KEU. Il tempo delle mele marce

Nella rossa Toscana scoppia una delle inchieste più importanti per danni ambientali degli ultimi decenni. Mentre la politica parla di «mele marce» in un sistema sano e funzionante, un’assemblea popolare sta tenendo alta l’attenzione e denunciando le responsabilità politiche.

Si tratta della vicenda, nota alle cronache come «Inchiesta Keu», che riguarda lo smaltimento di rifiuti tossici – derivanti dalle lavorazioni conciarie – in diversi territori fra Pisa e Firenze. Punta dell’iceberg sono le circa ottomila tonnellate di Cromo esavalente non debitamente trattate per realizzare la strada regionale n. 429 che collega Empoli a Poggibonsi, infrastruttura che molti sindaci locali hanno rivendicato come un fiore all’occhiello Secondo l’accusa questo sarebbe il meccanismo (ripetutamente) messo in pratica: il consorzio conciatori di Santa Croce sull’Arno cede un rifiuto ad un impianto di produzione di materiali edili che lo classifica come prodotto per l’edilizia. A questo punto viene dato a una ditta di movimentazione terra che ha assunto il subappalto dei lavori della strada 429 e che ci realizza il manto stradale. Tutto ciò è venuto a galla perché l’ultimo anello della catena – la ditta di movimentazione terra – ha richiamato l’attenzione degli inquirenti in quanto apparentemente collegata alla ‘ndrangheta.

Scava che ti riscava, ma nemmeno troppo, sono stati oltre diciannove gli iscritti nel registro degli indagati: non solo imprenditori, ma anche politici di portata regionale che potrebbero aver facilitato in vari modi (tramite emendamenti fatti passare più o meno alla zitta, o attraverso pressioni di indirizzo) questo processo. Dal quadro che è emerso, insomma, più che un pasticciaccio brutto di Via Merulana, quello di Toscana era un meccanismo ben oliato, riprodotto con il beneplacito di alcuni, con l’inconsapevolezza di altri, ma comunque riprodotto. Certo, sulle responsabilità individuali e penali dei singoli farà luce la magistratura, ma la domanda di fondo alla politica resta, ed è: ma come è possibile tutto questo? Su quali condizioni strutturali e sistemiche si è innestato questo procedimento illecito?

Su questa domanda quegli stessi politici onnipresenti alle inaugurazioni e ai tagli dei nastri sono stati pressoché silenti: garantisti prima, vaghi e infastiditi poi, quando l’attenzione sui giornali non accennava a scemare e, anzi, i nuovi dettagli assumevano tinte sempre più inquietanti. Per esempio, dai risultati dei prelievi stradali, resi noti a fine giugno, è stata riscontrata la presenza di cromo per litro di oltre 26 volte sopra il limite previsto per legge. Amministratori locali, commissari tecnici, onorevoli cresciuti in seno a questo territorio hanno mantenuto, in modo più o meno balbettante e confuso, due linee d’azione. La prima è stata quella della minimizzazione. Tutto sommato, hanno detto, ancora non sappiamo come stanno le cose, non è vero che il sistema gestionale toscano non funzioni, d’altronde anche nelle migliori famiglie un figlio ribelle e attaccabrighe c’è sempre. La seconda è stata quella della limitazione delle responsabilità. La politica locale si è trincerata dietro un procedimento burocratico. Ha rassicurato che dal punto di vista dell’ente pubblico problemi non ce ne sono, perché tutto quello che era dato fare, è stato fatto. Ma allora, se tutto quello che doveva essere fatto è stato fatto e il sistema funziona, come mai ci sono tonnellate di rifiuti tossici sepolti sotto un manto stradale che rischiano di inquinare le falde acquifere con cui si irrigano i campi e si forniscono le utenze domestiche?

