Se ho deciso di scrivere quest’articolo non è perché, per l’ennesima volta, il sindaco di Firenze, Dario Nardella, ha mosso guerra al mio quartiere, ma perché questa volta l’Oltrarno ha risposto con una forza e una gioia che mi hanno scaldato il cuore.

Lunedì 14 giugno il Comune ha deciso di rendere inaccessibile il sagrato della chiesa di Santo Spirito, ossia il luogo di ritrovo diurno e serale dei giovani e delle giovani della città, baluardo di quella socialità genuina che a Firenze Land non trova più posto. Senza battere ciglio l’amministrazione ha deciso di privare i propri cittadini di un luogo di ritrovo storico e sempre più frequentato, ovviamente in nome del “decoro”. È ormai quasi banale dirlo, ma questa parola contiene dentro di sé una parte interessante del discorso.

L’astuzia del sindaco sceriffo-imprenditore, infatti, sta nel giustificare la sua prostrazione all’interesse di una stretta cerchia di super-ricchi con una retorica nuova, che non rimanda alle muffose contrapposizioni tra destra e sinistra, ma evoca valori assoluti, a cui nessuno può dirsi contrario: decoro, sicurezza, energia green… Si può parlare in questo senso di un’evoluzione in senso post-politico del dibattito sulla città: l’utilizzo di termini senza una chiara connotazione di classe, difficilmente leggibili come interesse di un gruppo specifico, viene sfruttato per compiere un’operazione che è invece strettamente politica: la rimozione coatta di ampi segmenti della popolazione del centro storico per fare spazio all’industria del turismo.

In questo contesto, le carambole retoriche del Partito Democratico gli consentono di trascinare nel suo scivolamento a destra un gran numero di elettori, recuperando quasi totalmente le rivendicazioni dei comitati. Proprio la tutela della residenza, infatti, viene usata come cavallo di troia per chiudere le piazze in nome del “diritto al sonno”. Quest’approccio però, lungi dal risolvere il problema, non fa che sottrarre spazio a tutti, residenti compresi, e il paradosso che si crea è questo: la signora M.V., che per prima urlava di chiudere il sagrato con una cancellata di 1.80 m, si trova a essere cacciata dalla polizia quando, rimasta chiusa fuori casa, si siede ad aspettare il marito sulle scalinate della chiesa.

Vent’anni di narrazione dei “bei tempi andati”, spingendo all’inconciliabilità tra nuove e vecchie generazioni, hanno reso possibile traslare sui giovani la paura delle fasce anziane della cittadinanza, causata in realtà dalla desertificazione del tessuto sociale. Così, le uniche persone che ancora tengono in vita la piazza, che da sempre intessono relazioni con chi la frequenta la mattina per il mercato o il pomeriggio per far giocare i bambini, vengono additate come la causa della gentrificazione del quartiere, imputate di non permettere una pacifica convivenza e di non avere rispetto per il patrimonio artistico della città.

In questo quadro, dopo aver dato tutto lo spazio possibile alle lamentele di un piccolo gruppo di residenti, l’amministrazione ha valutato che fosse finalmente arrivato il momento di chiudere fisicamente il sagrato di Santo Spirito. Il divieto di stazionamento in orario serale, già valido in tutta la piazza da almeno un mese, diventa così visibile, tangibile. Intendiamoci, quando si parla di “divieto di stazionamento per evitare assembramenti” stiamo parlando di una piazza coperta per quasi tutta la sua estensione dai fittissimi tavolini dei ristoranti più chic; in quelli ci si può comodamente sedere finché si hanno soldi da spendere in bistecche da cinquanta euro al kilo e drink a otto euro.

La posa dei piloncini di ferro e cemento legati da un’elegante corda di canapa, che probabilmente il sindaco pensava sarebbe stata la semplice prova generale prima dell’ennesima cancellata, si è invece rivelata una mossa falsa quando venerdì 18 giugno oltre cinquecento ragazzi e ragazze si sono riversate sul sagrato armate di strumenti musicali.

La polizia si è presto ritrovata circondata da una folla che, senza dare minimamente peso alla loro presenza, ha cominciato a suonare, ballare, giocolare sempre di più, sempre più forte, finché, molestati ripetutamente dai soggetti più esuberanti, gli agenti sono stati costretti a ritirarsi in un angolo ammirando lo scempio che veniva fatto dell’autorità. Sorbendosi ogni tanto qualche persona sbronza che gli offriva da bere, tra uno sfottò e l’altro. Nel frattempo, in un impeto situazionista, i ragazzi e le ragazze più giovani hanno cominciato a giocare al tiro alla fune coi piloni della facciata laterale finendo col ribaltarli tutti, prenderne le corde, legarle assieme e imbastire il salto della corda più grande che avessi mai visto (dimostrando doti di coordinazione non indifferenti).

