La Sanità territoriale nel Recovery Plan

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Alla salute è dedicata la sesta macro area (missione) della bozza del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), il documento che traccia gli obiettivi, le riforme e gli investimenti che l’Italia potrà realizzare con i fondi europei di Next Generation EU, se rispetterà il termine ultimo per la presentazione dei PNRR a Bruxelles, che è fissato al 30 aprile 2021.

La pandemia sta mettendo in luce gli effetti devastanti, della deriva privatistica, del sottofinanziamento del SSN, del collasso dell’asse Stato centrale–Regioni, della aziendalizzazione, dell’abbandono della sanità territoriale, perpetrati dai governi di destra e di ‘sinistra’.

E’ indispensabile un cambio di paradigma del Servizio Sanitario Nazionale, che dovrà diventare, si dice nel PNRR, di prossimità, integrato, digitalizzato, equo, ma anche e soprattutto universale e pubblico, aggiungiamo, noi.

Il primo atto dovrebbe essere, rimuovere ogni spinta neoliberista (vedi Lombardia), ogni finanziamento alla sanità privata, e ogni commistione pubblico-privato, abolendo le agevolazioni fiscali per la spesa sanitaria veicolata dalle assicurazioni, ma di questo non abbiamo trovato traccia. Un altro passo decisivo sarà riuscire superare la frammentazione e il divario strutturale tra i diversi sistemi sanitari regionali garantendone omogeneità.  Occorrerebbe rinnovare una regia centrale, ma non centralistica, di un servizio sanitario davvero nazionale per diffusione e qualità dei servizi, rimuovendo ogni ipotesi di “regionalismo differenziato”, garantendo uniformità di accesso, e di qualità, alle cure in tutta la nazione rivedendo, in prospettiva, anche il titolo V della Costituzione. La digitalizzazione, la terza grande rivoluzione antropologica, è assolutamente da implementare e diffondere nel territorio nazionale, basti pensare che il “DESI Index” – Indice di digitalizzazione dell’economia e della società ci vede posizionati al 25° posto in Europa nel 2020, ma non basta l’homo digitalis per risolvere tutti i problemi della sanità!

In questa bozza di PNRR, aggiornata al 12 gennaio 2021, si propone di rafforzare la Sanità territoriale, a partire dalla “casa come primo luogo di cura”, passando per le “Case della comunità”, per la rete ospedaliera intermedia o di comunità, insieme all’ammodernamento e alla digitalizzazione delle dotazioni tecnologiche del SSN.

Con i circa 20 miliardi destinati alla sanità, l’obiettivo è arrivare ad avere nel 2026:

2.564 nuove Case della comunità, cioè 1 Casa della  Comunità ogni 24.500 abitanti;

575 Centrali di coordinamento attivate con telemedicina di ADI (assistenza domiciliare integrata), cui afferirebbero 51.750 medici e altri professionisti, nonché 282.425 pazienti con kit technical package attiv, per assistere circa 500.000 nuovi pazienti over 65 Presi in Carico (PIC).

753 Ospedali di comunità, cioè  1 ospedale di comunità ogni 80.000 abitanti

La Casa, con la C maiuscola, del PNRR

La Casa della comunità (già Casa della Salute)  dovrebbe avere queste caratteristiche: essere una struttura fisicamente identificabile, facilmente riconoscibile, punto di riferimento di prossimità e punto di accoglienza e orientamento ai servizi di assistenza primaria di natura sanitaria, socio-sanitaria e sociale per i cittadini, che garantisca interventi interdisciplinari attraverso la contiguità spaziale dei servizi e l’integrazione delle comunità di professionisti (équipe multiprofessionali e interdisciplinari) che operano secondo programmi e percorsi integrati, tra servizi sanitari (territorio-ospedale) e tra servizi sanitari e sociali. Un modello che prevede uno standard di riferimento comune e omogeneo in tutto il territorio nazionale, che dovrebbe essere  regolamentato in modo preliminare con action plan entro il 2022.

