari.

Questo quadro denuncia anche una grave lacuna democratica; nessun ascolto o discussione con i cittadini, solo pochissime riunioni blindate dove si presentano decisioni già prese. Al contrario, con l’annuncio della manna del recovery fund, è un fervere di incontri tra le istituzioni e il principale soggetto interessato alla realizzazione delle infrastrutture: Confindustria, i cui scopi non sono quelli di risolvere i problemi della mobilità, ma quelli di trovare affari sicuri, meglio se garantiti da un soggetto pubblico, Stato, Regione o Comune che sia.

La condizione delle opposizioni politiche non è tranquillizzante: a destra la competizione più che altro è su chi gestirà nelle istituzioni decisioni prese altrove, a sinistra si pensa solo di mitigare la voracità di un sistema irrigidito sulla difesa degli interessi dei soggetti più forti – impresa impossibile – o di modificare particolari assolutamente secondari.

Mai come ora apparirebbe invece necessario un pensiero critico che sappia dare risposte non solo ai problemi della mobilità, ma a quelli di cominciare ad immaginare modelli di convivenza diversi che salvino il pianeta e l’umanità che ci vive.

Recentemente un valente economista italiano, Emiliano Brancaccio, ha proposto, come soluzione per l’uscita dal disastro sociale ed ambientale del liberismo, “piano e libertà”, evocando la “modernità della pianificazione collettiva”; uno strumento che metta le briglie agli istinti animali del capitale e liberi gli individui dalla tirannia del profitto, uno strumento basilare per costruire una democrazia reale.

Come dice sempre Brancaccio: “L’orizzonte catastrofico è più vicino. Un’intelligenza collettiva rivoluzionaria è tutta da costruire”.

Vogliamo provarci?

*Tiziano Cardosi