Quella sera è scattato qualcosa: l’insofferenza verso una città che offre tutto, ma che esclude tutti; che ha bisogno di braccia giovani per servire i turisti nel grande albergo, ma che non vuole vedere quelle stesse persone svaccarsi nelle piazze-vetrina; che le fa lavorare a nero come camerieri, ma durante la crisi sostiene solo i padroni dei ristoranti; quell’insofferenza è scoppiata. Dopo un anno e mezzo chiuse in casa, accusate di essere irresponsabili, controllate a vista, senza scuse per uscire, senza il minimo sostegno, il tappo è saltato; e una volta aperto il fiasco l’energia era tanta che non poteva essere contenuta.

Così, sempre organizzandosi attraverso chiacchiere informali fatte su altri sagrati e su chat virtuali, lunedì 21 giugno, con la fine del coprifuoco, la folla si è ripresa nuovamente il sagrato. Sul posto è cominciata un’assemblea spontanea di una settantina di persone, poi la musica di un gruppo di fiati ci ha accompagnato fino a tarda notte ed eravamo sempre di più. La polizia non si è vista. L’insubordinazione dei giovani e delle fiorentine, unita all’indignazione per lo scempio estetico fatto alla basilica posando quel cordolo, hanno coalizzato una grande fetta della popolazione contro la scelta di un’amministrazione che sta trasformando Firenze in una città transennata a misura di consumatore.

Tante persone si sono espresse, in strada, al bar, sui social, contro la chiusura della piazza. La Repubblica Firenze (miglior esempio di giornale di regime PD) ha chiesto ai propri lettori di esprimersi sulla questione, promettendo la pubblicazione delle risposte, ma non credo sia andata come speravano. L’elenco è una delle più chiare critiche al modello di monocoltura del turismo, da ogni prospettiva vengono lanciate accuse all’amministrazione, ritenuta incapace o colpevole nell’aver regalato la città agli interessi di pochi privati.

Le prime reazioni dell’amministrazione sono state scomposte: da un lato hanno proposto “un concorso di idee” per sostituire il cordolo, dall’altro hanno accusato la fazione contraria alla chiusura di non avere proposte alternative, quando queste sono state ribadite chiaramente fin dall’inizio: bagni pubblici gratuiti (al momento in città non ne esistono), promozione di eventi culturali in tutte le piazze, riapertura degli altri spazi “cancellati”, finanziamento ai luoghi di aggregazione liberi dal profitto (parliamo ovviamente di soluzioni temporanee che migliorerebbero la convivenza, il problema è di ben altra portata, in un centro storico in cui la concentrazione di esercizi di ristorazione è di 217 per km quadrato).

Così, incalzato da più parti, il Comune ha dovuto esprimersi più chiaramente. Prima di tutto, per ristabilire la propria autorità, ha esteso il divieto di stazionamento a un elenco di piazze e strade così lungo che non ho lo spazio per riportarlo, praticamente tutte le piazze del centro storico e le strade limitrofe sarebbero ora equivalenti a locali con consumazione obbligatoria. Poi, i bagni “pubblici” (in realtà la gestione è appaltata) in Santo Spirito saranno aperti e gratuiti dal giovedì al sabato dalle 21 alle 3. Sembra una conquista, eh? Peccato che in quegli orari in piazza non potrai andarci se non per recarti in un locale! Infine, anziché organizzare iniziative che potessero attrarre i giovani verso altri poli, il sindaco ha annunciato che in piazza Santo Spirito si terranno “l’Opera e il bridge”. Evidentemente, l’approccio coloniale di questa classe dirigente gli impedisce di fare altro che imporre a forza la propria cultura su tutte le altre. Il risultato sperato sarebbe evidentemente quello di sostituire il pubblico “indecoroso” con uno più “colto”, che apprezzi questo tipo di iniziative.

Non ci resta che stare a vedere quale sarà la reazione di questa generazione a cui vogliono ancora togliere spazi, dopo che gli hanno già rubato il futuro.

Cosimo Barbagli per Napoli Monitor