Questa è la domanda che assilla l’Assemblea Permanente No Keu, fatta di residenti locali e realtà sociali e politiche del territorio e che da aprile sta muovendo richieste agli organi competenti, tenendo alta l’attenzione sul tema. Nonostante il tentativo, oramai costume diffuso della politica neo-liberista, di bypassare i corpi intermedi, l’assemblea si è distinta per una caratteristica precisa: provare ad organizzare gli e le abitanti e cercare una risposta collettiva alle istanze di singoli. Un’operazione non certo attesa dai sindaci (undici comuni, tutti a trazione PD) abituati ad avere il plauso generale e nessun contraddittorio. Queste domande, dicevamo, sono cadute nel vuoto. Per gli amministratori, responsabilità politiche non ci ce ne sono e a pensarlo si fa solo peccato. Esistono quelle personali e penali, quelle burocratiche, ma non quelle politiche. Nelle uscite pubbliche è stato ribadito a chiare lettere che il problema è proprio in chi, fuorviato da questo pasticciaccio brutto, mette in discussione il sistema di gestione delle partecipate e della commistione pubblico-privato. Il sistema scricchiola, ma si fa finta che non sia così: finché non si sono chiusi i processi penali, perché fare un’analisi politica?

Questa vicenda, ma soprattutto la reazione di politici e istituzioni regionali, denuncia sicuramente cose che sapevamo già. La prima è l’assottigliamento della politica sulla questione burocratica e amministrativa. Sentiamo ripetere da anni che la politica buona è quella del fare e del fare subito, meglio ancora se cose visibili. Un buon amministratore deve essere in primo luogo un facilitatore, un garante del fatto che i rapporti di potere decisi altrove – per esempio nei CDA delle aziende partecipate – non siano messi in discussione. Un buon amministratore è colui che si muove in modo attento e scaltro all’interno di un sistema di cui però non può, o non crede nemmeno di dovere, cambiare una virgola. Nell’inchiesta Keu tutto questo viene ribadito con forza quando si dice che no, la politica non c’entra. Come se le regole del gioco fossero stabilite per natura, fossero date da forze esterne. La seconda è che il modello della buona amministrazione dell’Italia rossa, viene ancora difeso, a spada tratta, nonostante l’evidenza contraria, nonostante i rischi ambientali a cui espone le società locali. Sì, perché anche senza bisogno di scomodare la mafia, le esternalizzazioni e gli appalti con cui si gestiscono i servizi e le infrastrutture locali hanno comportato una presa in carico solo emergenziale dei territori, chiudendo spesso un occhio su controlli e prevenzione. Ma c’è una terza cosa, meno prevedibile, che emerge dall’inchiesta «No Keu»: questo modello di sviluppo e gestione non è egemonico e incontrastato. Sebbene ci si affanni a difenderlo, lo slogan there is no alternative non regge più nemmeno nell’immaginario collettivo.

Le alternative esistono. E nessuna alternativa può prescindere dal ribaltamento dell’attuale rapporto tra politica e territorio. Sono alternative che rifiutano la scorciatoia della risoluzione personale del «ci penso io a mettere a posto le cose» calato dall’alto, e che invece oppongono l’organizzazione orizzontale, la costruzione di un corpo vivente, plurale e composito che rifiuta l’ipotesi per cui quanto accade oggi qui possa accadere domani altrove. Per la prima volta dopo molto tempo c’è un’altra voce che si sente e che acquista sempre più peso. È una voce che dice che non è vero che ci troviamo a scegliere fra la tutela dell’ambiente o il lavoro, che non è vero che le amministrazioni non possono fare diversamente che imparare le regole del gioco e cercare di vincerle. La scelta c’è ed è quella di provare a giocare a qualcos’altro, di cambiare partita. I discorsi che prima tenevano adesso sembrano davvero non tenere più e chi si affanna a nasconderlo risulta sempre meno credibile.

Lo sversamento di rifiuti tossici, nell’empolese Valdelsa come altrove, non è un cataclisma naturale, non è l’invasione di cavallette citata dai Blues Brothers. È l’epilogo probabile – forse l’unico – di un modello di gestione e di sviluppo che ha messo al centro la capitalizzazione del profitto, sia esso traducibile in profitto economico per gli investitori on in visibilità politica. Quello che è accaduto sulla strada 429 non è un errore in un sistema perfetto, non è causa di una mela marcia e non basterà rimuovere il frutto bacato per impedire che ciò che è stato non sia più. Tenere fuori la politica dalla vicenda Keu non è solo miope e sbagliato, è impossibile. Che piaccia ad amministratori e politici o meno.

*Carlotta Caciagli

L’articolo qui riprodotto è uscito su “Machina” il 1° luglio 2021.