La casa, con la c minuscola,  come primo luogo di cura

Nella bozza di PNRR, in stretta connessione con la “Casa della Comunità”, si prevede l’erogazione di un setting di prestazioni di assistenza domiciliare digitale ed integrata (ADI), alternativo al ricovero ospedaliero (anche alle RSA), che vede come target privilegiato la gestione dei pazienti cronici anziani, con il supporto delle soluzioni tecnologiche, digitali e di telemedicina, secondo un modello connected care, fondamentale per la presa in carico a domicilio, per il monitoraggio e la diagnosi a distanza dei pazienti. L’obiettivo è quello di definire a livello nazione indicazioni per l’erogazione di prestazioni in telemedicina entro il 2022.

Sviluppo delle cure intermedie

Questo  progetto del PNRR mira alla implementazione di presidi sanitari a degenza breve, i cosiddetti Ospedali di comunità, strutture che si pongono ad un livello intermedio tra l’assistenza territoriale e l’assistenza ospedaliera, per fornire assistenza a tutti i soggetti che non hanno necessità di ricovero, ma di un’assistenza e sorveglianza sanitaria che non potrebbero ricevere a domicilio. Dal punto di vista operativo si prevede di definire entro il 2022 il piano d’azione per realizzare/adeguare le strutture a ospedale di comunità; il progetto si traduce nella realizzazione di posti letto in strutture di ricovero di breve durata (15-20 giorni), secondo uno standard uniforme su tutto il territorio nazionale.

Un libro dei sogni?

Speriamo di no, perché questo modello, con le dovute correzioni (vedi sopra) potrebbe essere un buon punto di partenza per un rilancio del Servizio Sanitario Nazionale. Purtroppo molte sono le perplessità. Basti pensare che fu Giulio Maccacaro, epidemiologo e fondatore di Medicina Democratica, a proporre nel lontano 1972, come cardine dell’organizzazione dell‘assistenza primaria, la ‘Casa della Salute’ (Cds), ribattezzata ora ‘Casa della Comunità’, che doveva essere un alter ego dell’ospedale nel territorio, non poliambulatorio, ma punto di riferimento centrale per la popolazione, luogo di integrazione con gli altri soggetti attivi sul territorio, e del sanitario col sociale. Un polo che avrebbe dovuto essere votato alla prevenzione primaria, ambientale e sui luoghi di lavoro, a farsi carico della cronicità, della fragilità anche psichica, dotato di tecnologie soft, caratterizzato da un’assistenza tipo chronic care model, da integrazione multi professionale, alfabetizzazione sanitaria, un “luogo di offerta”, ma anche e soprattutto un luogo di partecipazione democratica.

Nemmeno la presenza di ottime leggi come la Legge Regionale Toscana 4 giugno 2019, n. 29 ‘Le case della salute’, dei consiglieri Sarti-Fattori, però è riuscita a far decollare quel  modello. Le Case della Salute, attualmente presenti sarebbero circa 250 in tutta Italia, ma di fatto si tratta di poliambulatori, con orari di apertura limitati e spesso con scarso personale presente. Deficitaria è la presenza dei medici di medici generale, e dei pediatri di libera scelta, che ne dovrebbero essere il fulcro, come pure il basilare principio dell’ integrazione tra sociale e sanitario. Le sedi spiccano per inadeguatezza e sono ben lungi dal rappresentare un vero polo pubblico di riferimento sanitario e sociale per la popolazione, alternativo all’ospedale.

Cinquant’anni dopo le intuizioni di Maccacaro, dopo tanti insuccessi e tante derive sbagliate, pare abbastanza improbabile che l’attuale classe politica riesca a portare in fondo l’ambizioso progetto di questo PPNR, che rischia di diventare un libro dei sogni.

*Gian Luca Garetti

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Gian Luca Garetti

Gian Luca Garetti, è nato a Firenze, medico di medicina generale e psicoterapeuta, vive a Strada in Chianti. Si è occupato di salute mentale a livello istituzionale, ora promuove corsi di educazione interiore ispirati alla meditazione. Si occupa attivamente di ambiente, è membro di Medicina Democratica e di ISDE (International Society of Doctors for the Environment).

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